Con la Sentenza n. 116 dell’11 gennaio 2018, il Consiglio di Stato si esprime sul caso di alcuni Comuni che, con apposite Delibere consiliari, nel 2015 delegavano ad una Società partecipata (il cui capitale sociale era interamente detenuto, in quote diverse, dalle suddette Amministrazioni municipali), l’individuazione di un socio privato di minoranza per la cessione del 49% del capitale di quest’ultima, al fine di “dare il necessario impulso competitivo alle politiche aziendali”.
I Giudici affermano che è legittimo, in caso di cessione di una quota di minoranza del capitale di una Società interamente detenuto da Amministrazioni municipali, pretendere che il futuro socio industriale privato non abbia avuto bilanci in perdita negli ultimi 3 esercizi. La scelta di fissare specifici requisiti di ammissione e/o di partecipazione ad una gara pubblica (rispetto, ad esempio, a quelli minimi stabiliti dalla legge e/o a quelli presuntivamente risultanti dalla certificazione di iscrizione in un elenco ufficiale di prestatore di servizi) ai fini della dimostrazione del possesso dell’adeguata (rispetto alla specifica gara in questione) capacità economico-finanziaria è ampiamente discrezionale, impinge nel merito dell’azione amministrativa e si sottrae pertanto al sindacato del Giudice amministrativo, salvo che essa non sia “ictu oculi” manifestamente irragionevole, irrazionale, arbitraria, sproporzionata, illogica e contraddittoria.
Tuttavia, nel caso di specie, la scelta dell’Amministrazione di richiedere, quale requisito minimo di partecipazione, che gli ultimi 3 bilanci annuali dei soggetti interessati non avessero riportato perdite, non appare, né abnorme, né manifestamente irragionevole. Infatti, non solo si tratta di un criterio oggettivo e di immediata applicazione, per tale rispondente a criteri di certezza e trasparenza nella conduzione delle gare pubbliche, ma neppure può dirsi arbitrario o inconferente rispetto alla tutela degli interessi e delle risorse pubbliche, per di più a fronte di un’operazione non limitata ad una mera vendita di quote sociali ad un privato ma di portata più complessa, comportanti a carico di quest’ultimo anche lo svolgimento di rilevanti servizi. Quindi, è logico e legittimo pretendere, nella gestione delle pubbliche risorse, che un futuro socio industriale privato non abbia avuto bilanci in perdita negli ultimi 3 esercizi.