Ici: esenzione per le attività assistenziali

Nell’Ordinanza n. 12684 del 13 maggio 2019, della Corte di Cassazione, i Giudici di legittimità osservano che per quanto riguarda la sussistenza del requisito oggettivo per godere dell’esenzione Ici ex art. 7, comma 1, lett. i), del Dlgs. n. 504/1992, occorre verificare che l’attività, rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale, non bastando dunque che l’Ente svolga, per fine statutario, un’attività di tipo assistenziale, previdenziale, sanitario, ovvero di ricerca scientifica o didattica. Ciò che rileva al fine di integrare il presupposto oggettivo della causa di esenzione è quindi che l’immobile abbia quelle finalità solidaristiche alla base delle ragioni di esenzione, spettando al Giudice di merito l’obbligo di accertare, con criteri di rigorosità, le caratteristiche dell’utenza ospitata, i periodi di apertura e l’importo delle rette in relazione ai prezzi correnti di mercato.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza in epigrafe citata, ha chiarito rilevanti profili in tema di esenzione Ici/Imu per attività assistenziali.

Nella specie,la Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello di un Ente di assistenza religiosa che aveva presentato ricorso in riassunzione a seguito del rinvio dalla Cassazione per accertare la sussistenza del requisito oggettivo, in relazione al quale era contestato il diritto all’esenzione Ici relativa ad un complesso immobiliare, classificato “Casa per ferie”.

Il Comune presentava quindi ricorso per Cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 7, lett. i), del Dlgs n. 504/1992.

La decisione

Secondo la Suprema Corte la censura era infondata.

Evidenziano infatti i Giudici di legittimità che il ricorrente, lamentando un vizio di violazione di legge, intendeva in realtà censurare l’accertamento di fatto già svolto dalla Ctr, la quale, incontestato il requisito soggettivo e chiamata ad accertare il requisito oggettivo, aveva ritenuto che l’attività in esame venisse svolta con modalità non commerciali.

In particolare, i Giudici di merito avevano infatti accertato che nella struttura era stato organizzato un sistema di accoglienza mirato alla integrazione e solidarietà tra gli ospiti, tra i quali erano privilegiate le categorie maggiormente bisognose, come i disabili, le loro famiglie e le famiglie numerose, nonché gruppi giovanili che seguivano percorsi di formazione, ai quali era riservata la priorità nella prenotazione.

Le tariffe applicate poi erano sensibilmente inferiori ai listini, non solo di Case per ferie gestite da Enti religiosi, ma ancor più rispetto ai listini delle normali strutture ricettive, e la presenza di clienti non rientranti nelle categorie di ospiti da privilegiare aveva comunque dimensione minoritaria ed era essa stessa condizione per realizzare le finalità specifiche dell’accoglienza, tra cui anche quella di favorire e sviluppare l’integrazione con le persone “normali”.

Per quanto riguardava la sussistenza del requisito oggettivo, la Corte rileva del resto di avere già in passato affermato come[1] occorra verificare che l’attività, rientrante tra quelle esenti, non sia svolta in concreto con le modalità di un’attività commerciale, non bastando dunque che l’Ente svolga – per fine statutario – un’attività di tipo assistenziale, previdenziale, sanitario, ovvero di ricerca scientifica, didattica.

Ciò che rileva ai fini di integrare il presupposto oggettivo della causa di esenzione in questione – afferma la Cassazione – è quindi che l’immobile venga destinato esclusivamente allo svolgimento di una di tali attività “con modalità non commerciali” ed abbia quelle finalità solidaristiche alla base delle ragioni di esenzione, spettando al Giudice di merito l’obbligo di accertare, in concreto, le circostanze fattuali, senza far ricorso ad astrazioni argomentative.

Il requisito oggettivo di esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del citato Dlgs. n. 504/1992, va quindi accertato “con criteri di rigorosità”, e nella necessaria verifica – in ipotesi di struttura in tutto o in parte ricettiva – delle caratteristiche dell’utenza ospitata, dei periodi di apertura e, non ultimo, dell’importo delle rette in relazione ai prezzi correnti di mercato. E questo anche per evitare che il riconoscimento dell’esenzione, in un contesto di sostanziale imprenditorialità e lucratività dell’attività, si risolva nell’alterazione del regime di libera concorrenza, o nell’indebita attribuzione di un aiuto di Stato[2].

Ed a tali Principi si era correttamente attenuto, nel caso di specie, il Giudice di rinvio, laddove, secondo l’insegnamento di legittimità, al Giudice di merito “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge[3].

Osservazioni

L’indirizzo della Corte sui presupposti per avere diritto all’esenzione in esame si basa sulla considerazione, dirimente, che rientra nella nozione di attività svolta con modalità commerciali qualunque attività organizzata per la prestazione di servizi a terzi dietro pagamento di un corrispettivo funzionale ed adeguato alla copertura dei costi e alla remunerazione dei fattori della produzione.

Non è invece commerciale l’attività di prestazione di servizi che venga offerta gratuitamente, ovvero dietro pagamento di corrispettivi o contributi meramente simbolici, o comunque radicalmente inferiori ai costi di produzione.

Come anche ribadito nella Pronuncia in commento, del resto anche laddove una attività abbia finalità sociale questa non è sufficiente ad escluderne, la classificazione di attività economica, dovendo sempre valutarsi se le misure fiscali di vantaggio sono compatibili con il mercato interno, quando incidano sugli scambi tra Stati membri, favorendo talune imprese o talune produzioni e falsando, o minacciando di falsare, la concorrenza.

L’esenzione Ici di cui all’art. 7, comma 1, lett. i) del Dlgs. n. 504/1992, impone in sostanza di considerare realizzate, in senso non esclusivamente commerciale, le assistenziali che, per le concrete modalità di svolgimento, non siano orientate alla realizzazione di profitti, con onere a carico del contribuente.

Secondo l’orientamento della Corte, del resto, la nozione di imprenditore ai sensi dell’art. 2082 del Cc., va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all’attività economica organizzata, che sia ricollegabile ad un dato obiettivo, inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, che riguarda solo il movente soggettivo che induce l’imprenditore ad esercitare la sua attività.

Quando si tratta di agevolazioni o esenzioni di imposta deve del resto sempre tenersi conto dell’interpretazione di stretto diritto delle norme agevolative.

di Giovambattista Palumbo


[1] Corte di Cassazione, Sentenza n. 20776/05.

[2] Corte di Cassazione, Sentenze nn. 18091/17 e 13574/17.

[3] Ex multis, Sentenza Corte di Cassazione n. 742/15.