Nella Delibera n. 18 del 29 gennaio 2021 della Corte dei conti Veneto, una Amministrazione comunale chiede se, per effetto dell’attuale formulazione dell’art. 14, comma 5, del Dlgs. n. 175/2016, nell’ambito della disciplina generale che regola i rapporti tra Ente Locale socio e Società a partecipazione pubblica, un’Amministrazione comunale possa perseverare nell’erogazione di un contributo a fondo perduto nei confronti di una Società partecipata, controllandone il vincolo di destinazione funzionale, ove venga meno il controllo pubblico. In particolare, tale Società risulta essere a controllo pubblico al momento dell’originaria assegnazione del contributo, ma successivamente perde siffatto connotato, figurando come priva di tale garanzia partecipativa. La Sezione ritiene che il venir meno del controllo all’origine pubblico da parte dell’Amministrazione comunale (e del conseguente servizio d’interesse generale) determini la decadenza del titolo giuridico legittimante il permanere delle erogazioni, quali “soccorso finanziario”, verso la Società la cui partecipazione comunale sopravvenuta figuri di minoranza. La questione va posta, per inciso, anche per la Società pluripartecipata. In tal caso, la fattispecie dell’art. 2359 del Cc., cui l’art. 2, comma 1, lett. b), del Dlgs. n. 175/2016 rimanda, prevede che una o più Amministrazioni dispongano, in senso cumulativo, della maggioranza dei voti esercitabili in Assemblea ordinaria oppure di voti o rapporti contrattuali sufficienti a configurare un’influenza dominante. Non ha però rilevanza la mera titolarità pubblica cumulativa da parte di una pluralità di Pubbliche Amministrazioni della maggioranza del capitale sociale, né eventuali meri comportamenti concludenti tra le stesse. Impregiudicato l’art. 2359 del Cc., “(…) il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie o gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”, ex art. 2, comma 2, lett. b), del Dlgs. n. 175/2016. In tal caso, la qualificazione di “Società a controllo pubblico” si fonda sull’effettiva influenza degli Enti partecipanti in ordine all’assunzione delle “decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale” ed è ravvisabile unicamente quando, in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, le decisioni strategiche per la vita sociale richiedano il consenso unanime delle Amministrazioni pubbliche che esercitano il controllo, restando escluso che la menzionata qualificazione possa essere desunta da “comportamenti univoci o concludenti” che consentano di configurare il “controllo congiunto” degli Enti controllanti. In conclusione, secondo la Corte Veneto, l’art. 2, comma 1, lett. b) ed m), del Dlgs. n. 175/2016, stabilisce una nozione di “controllo” sulle Società pubbliche che include anche quella del controllo pubblico “congiunto” nei termini che precedono. Per altro verso, secondo le regole generali elaborate con riguardo al modello “in house providing” tradizionale – Corte di Giustizia UE, Sentenza 8 novembre 1999, C-107/98; art. 2, comma 1, lett. c) e d), del Dlgs. n. 175/2016 – i soci pubblici debbono essere in condizione di esercitare congiuntamente, tra l’altro, un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’Organismo controllato (pluripartecipato). L’Organismo controllato (pluripartecipato) non deve così perseguire interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti. Nel caso del cosiddetto “intervento straordinario”, per quanto detto, esso può soltanto conseguire, quale atto presupponente (“a fronte di”, dice l’art. 14, comma 5, del Dlgs. n. 175/2016), ad una serie di atti presupposti (“convenzioni”; “contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti”; “Piano di risanamento”) che ne costituiscono l’antecedente logico. Orbene, la condivisione di tali atti presupposti, ove espressivi di decisioni finanziarie e gestionali strategiche per l’attività sociale, da parte di tutti i soci pubblici, è regolata dai Principi sovra citati in materia di controllo. Ne deriva che l’intervento straordinario in favore della Società in mano pubblica pluripartecipata segue, per quanto in via derivata, le regole del controllo dei soci pubblici applicabili agli atti presupposti dell’intervento stesso. Peraltro, occorre evocare anche il Principio generale enunciato all’art. 21, comma 3-bis, del Dlgs. n. 175/2016, per cui “le Pubbliche Amministrazioni locali partecipanti possono procedere al ripiano delle perdite subìte dalla Società partecipata (…) nei limiti della loro quota di partecipazione (…)”. Più in generale, secondo le norme di diritto comune, nella Società di capitali, quale unica tipologia di Società per cui è ammessa la partecipazione di un’Amministrazione pubblica, per le obbligazioni risponde soltanto la Società con il suo patrimonio (artt. 2325, comma 1, e 2462, comma 1, del Cc.), sicchè di regola anche il socio pubblico, al pari di ogni altro, resta esposto nei limiti della quota capitale detenuta e, a fronte dell’applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, nei limiti della porzione giuridica partecipativa ascritta a tali fonti precettive. Infatti, è ragionevole ritenere che tale Principio di contribuzione in proporzione alla porzione giuridica partecipativa sia estensibile per analogia alla fattispecie degli “interventi straordinari”, di che trattasi, nel caso di Società in mano pubblica pluripartecipata, salvo che nel conferimento del trasferimento straordinario ed unilaterale da parte di un socio pubblico, senza la compartecipazione degli altri, il soggetto conferente non configuri un’utilità corrispettiva – diretta od indiretta – comunque gravante sui soggetti non conferenti, escludendo in tal modo l’ipotesi dell’accollo di oneri altrui e/o dell’atto con causa mista di natura donativo/liberale.