La “vigilanza collaborativa” dell’Anac: emanato il Regolamento

L’art. 213 del Dlgs. n. 50/16 attribuisce ad Anac svariati compiti, fra cui la “vigilanza collaborativaex art. 213, comma 3, lett. h): “per affidamenti di particolare interesse, svolge attività di ‘vigilanza collaborativa’ attuata previa stipula di Protocolli di intesa con le stazioni appaltanti richiedenti, finalizzata a supportare le medesime nella predisposizione degli atti e nell’attività di gestione dell’intera procedura di gara”.

In casi di particolare delicatezza, quindi, Anac offre alle stazioni appaltanti la propria collaborazione, sia nella stesura degli atti di gara, sia nella gestione della gara stessa: il Regolamento emanato in questi giorni (datato 28 giugno 2017 ma pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 178 del 1° agosto 2017) chiarisce i casi di applicabilità di tale disposizione, nonché le modalità con cui si svolge tale attività.

La “vigilanza collaborativa” consiste, in breve, in quanto previsto dall’art. 3: “le stazioni appaltanti di cui all’art. 1, prima di indire una procedura di gara, possono chiedere all’Autorità di svolgere un’attività di vigilanza preventiva finalizzata a supportare le medesime nella predisposizione degli atti di gara, a verificarne la conformità alla normativa di settore, all’individuazione di clausole e condizioni idonee a prevenire tentativi di infiltrazione criminale, nonché al monitoraggio dello svolgimento dell’intera procedura di gara”.

Il fulcro della disciplina è certamente costituito dalla stipula dei Protocolli d’intesa, preliminari ad ogni collaborazione, fra Anac e le stazioni appaltanti richiedenti. Il Regolamento se ne occupa all’art. 6, denominandoli “Protocolli di vigilanza”, e la loro importanza risiede nel fatto che essi contengono “le modalità di svolgimento della ‘vigilanza collaborativa’ con la stazione appaltante”, che vengono quindi stabilite di volta in volta a seconda della concreta necessità avvertita dall’Ente.

Ciò chiarisce che si tratta di una collaborazione offerta da Anac a condizioni di volta in volta da stabilirsi: un Ente potrebbe aver necessità solo di assistenza (e di una “certificazione di legalità” di Anac) solo per la fase di predisposizione della gara, un altro Ente potrebbe necessitare di una richiesta “rinforzata” di requisiti a fini di evitare la partecipazione di soggetti non affidabili sotto il profilo della moralità professionale, ecc.

Si tratta, del resto, di un istituto che già ha conosciuto varie applicazioni, già da qualche anno e sotto l’egida del precedente “Codice degli Appalti”: è di questi giorni, ad esempio, la conclusione di un Protocollo di “vigilanza collaborativa” fra Anac e Roma Capitale.

L’esame di tale Protocollo, buon esempio per quelli che verranno, fa emergere, ad esempio, l’impegno di Roma Capitale all’inserimento di una clausola specifica volta ad anticipare la tutela dell’Ente da qualsivoglia tentativo di infiltrazione criminale negli appalti da esso gestiti: “Roma Capitale si impegna ad avvalersi della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 C.c. ogni qualvolta nei confronti dell’imprenditore o dei componenti la compagine sociale, o dei dirigenti dell’impresa con funzioni specifiche relative all’affidamento alla stipula e all’esecuzione del contratto sia stata disposta misura cautelare o sia intervenuto rinvio a giudizio per taluno dei delitti di cui agli artt. 317 Cp., 318 Cp., 319 Cp., 319-bis Cp., 319-ter Cp., 319-quater Cp., 320 Cp., 322 Cp., 322-bis Cp., 346-bis Cp., 353 Cp., 353-bis Cp.”: si tratta di una clausola che va ben al di là del disposto legislativo sul punto (cfr. art. 80 del Dlgs. n. 50/16), ma che, in quanto concordata con Anac, gode di una legittimazione quantomeno a livello pattizio.

È pur sempre ovvio che una simile clausola ben potrebbe essere impugnata dal Tar da parte di un concorrente che la ritenesse ostativa alla sua partecipazione: ciò significa che la “legittimazione” di Anac non costituisce garanzia di legalità formale dinanzi ad un Organismo giurisdizionale, che avrebbe quindi pur sempre il potere di valutare la legittimità di simili previsioni.

È ora importante analizzare i presupposti oggettivi in presenza dei quali Anac può ammettere la “vigilanza collaborativa” in esame.

Tali casi sono specificati dall’art. 4 del Regolamento, e di seguito si analizzano partitamente.

Primo caso: “a) gli affidamenti disposti nell’ambito di programmi straordinari di interventi in occasione di grandi eventi di carattere sportivo, religioso, culturale o a contenuto economico”.

Si tratta di casi di eventi “straordinari”, come Giubileo, Expo, Olimpiadi, ecc.: in tali casi la “vigilanza collaborativa” può avere particolare rilievo per tentare di conciliare celerità negli affidamenti e legalità, evitando quindi quanto possibile un contenzioso che allungherebbe a dismisura i tempi degli interventi.

Secondo caso: “b) gli affidamenti disposti a seguito di calamità naturali”. La cronaca recente ha più volte dimostrato come, in occasione di eventi calamitosi, spesso l’urgenza negli affidamenti per la ricostruzione possa essere sfruttata per procedere con modalità volte a favorire taluni operatori economici: da cui la presente previsione.

Terzo caso: “c) gli interventi di realizzazione di grandi infrastrutture strategiche”. Anche in questo caso si tratta di interventi straordinari (si pensi, ad esempio, al Mose) e di grande valore economico, cosicché il rischio corruttivo è evidentemente più ampio degli ordinari affidamenti.

Quarto caso: “d) gli affidamenti di lavori di importo superiore a 100.000.000 di Euro o di servizi e forniture di importo superiore a 15.000.000 di Euro rientranti in programmi di interventi realizzati mediante investimenti di fondi comunitari”. Qui l’ammissibilità dell’intervento Anac è legata alla provenienza dei finanziamenti e alle possibili conseguenze negative in caso di mancato rispetto dei termini per l’utilizzo di tali fondi.

Fin qui le ipotesi specifiche; il comma 2 della medesima disposizione richiama però che, anche al di fuori di tali ipotesi, “in presenza di ricorrenti indici di elevato rischio corruttivo, ovvero, in presenza di rilevate situazioni anomale e, comunque, sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali, il Consiglio può disporre l’accoglimento di istanze di verifica preventiva di documentazione e atti di gara o eventuali fasi della procedura di gara”. Fra l’altro, conclude il comma 3, la “vigilanza collaborativa” può essere richiesta “anche nei casi in cui uno o più contratti siano stati oggetto dell’applicazione delle misure di cui all’art. 32, comma 1, del Dl. n. 90/14”, cioè nel caso in cui “l’Autorità giudiziaria proceda per i delitti di cui agli artt. 317 C.p., 318 C.p., 319 C.p., 319-bis C.p., 319-ter C.p., 319-quater C.p., 320 C.p., 322, C.p., 322-bis C.p. 346-bis C.p., 353 C.p. e 353-bis C.p., ovvero, in presenza di rilevate situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali attribuibili ad un’impresa aggiudicataria di un appalto per la realizzazione di opere pubbliche, servizi o forniture, ovvero ad un Concessionario di lavori pubblici o ad un contraente generale”.

La “vigilanza collaborativa” è quindi consentita anche in casi in cui sia alto l’indice di rischio corruttivo, o in caso di situazioni che possano far ritenere possibile la commissione di illeciti o di veri e propri crimini in occasione di partecipazione alla gara o svolgimento della relativa procedura: è evidente che tale casistica è potenzialmente molto vasta, posto che la valutazione sulla “anomalia” delle situazioni o dell’esistenza o meno di un rischio corruttivo più o meno elevato costituisce operazione eminentemente discrezionale da parte, sia dell’Amministrazione richiedente, sia dell’Anac, che dovrà valutare l’ammissibilità o meno della “vigilanza collaborativa”.

All’esito dell’eventuale stipula del Protocollo di vigilanza, si noti che gli Enti stipulanti possono anche non adeguarsi alle indicazioni ricevute da Anac: l’art. 8 del Regolamento, in tal caso, prevede che, ove tale non adeguamento sia valutato come “particolarmente grave” (sic) dall’Ufficio istruttore dell’Anac, esso potrà rimettere al Consiglio dell’Autorità ogni valutazione in ordine all’adozione di ulteriori provvedimenti, anche sanzionatori (ivi si fa riferimento a poteri di vigilanza: tuttavia, tali poteri possono anche comportare sanzioni nei confronti degli Enti inadempienti), nei confronti dell’Ente “riottoso”.

Nuovamente, non si può che rilevare la sostanziale “clausola aperta” lasciata in mano ad Anac nel decidere se la contravvenzione da parte dell’Ente alle osservazioni di Anac meriti o meno l’intervento della stessa non più sotto la veste di “collaboratrice” bensì sotto quella di “Autorità di vigilanza”: una simile previsione appare rendere meno appetibile agli Enti l’intervento preventivo di Anac, e appare anche tradire, almeno in parte, la logica “pattizia” e “consensuale” sottesa alla disciplina della “vigilanza collaborativa”.

Più coerente con tale ultima logica è quindi la possibilità, in caso di inadempienza dell’Ente, di risoluzione del Protocollo di vigilanza, peraltro consentita anche in caso di “sopravvenute e motivate ragioni di merito o di opportunità”, non meglio specificate.

È prevedibile pertanto che tale istituto troverà ampia utilizzazione in occasione di eventi straordinari (procedure per realizzazione di infrastrutture strategiche, eventi calamitosi, eventi di particolare rilievo sportivo, religioso, culturale ecc.), o presso Enti con problematiche di conclamata infiltrazione criminosa negli appalti pubblici (es. Roma Capitale): chi scrive ritiene meno plausibile la sua utilizzabilità capillare anche in piccoli Enti, per le ragioni anzidette.

di Mauro Mammana – Avvocato amministrativista, consulente e formatore in materia di appalti pubblici

 

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