La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 18523 del 2 settembre 2014, si è espressa sul caso di una cittadina albanese regolarmente soggiornante in Italia, invalida con totale e permanente inabilità lavorativa che chiedeva che fosse accertata la natura discriminatoria del comportamento tenuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che aveva indetto un concorso per l’assunzione a tempo indeterminato di 5 lavoratori disabili per la copertura dei posti vacanti presso gli uffici dell’Amministrazione autonoma Monopoli di Stato, riservando la partecipazione ai soli cittadini italiani e comunitari.
La Suprema Corte ha osservato che recentemente il Legislatore con un nuovo intervento ha ampliato l’accesso ai pubblici impieghi solo a determinate categorie di cittadini extracomunitari, allo scopo di ricomprendervi i soggetti direttamente garantiti dalle Direttive comunitarie. Il riferimento solo ad alcune categorie di stranieri ammessi al pubblico impiego, a parità con il cittadino dell’Unione Europea, manifesta la persistente volontà del Legislatore di escludere le ulteriori categorie di cittadini extracomunitari non espressamente contemplati. Pertanto, in materia di rapporti con la P.A., viene riconosciuta la parità di tutti gli aspiranti lavoratori non in termini assoluti e totali ma nei limiti e nei modi previsti dalla legge e ciò non comporta incompatibilità con disposizioni costituzionali, perché non rientra tra i diritti fondamentali garantiti l’assunzione alle dipendenze di un determinato datore di lavoro. In conclusione quindi la Suprema Corte statuisce che non basta il permesso di soggiorno per accedere ai concorsi pubblici e non è una discriminazione mettere dei limiti all’assunzione di immigrati da parte dello Stato.