È stato presentato lo scorso 21 maggio 2024 da parte dell’Anci il Documento intitolato “Autoconsumo individuale a distanza e Comunità di energia rinnovabile – Vademecum Anci per i Comuni”.
Secondo il Documento citato, l’entrata in vigore del Decreto “CaCer”[1] consentirà ai Comuni di ridurre i consumi energetici, ricorrendo ad uno o più delle configurazioni previste dal Decreto “CaCer”, grazie all’utilizzo degli spazi comunali che possano essere adibiti all’installazione di impianti a fonti rinnovabili.
Le configurazioni previste dal Decreto possono essere così definite:
1) auto consumatori individuali a distanza che utilizzano la rete di distribuzione: tale configurazione può valorizzare aree e superfici comunali anche se situate in luoghi lontani da quelli ove sono collocati i maggiori centri di consumo dell’Ente Locale (Municipio ed Uffici) che spesso sono localizzati in aree sottoposte a vincoli, come i centri storici;
2) gruppo di auto consumatori: questa configurazione può essere utilizzata dall’Ente Locale quando le utenze comunali siano ubicate all’interno di un edificio o condominio coesistendo con quelle di altri clienti finali/produttori;
3) Comunità di energia rinnovabile: configurazione ove coesistono categorie diverse di produttori e clienti finali del territorio.
All’interno di quest’ottica, il Vademecum ricorda la fondamentale importanza, nella mitigazione dei costi energetici degli Enti Locali e dei relativi oneri finanziari, dell’autoconsumo a distanza oltre che dell’autoconsumo fisico.
Questo perché, pur in assenza di impianti di produzione propri in grado di generare energia, gli Enti Locali possono partecipare, in qualità di consumatori, ai benefici derivanti dalle varie configurazioni di autoconsumo previste dal Decreto.
Fondamentale diventa, quindi, in quest’ottica al lo scopo di comprendere quale sia la miglior configurazione a cui approcciarsi da parte dell’Ente, la presenza nella struttura del Comune di una struttura amministrativa che sia in grado di censire le necessità energetiche dell’Ente.
Tale struttura dovrà essere dotata di competenze verticali in materia energetica, localizzate sia nella figura dell’Energy Manager, fortemente consigliata anche quando non sia obbligatoria, sia attraverso in una unità, struttura od ufficio, dedicata a cui sia affidata la gestione delle operazioni dell’Energy management, in raccordo con gli uffici tecnici.
Questo consentirà in ogni caso all’Ente Locale di ridurre il rischio di asimmetrie informative che potrebbero manifestarsi nel momento in cui tecnici esterni vadano ad interfacciarsi con l’Ente proponendo soluzioni per l’efficientamento energetico delle strutture anche al di fuori di questi casi specifici.
Il Vademecum indica un percorso da seguire allo scopo di rendere la sostenibilità energetica una prassi consolidata per l’Ente e, in particolare, per poter inserire l’autoconsumo diffuso nella programmazione del Comune.
Tale percorso deve iniziare innanzitutto dalla raccolta di dati che possono essere efficacemente utilizzati per indirizzare le scelte dell’ente, quali l’inventario del patrimonio edilizio, dei beni infrastrutturali ed un quadro statistico il più possibile completo dei consumi termici ed elettrici del territorio da acquisire anche grazie al sistema informativo integrato di Acquirente unico.
Proseguendo poi con la mappatura degli impianti di produzione da fonte rinnovabili presenti nel territorio, con un quadro del prossimo sviluppo previsto per le infrastrutture di rete, elettrica e gas riguardo le quali i Comuni hanno compiti autorizzativi ed infine con una mappatura delle aree potenzialmente idonee all’installazione delle fonti di energie rinnovabili.
Grazie a questi dati potrà poi essere sviluppata una diagnosi energetica degli edifici comunali dal punto di vista energetico e tecnico, arrivando così a definire un cronoprogramma degli investimenti necessari.
Masterplan che va però nello stesso tempo contestualizzato con gli atti di programmazione tenendo conto delle altre priorità individuate per i lavori pubblici e l’approvvigionamento dei servizi.
A questo punto il Comune valuterà poi quali degli interventi prospettati possano essere messi in atto utilizzando le proprie disponibilità, finanziamenti pubblici esterni, meccanismi finanziarie o ricorrendo a risorse di terzi privati.
Ciò consentirebbe quindi di valutare la reale convenienza a considerare la possibilità di adesione o promozione di una configurazione di autoconsumo collettivo, come ad esempio una Cer.
Operando una scelta consapevole tra la semplice attività di promozione sul territorio, la più impegnativa messa a disposizione di strutture per lo sviluppo di impianti od infine una partecipazione strutturata alla Cer.
Per quanto riguarda la contabilizzazione dei ricavi generati qui dalla produzione di energia rinnovabile, sia nel caso che l’Ente decida di optare per l’autoconsumo individuale o che scelga di includere nella configurazione alcuni impianti di autoconsumo diffuso, sarà opportuno che esso opti per il Contratto di ritiro dedicato da stipulare con il Gestore energetico.
Tenendo conto che le somme corrisposte per la produzione di energia possono costituire, in tutto od in parte, una componente attiva del reddito e come tale dovranno essere considerate anche dal punto di vista tributario, così come indicato dall’Agenzia delle Entrate nell’Istanza di Interpello n. 956 1284/2023[2].
Una volta valutato il valore di inserimento a bilancio, tenuto comunque conto dell’elevata variabilità dei prezzi dell’energia sul mercato, questa somma non sarà soggetto a vincoli di destinazione potendo essere utilizzata per finanziare altri investimenti, servizi per la comunità, iniziative di sostegno sociale, ecc..
Concretamente il Comune potrà poi provvedere a rimuovere gli eventuali ostacoli alla realizzazione di nuovi impianti sul proprio territorio dovuti ad atti amministrativi e normativi che si siano stratificati nel tempo, ed in qualità di soggetto promotore, potrebbe poi provvedere a mettere a disposizione i propri asset fisici per la realizzazione degli impianti.
Come si è visto potrà anche decidere di passare ad un ruolo più attivo aderendo ad una o più comunità costituite sul proprio territorio anche se promosse da terzi, siano essi associazioni di cittadini, altre istituzioni pubbliche e/o società partecipate, stakeholder locali.
Nei Comuni di popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, dove più difficile diventa l’aggregazione, potrà essere l’Ente Locale a svolgere un ruolo trainante nello sviluppo della Cer attraverso la destinazione di risorse pubbliche che, seppur limitate, saranno in grado di agire da leva per gli investimenti privati, contribuendo così creare le condizioni perché soggetti privati decidano di investire nel territorio, potendo la Cer godere così di un contributo a fondo perduto del 40% per la realizzazione degli impianti.
Per quanto riguarda poi lo sviluppo delle Comunità, il Vademecum ne suddivide le fasi operative fondamentali in pianificazione e programmazione, scelta del partner tecnico e progettazione, coinvolgimento dei partecipanti, creazione del soggetto giuridico, realizzazione degli impianti e gestione.
Nella pianificazione e programmazione, ad esempio, l’Ente provvederà a stabilirne obiettivi e finalità condivisi, anche attraverso una delibera di Consiglio Comunale che ne stabilisca il ruolo nella programmazione strategica dell’ente, ne verifichi l’allineamento agli strumenti di pianificazione energetico ambientali dell’ente, scelga ed adotti i criteri per individuarne i partecipanti e renda chiari e trasparenti all’esterno i fabbisogni della comunità, i soggetti che dovranno essere aggregati, la condivisione più ampia possibile della stessa con la cittadinanza, la presenza di eventuali soggetti terzi a supporto della Cer ed investitori ed infine la consapevolezza dell’Amministrazione rispetto alla motivazione ed agli obiettivi dell’azione ed alle risorse disponibili.
Nel Vademecum vengono, poi, esaminate quelle che, secondo l’Anci, sono le forme più diffuse per le Cer: l’Associazione riconosciuta, la cooperativa e, anche se meno diffusa, la fondazione di partecipazione.
L’associazione risulta di sicuro la forma più elastica a disposizione per l’aggregazione di soggetti differenti, basata su principi di democraticità (Una testa, un voto) ed è semplice da costituire con bassi costi di gestione.
E se in una fase iniziale, specialmente nei piccoli comuni con un ridotto numero di partecipanti, l’Associazione non riconosciuta può essere la forma più conveniente, al crescere dei numeri sarà consigliabile decidere di dotare l’Associazione di personalità giuridica, anche al fine di liberare gli amministratori dalla responsabilità patrimoniale.
La Cooperativa presenta diversi vantaggi, tra cui quello, in comune con l’Associazione, del “una testa, un voto”, oltre alla possibilità di applicare deroghe statutarie ed è inoltre caratterizzata dal cosiddetto Principio della “porta aperta” ovvero dalla possibilità di poter facilmente ammettere nuovi soci ed altrettanto facilmente garantirne l’uscita così come richiesto dal Decreto Cer.
La Fondazione di partecipazione rappresenta invece una figura istituzionale atipica dove sono presenti caratteri comuni alle Fondazioni ed alle Associazioni, tra i quali l’assenza di scopo di lucro. In essa, come nelle Fondazioni, sono presenti sia il Fondo di dotazione, gruppo di beni a destinazione vincolata che nella fondazione di partecipazione è a struttura aperta ed a formazione progressiva, che il Fondo di gestione, rappresentato dal patrimonio utilizzabile invece per l’attività di gestione.
Essa ricalca invece la caratteristica delle Associazioni quando ai Fondatori viene riconosciuta una prerogativa di perseguimento dello scopo fondativo, peraltro immutabile, maggiore rispetto che nelle fondazioni classiche.
Le sue caratteristiche hanno consentito agli enti di utilizzarla nel tempo come forma di “partenariato pubblico privato” ideale attraverso cui essi, destinando una esigua parte del proprio patrimonio, hanno ottenuto la partecipazione di quote rilevanti del capitale privato e delle loro capacità di gestione,
Questo in modo da poter attuare attività di interesse generale le cui realizzazioni sarebbero state invece precluse all’Ente Locale, consentendo così all’ente di limitarsi ad uno stringente controllo sul rispetto degli obiettivi prefissati.
D’altra parte, però la fondazione per sua propria struttura risulta essere una forma giuridica più onerosa da gestire, specialmente per i Comuni di dimensione più ridotta.
cooperativa ed associazione, secondo l’Anci, risultano essere invece forme snelle ed aperte, con facilità di entrata ed uscita e bassi oneri di costituzione.
Tutte e 3 le forme giuridiche risultano essere quindi compatibili con le attività, il principio di interesse generale e di non prevalenza dell’attività lucrativa che sono tre principi vincolanti per le Cer.
Tutte e tre possono inoltre diventare enti del Terzo Settore iscrivendosi al “Registro unico nazionale del terzo settore” (Runts).
La Cooperativa come “Impresa sociale” iscritta al Registro delle imprese nella sezione delle Imprese sociali, l’Associazione come “Associazione di promozione sociale”, con la possibilità di acquisire la personalità giuridica se in possesso di un patrimonio minimo netto di almeno Euro 15.000, ed infine la Fondazione di partecipazione come fondazione “Ets” iscritta nella Sezione “Altri Enti del Terzo Settore”, con la possibilità di acquisire la personalità giuridica purché dotata di un patrimonio minimo netto di Euro 30.000.
A quel punto, la Cer potrà godere di tutti i benefici relativi agli ETS, sia in campo fiscale che nell’accesso a fondi pubblici, oltre a modalità alternative di relazione con la P.A.
Va comunque qui segnalato che la qualifica di “Ente del Terzo Settore” o di “Impresa sociale” è sì compatibile con la partecipazione al suo interno di enti pubblici ma è d’altra parte incompatibile con il controllo da parte pubblica[3]. Ne deriva quindi che un ETS non potrà mai essere costituito esclusivamente da Enti pubblici.
Il Vademecum segnala infine come in una Cer partecipata da un Comune e che generi delle somme in entrata (derivanti ad esempio dalla vendita di energia in eccedenza), tali somme vengono assimilate al riparto di utili.
La Cooperativa in questo caso ha perciò il vantaggio di potere concedere ai soci un vantaggio mutualistico in via differita attraverso la ripartizione del risultato di gestione generato dai soci stessi in funzione degli scambi e dei rapporti economici intercorsi, durante l’esercizio, tra ciascuno di essi e la Cooperativa.
[1] Decreto del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica 7 dicembre 2023, n. 414.
[2] Agenzia delle Entrate nell’Istanza di Interpello n. 956 1284/2023: con la citata Circolare n. 23/E del 2022 (par. 1.6) è stato infine precisato che, ‘per quanto riguarda i soggetti diversi da quelli che producono reddito d’impresa, quanto affermato nella Risoluzione n. 18/E del 2021, relativamente alla rilevanza fiscale del corrispettivo per la vendita di energia, attiene necessariamente alla energia eccedente l’autoconsumo istantaneo’. Si ritiene che ad analoghe conclusioni possa pervenirsi anche con riferimento alle somme erogate dal GSE ad una Comunità energetica rinnovabile. Pertanto, nel caso di specie, trattandosi di Comunità energetica rinnovabile costituita nella forma di Ente non commerciale assume rilevanza fiscale solo il corrispettivo per la vendita di energia relativo alla quota di energia stessa eccedente l’autoconsumo istantaneo.
[3] Fondazione Ifel – Profili soggettivi degli Enti del Terzo Settore – Check list (Ed. 2022)
“Gli ‘Enti del Terzo Settore’ presentano i seguenti requisiti essenziali:
a) la forma giuridica di associazione, riconosciuta o non riconosciuta (come persona giuridica), o di Fondazione o di altro Ente di carattere privato diverso dalle Società;
b) l’indipendenza dai soggetti di cui all’art. 4, comma 2, ‘CTS’, ovverosia da Amministrazioni pubbliche, formazioni e associazioni politiche, sindacati, associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, associazioni di datori di lavoro, che sono poi quei soggetti ‘esclusi’ che non possono mai acquisire la qualifica di ‘ETS’; essere indipendenti significa non essere diretti o controllati da uno o più enti ‘esclusi’ (ciò si verifica, ad esempio, se lo statuto di una fondazione attribuisce al Sindaco di un Comune il diritto di nominare la maggioranza dei componenti dell’organo di amministrazione della Fondazione), ma non comporta che l’Ente ‘escluso’ non possa partecipare ad un ‘ETS’ senza averne direzione e controllo (un Comune, quindi, può essere socio di un’Associazione del Terzo Settore o fondatore di una Fondazione purché non ne assuma il controllo nel senso suindicato)”.