Cosap: la sanzione per occupazione permanente abusiva è dovuta per ciascuna annualità

Nella Sentenza n. 271 del 21 febbraio 2019 della Corte di Appello di Genova, i Giudici hanno chiarito un importante concetto in termini di occupazione permanente abusiva, ai fini Cosap.

Fatto

Nell’anno 2008 venivano notificate al contribuente 5 ingiunzioni di pagamento, aventi ad oggetto il mancato pagamento del Cosap per gli anni 2004, 2005, 2006, 2007 e 2008, in relazione a 2 tende e al chiosco fiori collocati nell’area adiacente ad un cimitero.

Il contribuente proponeva opposizione alle predette ingiunzioni chiedendo, dapprima alla Commissione tributaria provinciale e poi al Tribunale territorialmente competente, la sospensione dell’esecutività delle ingiunzioni e, nel merito, che fosse accertata e dichiarata la nullità delle stesse con consequenziale revoca delle ordinanze impugnate, ovvero con rideterminazione degli importi effettivamente dovuti.

A sostegno della propria domanda, il contribuente aveva articolato 7 motivi di opposizione:

1) difetto di legittimazione attiva della società in house del Comune, incaricata dal Comune per attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi, in quanto soggetto non più autorizzato, a seguito del mancato rinnovo della convenzione con il Comune, ad emanare ingiunzioni fiscali;

2) genericità delle ingiunzioni per mancata indicazione delle tariffe applicate;

3) difetto di notifica del verbale di contestazione anteriormente alla notifica delle ingiunzioni;

4) illegittimità della richiesta del canone per essere il chiosco e le tende insistenti su area cimiteriale, non facente parte del patrimonio indisponibile del Comune;

5) legittimità dell’occupazione del suolo pubblico in virtù della concessione del Comune, non revocata né risolta dall’Amministrazione;

6) illegittimità della maggiorazione del 50% ex art. 13 comma 3 del Regolamento comunale, per la presenza della concessione rilasciata dal Comune;

7) errato calcolo degli interessi dovuti, quantificati anche in relazione alla maggiorazione del 50% e alla sanzione sopra riportata.

Si costituiva in giudizio la società in house, poi sostituita, a far data dal 27 giugno 2011, dal Comune stesso, in virtù di annullamento in autotutela della convenzione per l’affidamento dell’incarico in essere, chiedendo il rigetto dell’opposizione, in quanto:

  • non sussisteva alcun difetto di legittimazione attiva della Società in house del Comune, posto che la convenzione con il Comune, all’epoca della costituzione in giudizio, era ancora in vigore;
  • l’eccezione di mancata notifica del verbale di accertamento e contestazione dell’illecito era inammissibile perché non era stata proposta innanzi alla Commissione tributaria ove era stato in origine radicato il contenzioso;
  • l’area in cui sorgeva il chiosco era posta al di fuori dell’area cimiteriale, insistendo sulla pubblica piazza utilizzata come parcheggio;
  • il suolo pubblico era occupato abusivamente dalla contribuente. L’abusività andava ravvisata non solo nelle ipotesi di mancata concessione, ma anche nei casi in cui, pur in presenza della concessione, non venisse pagato il relativo canone;
  • la maggiorazione del 50% della sanzione era conseguenza automatica imposta dal Regolamento comunale per i casi di occupazione abusiva;
  • il calcolo degli interessi era corretto, in quanto effettuato sul totale degli importi dovuti a titolo di sanzione.

Nel 2014 il Tribunale territorialmente competente respingeva l’opposizione.

Avverso la predetta sentenza proponeva appello la contribuente affidandolo a 7 motivi di impugnazione.

Decisione

Con il primo motivo di impugnazione, la contribuente sosteneva l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della Società in house, esponendo che essa non aveva più il potere di emanare le ingiunzioni fiscali per conto del Comune. Il Comune non aveva rinnovato la convenzione che disciplinava il rapporto tra le parti, e in particolare era stata annullata la Delibera che attributiva alla Società in house la gestione delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e delle entrate patrimoniali del Comune ed era stata costituita una nuova Società in-house alla quale era stata affidata la fase di riscossione dei tributi con esclusione delle fasi di accertamento e contenzioso che erano rimaste in capo al Comune. La “vecchia” Società in house si era costituita nel giudizio nel 2009, in data successiva all’emanazione degli atti di annullamento emanati dal Comune, quando non aveva più il potere di gestione della fase del contenzioso che era passata direttamente al Comune.

Il motivo è infondato.

Secondo i Giudici, proponendo l’opposizione avverso le predette ingiunzioni, la contribuente ha introdotto un giudizio che integra una domanda diretta all’ accertamento negativo, volto a far dichiarare l’illegittimità della pretesa di cui all’ingiunzione[1], ragion per cui, se in origine la pretesa era stata fatta valere illegittimamente dalla Società in house, il Comune, costituitosi in giudizio di primo grado, è divenuto il legittimo contraddittore rispetto alla domanda volta a far dichiarare che la contribuente non è debitrice degli importi pretesi a titolo di Cosap e quindi non si pone un problema di legittimità dell’ingiunzione, occorrendo solo accertare la sussistenza o meno della pretesa.

Con il secondo motivo di appello, la contribuente sosteneva che le ingiunzioni notificate fossero indeterminate e generiche, con conseguente illegittimità di detti atti. Il motivo, a parere dei Giudici, risulta infondato in quanto nelle ingiunzioni si evincono con chiarezza tutti gli elementi necessari all’individuazione della pretesa.

Col terzo motivo di gravame parte appellante lamentava la mancata notifica del verbale di accertamento e contestazione. Anche tale motivo risulta infondato.

Invero, sostengono i Giudici, ‘’ingiunzione ex Rd. n. 639/1910, ha perso la funzione di precetto e di titolo esecutivo, mentre, conservando la sua funzione di atto accertativo della pretesa erariale, svolge la funzione propria del verbale di accertamento e contestazione[2], ragion per cui è irrilevante che la controparte non abbia eventualmente notificato alla contribuente il verbale di contestazione emesso prima delle ingiunzioni.

Con il quarto motivo di impugnazione parte appellante criticava la Sentenza impugnata per non avere ritenuto che il caso in esame ricadesse nella previsione del Regolamento Cosap che prevede l’esenzione nel pagamento del canone in caso di occupazione di aree cimiteriali. Infatti, l’occupazione del suolo in questione ricadeva all’interno dell’area di pertinenza del cimitero. Diversamente non si sarebbe spiegato per quale motivo, in costanza di applicazione Tosap, l’Ente avesse inteso regolamentare il rapporto con una specifica convenzione. Il chiosco di fiori era situato sul lato monte del cimitero, come indicato nella concessione, e l’attività era strettamente collegata con l’apertura e la chiusura del cimitero e quindi, era necessario regolamentare l’occupazione con tariffe minori stabilite nella Delibera di giunta al posto di quella più gravosa stabilita con il regolamento generale.

Ancora, il contribuente sostiene che fosse palese che il Cosap costituisse una duplicazione del canone concessorio per l’identica causa e finalità dell’entrata patrimoniale, che, pertanto, non risultava dovuto; se aveva un senso stabilire nella convenzione il pagamento anche della Tosap, atteso il minimo contenuto economico di detto tributo e la diversa natura del tributo rispetto al canone, non si poteva automaticamente, ed in difetto di espressa previsione, stabilire la sostituzione della Tosap con il Cosap e provvedere in aggiunta degli oneri concessori anche il pagamento del Cosap, in considerazione dei maggior i e più gravosi importi delle tariffe Cosap. Inoltre, nella concessione si parla va solo di Tosap a partire dall’anno 2000, affermazione cui conseguiva che le ingiunzioni erano illegittime, sia perché ingiungevano il pagamento di imposte non dovute in quanto essa opponente non poteva considerarsi abusiva, sia perché richiamavano somme indicate nelle tariffe Cosap, che non potevano trovare applicazione al caso in oggetto.

Precisava altresì l’appellante come parte dello spazio calcolato per le tende fosse già ricompreso nello spazio calcolato per il chiosco. Rilevava al riguardo l’appellante che tali censure non erano state superate dalla controparte sulla quale incombeva il relativo onere probatorio, essendo attore sostanziale nel giudizio di opposizione alla ingiunzione; che, pertanto, il primo giudice avrebbe dovuto dichiarare nulle le ingiunzioni sia perché il canone non era dovuto e sia perché il calcolo era stato effettuato su un’occupazione di area maggiore rispetto a quella effettiva.

Il motivo di impugnazione in esame viene ritenuto infondato.

Quanto al fatto che il caso in questione ricadrebbe nella previsione di cui al Regolamento Cosap, secondo cui il canone di occupazione di suolo pubblico non è dovuto per “occupazioni di aree cimiteriali”, la Corte osserva che i primi giudici hanno ritenuto che secondo l’atto di citazione in riassunzione presentato dalla contribuente, il chiosco fiori era ubicato “nell’area adiacente al lato monti del cimitero”, e quindi si poteva evincere che “il chiosco non insiste sull’area propriamente cimiteriale”.

La contribuente, in atto d’appello, richiama la concessione del 1997, evidenziando che in essa viene precisato che il chiosco è “situato nella parte a monte del cimitero”. La contribuente non ha spiegato, al fine di confutare quanto evidenziato dal primo giudice, la ragione per cui nell’atto introduttivo del giudizio dinanzi al Tribunale aveva precisato che il chiosco era ubicato “nell’area adiacente al lato monti del cimitero”, ossia non dentro al cimitero, bensì nell’area immediatamente attigua, il che consente di concludere, conformemente alla decisione del primo giudice, che il caso in questione non ricada nella previsione del Regolamento. E’ anche irrilevante che l’attività di rivendita dei fiori esercitata sia strettamente collegata all’apertura e chiusura del cimitero, non essendo tale circostanza un caso di esenzione dal pagamento del Cosap, secondo il regolamento.

Quanto alla doglianza secondo cui l’atto concessorio del 1997 prevedeva il pagamento della Tosap, ma non anche del Cosap, che costituirebbe una duplicazione del canone concessorio, i Giudici osservano che in base all’art. 63, comma 1, del Dlgs. n. 446/1997, i Comuni e le Province possono escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della Tosap assoggettando le occupazioni di spazi e aree pubbliche al pagamento di un canone di concessione (Cosap) determinato in base a tariffa. Nel caso di specie, il Comune ha optato per il Cosap, che si sostituisce alla Tosap. In base all’art. 63, comma 3, del Dlgs. n. 446/1997, dal Cosap o dalla Tosap “va detratto l’importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal comune e dalla provincia per la medesima occupazione disposizioni di legge, riscossi dal Comune e dalla Provincia per la medesima occupazione, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi”, il che significa che dall’importo dovuto a titolo di Tosap o di Cosap va detratto quello del canone concessorio riscosso dal Comune o dalla Provincia per la medesima occupazione[3]. È quindi da escludere che Cosap rappresenti una duplicazione del canone concessorio.

Quanto poi allo spazio calcolato per le tende, i Giudici osservano che in primo grado la contribuente affermava che lo spazio oggetto di concessione era occupato in parte dalla tenda e in parte dal chiosco e che tale spazio corrispondeva a mq. 101,20, mentre nel presente grado si asserisce che una parte dell’area oggetto di concessione è occupata contemporaneamente da una parte della tenda e dal chiosco, cioè si afferma la sussistenza di una sovrapposizione tra una porzione del chiosco e una porzione della tenda. Trattasi, dunque, di un fatto diverso da quello prospettato in primo grado, che richiede nuove indagini di fatto, per cui la doglianza viene considerata non ammissibile.

Con il quinto motivo di impugnazione, parte appellante ricordava che la stessa Corte d’Appello, con proprie precedenti pronunce, aveva ritenuto legittima l’occupazione del suolo pubblico in casi similari, con il conseguente annullamento delle ingiunzioni opposte. Aggiungeva inoltre che in capo ad essa appellante sussisteva una apposita concessione rilasciata dalla Giunta comunale con delibera del 1997, mai revocata o disdettata, ragion per cui essa era titolare di una legittima e valida concessione a seguito di espressa manifestazione di volontà in tal senso da parte del Comune. Aggiungeva l’appellante che, contrariamente alle affermazioni di controparte, l’atto concessorio era un atto particolare che disciplina il rapporto della occupazione di area pubblica e non poteva essere superato da un atto generale (il Regolamento comunale per l’applicazione del Cosap) in mancanza di specifica e formale comunicazione che incombeva alla P.A. procedente.

Anche tale motivo viene considerato infondato.

Le sentenze invocate dall’appellante, secondo i Giudici, non hanno rilevanza nella presente causa. Invero, la presente vertenza riguarda il preteso pagamento, da parte della P.A., dell’indennità di occupazione ex art. 13, comma 3, del Regolamento Cosap. Le succitate sentenze della Corte d’Appello, invece, avevano ad oggetto ingiunzioni di pagamento di canone per “abusiva” per periodi in cui il rapporto fra le parti era regolato da un atto concessorio del 2003.

Quanto alle ingiunzioni per cui è causa, come ha osservato il primo giudice, nel testo della delibera della Giunta municipale del 1997, avente ad oggetto il “rinnovo concessione chiosco fiori”, si legge che “la concessione avrà la durata pari ad anni sei, con nuova scadenza liberamente accettata dalle parti al 31.12.2003”. Appare quindi evidente che il titolo concessorio aveva la sua naturale scadenza in data 31 dicembre 2003, maturata la quale, in assenza di rinnovo o proroga, l’occupazione è diventata abusiva. Né può ritenersi che, in assenza di disdetta da parte della P.A., la concessione sia automaticamente rinnovata, perché non è prevista tale clausola nell’atto concessorio e quindi, in mancanza, la rinnovazione tacita non è configurabile perché contraria ai principi in materia di forma dei provvedimenti e dei contratti della Pubblica Amministrazione[4].

Con il sesto motivo di appello l’appellante sosteneva l’illegittimità della maggiorazione del 50% e della sanzione amministrativa ex art. 13, comma 3 del Regolamento comunale, sussistendo, nel caso di specie, un valido titolo che legittimava l’occupazione. Sosteneva inoltre, che non fosse corretto che sia la sanzione pecuniaria che la maggiorazione del 50% fossero previste per ogni annualità ritenuta abusiva, in quanto quand’anche si trattasse di occupazione abusiva, “trattasi di un’unica azione che essa si protrae nel tempo, il fatto generatore della violazione è unico e consiste nell’occupazione senza titolo”.

Anche tale motivo di gravame è infondato.

Quanto all’ultima doglianza sopra riportata, l’art. 13, comma 1, del Regolamento comunale prevede che “il canone per le occupazioni permanenti è applicato ad anno solare, indipendentemente dalla data di inizio nell’arco dell’anno”; mentre, secondo il comma 2 “le occupazioni abusive rendono applicabile una indennità di occupazione pari al canone che risulterebbe dovuto maggiorato del 50% e sono altresì assoggettate ad una sanzione amministrativa determinata dal Comune in misura non inferiore all’ammontare dell’indennità, né superiore al doppio della stessa”. Secondo i Giudici, se il canone è dovuto “ad anno solare”, è evidente che in caso di occupazione abusiva “il canone che risulterebbe dovuto” è il canone annuale, cui si aggiunge la maggiorazione del 50%, la quale, quindi, risulta dovuta per ogni annualità. Inoltre, il fatto che si preveda che il limite minimo della sanzione amministrativa non possa essere inferiore all’ammontare dell’indennità di occupazione rende evidente che la sanzione amministrativa vada applicata con riferimento alla indennità di occupazione complessivamente dovuta.

Con il settimo motivo di appello la contribuente lamentava l’applicazione degli interessi legali sia sulla maggiorazione che sulla sanzione pecuniaria, sostenendo che il tasso di interesse dovesse essere calcolato solo sulla tariffa dovuta in considerazione del ritardo nell’adempimento e non già anche sulla sanzione amministrativa e sulla maggiorazione. Aggiungeva anche che gli interessi per dette voci dovessero decorrere dalla notifica dell’ingiunzione e non dalla scadenza del termine previsto per il pagamento della tariffa.

Il motivo è parzialmente fondato.

Dagli atti di ingiunzione emerge che gli interessi legali sono stati applicati sul canone e sulla maggiorazione. In memoria di costituzione di primo grado la Società in house afferma che il calcolo degli interessi era corretto, in quanto effettuato sul totale degli importi dovuti a titolo di sanzione. L’art. 20, comma 6, del Regolamento comunale dispone che “sulle somme versate in ritardo si applicano gli interessi legali da calcolarsi in misura giornaliera”. Poiché le “somme versate in ritardo” sono gli importi annuali dovuti a titolo di Cosap, i Giudici ritengono che solo su tali importi devono decorrere gli interessi legali, non anche sulla maggiorazione del 50% e sul dovuto a titolo di sanzioni amministrative. Quanto alla data di decorrenza degli interessi legali, trattasi di una doglianza mai fatta valere in primo grado, quindi, sotto tale profilo, deve ritenersi inammissibile. Conseguentemente, la parte appellante è tenuta a pagare, ai sensi dell’art. 20 del Regolamento comunale, gli interessi legali, da calcolarsi in misura giornaliera, solo sull’indennità di occupazione abusiva dovuta per gli anni 2004, 2005, 2006, 2007 e 2008 e non anche sulla maggiorazione del 50% e sugli importi dovuti a titolo di sanzioni amministrative.

di Gabriele Nardi


[1] cfr. Sentenza Corte di Cassazione n. 9989/2016

[2] v. Sentenza Corte di Cassazione n. 22792/2011

[3] cfr. Ordinanza Corte di Cassazione n. 10499/2018 in motivazione e Circolare Mef n.1 del 20 gennaio 2009

[4] al riguardo, in tema di concessioni demaniali, Tar Napoli, Sentenza n. 2102 del 14 febbraio 2006