Conti pubblici: sono 326 gli enti locali “salvati” dallo Stato per evitare il crac alla luce della sentenza della Corte costituzionale

DOSSIER A CURA DI CENTRO STUDI ENTI LOCALI

NEL MEZZOGIORNO IL 78% DELLE RISORSE E L’83% DELLE AMMINISTRAZIONI COINVOLTE

 LA SOLA NAPOLI HA ASSORBITO IL 37% DEI FONDI STANZIATI

Sono 326 gli enti locali, il grosso dei quali meridionali (83% del totale) che sono stati “salvati” dallo Stato attraverso l’assegnazione di 660 milioni di euro che andranno a tamponare quei buchi che rischiavano di far saltare il banco facendoli finire in dissesto o in pre-dissesto, o peggiorando ulteriormente un quadro già di base “emergenziale”.

A tanto ammonta infatti la lista delle amministrazioni – 320 comuni, 4 province, una comunità montana e una unione di comuni. – che sono ricomprese nell’elenco dei beneficiari del cosiddetto fondo “Salva comuni”. Questo fondo non è altro che parte della soluzione individuata dall’esecutivo per tamponare gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 29 aprile 2021, che aveva creato nei mesi scorsi grande scompiglio, rischiando portare al collasso i conti di numerosi enti, primo tra tutti il Comune di Napoli.

La ricetta “salva Comuni”

Il fondo è stato ripartito il 27 luglio scorso, durante una seduta straordinaria della conferenza stato città, ma affonda le radici nel Decreto Sostegni bis approdato in gazzetta la settimana scorsa.

Ricordiamo che la consulta – con la sentenza citata – aveva contestato, dichiarandolo incostituzionale, il ripetuto slittamento in avanti della restituzione dei debiti e del rientro dei disequilibri finanziari legati alle modalità di contabilizzazione del “Decreto sblocca debiti”. Questa norma, varata nel 2013 dall’allora Governo Monti, fu emanata per smaltire l’enorme massa di debiti commerciali accumulati dalle pubbliche amministrazioni.

Consentendo di spalmare i debiti contratti in quella sede fino a 30 anni, e addossandoli quindi ai cittadini di domani, secondo i Giudici della Consulta, i vari esecutivi succedutisi da allora hanno violato dei principi come la solidarietà intergenerazionale e il pareggio di bilancio.

Per quegli enti che avevano fatto pesantemente ricorso a quei denari (“anticipazioni di liquidità”), gli effetti di quella pronuncia si preannunciavano come dirompenti. 

Nei casi limite, il peggioramento dei conti avrebbe potuto rendere necessario un piano di riequilibrio pluriennale per enti sani e il crac per amministrazioni già nel limbo del predissesto.

Come evitare queste infauste conseguenze senza violare i principi stabiliti dalla Consulta? In due modi: distribuendo 660 milioni di euro agli enti su cui gli effetti rischiavano di essere più pesanti e introducendo nuove deroghe per la contabilizzazione, consentendo – tra le altre cose – di restituirli in un arco di tempo massimo di 10 anni.

Ma come sono stati individuati gli enti più fragili? Le amministrazioni cui è stata gettata l’ancora sono quelle in cui il maggiore disavanzo determinato dalla restituzione accelerata dei soldi anticipati dal Governo, avrebbe superato il 10% delle entrate correnti accertate nel 2019.

Un paletto che ha portato all’individuazione di 326 enti tra i quali anche importanti amministrazioni, quali i comuni di Napoli, Torino, Reggio Calabria, Salerno, Catanzaro, Lecce e le province di Ascoli Piceno, Cosenza, Verbano-Cusio-Ossola e Vibo Valentia.

Sono proprio le grandi città ad aver incamerato gli aiuti più consistenti. Napoli da sola, con i suoi oltre 246,5 milioni, ha assorbito il 37% delle risorse messe sul tavolo. Segue Torino, con 111,9 milioni, Reggio Calabria con 45,8 milioni, Salerno con 33,1 milioni e Modica, nel ragusano, che si è vista assegnare oltre 11 milioni.

Se rapportate alla popolazione residente però questa classifica viene completamente stravolta e troviamo sul podio, nell’ordine, il Comune di Polino – micro-amministrazione del ternano che conta 215 abitanti – per i quali i 139.555 euro equivalgono a 649 euro a testa. Segue Rea, nel pavese, che sta per incamerare 221,4 milioni che, considerati i solo 400 abitanti, significa 553 euro procapite.

Al terzo posto il Comune di Castelmola, in provincia di Messina (534 euro a testa), seguito da Scalea, in provincia di Cosenza, cui è stato assegnato l’equivalente di 489 euro procapite e il molisano Montemitro, che si è fermato a 473 euro a testa.

Agli estremi opposti la XIII comunità montana dei monti Lepini e Ausoni (0,05 euro a testa), il Comune di Cirò, in provincia di Crotone, con 6,75 euro procapite, Cervaro, nel frusinate, con 12,81 euro a testa, Camigliano, in provincia di Caserta, che si è fermati a 14,64 euro e Roccarainola (Napoli) dove l’importo procapite è stato pari a 15,32 euro.

Allargando lo sguardo alle regioni, è la Calabria a farla ampiamente da patrona con 118 enti inclusi nell’elenco (circa 1 su 3) ai quali però sono andate risorse complessivamente inferiori agli 87 comuni campani che, trainati da Napoli, hanno catalizzato 340.586.120 euro contro i 119.058.908 calabresi. Seguono 48 comuni siciliani (47.878.573 euro), 26 enti laziali (12.433.227 euro), 11 comuni pugliesi (11.433.646 euro), 9 enti abruzzesi (9.587.150 euro), 7 comuni del Molise (532.776 euro), 7 enti piemontesi che – grazie all’ingombrante presenza di Torino – hanno assorbito poco meno di 112 milioni di euro.

Chiudono il cerchio 4 comuni e una unione della Lombardia, destinatari di 1.533.400 euro, 4 comuni umbri (1.713.506 euro), 1 provincia e 2 comuni marchigiani, cui sono stati assegnati oltre 1 milione e 700mila euro e il comune di Ferriere, in Emilia Romagna, cui sono stati indirizzati 96.002 euro.

Globalmente gli enti del Mezzogiorno rappresentano l’83% del totale (271 su 326) e sono destinatari del 78% delle risorse: 519.490.0213 euro sui 660 milioni totali.

Segue il centro Italia con 42 enti (13% del totale) e uno stanziamento complessivo pari a 25.471.045 euro.

Infine, il settentrione che, sebbene abbia solo 13 enti compresi nell’elenco, si è visto assegnare oltre 115 milioni di euro.

Ma quanti sono gli enti italiani attualmente in dissesto o in pre-dissesto? Al 31 dicembre 2020 erano 1.083, circa uno su 8, la maggior parte dei quali concentrati tra Calabria (86), Sicilia (83) e Campania (64).

Di questi, 683 sono in default, con la Calabria, maglia nera, che ne conta ben 193, seguita dalla Campania (173) e dalla Sicilia (80). Agli antipodi Valle d’Aosta e Friuli, uniche regioni italiane che non risultano avere enti in dissesto o riequilibrio, seguite dal Trentino, che conta solo un pre-dissesto, e dalla Sardegna che si ferma a quota 4 dissesti ed ha all’attivo zero riequilibri.

Globalmente sono in dissesto o riequilibrio quasi 7 Comuni calabresi su 10 (279 su un totale di 411) e più del 40% dei comuni campani (237 su 552) e siciliani (163 su 390).

di Veronica Potenza