di Giovanni Viale
In data 12 gennaio 2022 la Camera dei Deputati ha approvato, e inviato al Senato, una Proposta di legge, che deriva dall’unificazione di 3 differenti iniziative, dal titolo “Disciplina dell’attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi”.
Di cosa si tratta? Dell’ennesimo tentativo di regolamentare l’attività di lobbying in Italia[1].
Ma cosa è l’attività di lobbying e perché l’Italia è così refrattaria a una sua regolamentazione ?
L’attività di lobbying è quella svolta da portatori di interesse per partecipare e influenzare l’elaborazione delle politiche e il processo decisionale in generale.
È evidente che questa attività presuppone 2 figure: il lobbista, colui che per proprio conto o per terzi esercita l’attività di lobbying, e il decisore pubblico che ha la titolarità delle decisioni pubbliche.
In Italia, come in generale nei Paesi fondati su un Sistema di civil law, si è sempre contrapposta l’attività di lobbying al perseguimento dell’interesse generale. Cosa differente per gli USA e in generale per i Paesi caratterizzati da un Sistema di common law, dove è normale che la rappresentanza degli interessi particolari nel procedimento decisionale concorra alla formazione dell’interesse generale.
Interessante è il lavoro di Paolo Polidori e Francesco Sestili[2], cui si rinvia per approfondimenti, che, presentano le diverse normative (o proposte, nel caso dell’Italia), sulla base di elementi omogenei che ne permettono un confronto, distinguendo tra 3 sottogruppi: Paesi UE common law, Paesi extra UE common law, e Paesi UE civil law.
Gli stessi autori rilevano, giustamente, come “pensare di azzerare l’attività di lobbying è una pura illusione, l’unica operazione sensata è tentare di gestirla ed organizzarla in forma e modi che ne enfatizzino il lato virtuoso comprimendone le derive distorsive […] in assenza di queste regole vi è il rischio che le attività di lobbying si svolgano costituendo un esercizio di potere e di privilegio contrario ai principi democratici”. E citano al proposito uno studio promosso da Transparency International sulla qualità del Sistema di lobbying in 19 Paesi membri dell’Unione Europea (UE) e 3 Istituzioni comunitarie. Classificando l’attività di regolamentazione attraverso 65 Indicatori raggruppati in 3 variabili chiave (grado di trasparenza, integrità e pari opportunità d’accesso[3]), si rileva che per i 19 Paesi dello studio il punteggio medio è di 31/100, calcolato rispetto agli standard internazionali di riferimento e alle buone pratiche più evolute. L’Italia, “anche per la mancanza di una legge sul lobbying” – dicono gli autori – è classificata al terzultimo posto, considerando la media dei 3 parametri.
L’alternativa alla regolamentazione dell’attività di lobbying, quindi, è la mancanza di trasparenza nei processi decisionali, tenuto conto che questa attività esiste comunque e, in qualche modo, è anche necessaria.
Ma quale è la situazione nella UE ?
L’art. 11 del Trattato UE prevede che le Istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le Associazioni rappresentative di interessi e con la società civile.
Rinviando ad altri studi gli approfondimenti sull’evoluzione del sistema nella UE [4], si riporta di seguito una sintesi della situazione attuale.
L’Unione Europea ha finora adottato una normativa soft, con un Registro dei rappresentati di interesse a base volontaria, oggi comune per la Commissione Europea e il Parlamento Europeo, e con Codici di condotta.
Nel 2011 (con successivo aggiornamento nel 2014) infatti è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea l’Accordo Inter-istituzionale tra il Parlamento Europeo e la Commissione Europea per l’istituzione di un “Registro per la Trasparenza” per coloro (persone fisiche, giuridiche e altre organizzazioni) impegnati nell’elaborazione e nell’attuazione delle Politiche dell’Unione. L’Accordo regola le modalità di partecipazione dei gruppi di pressione.
L’adesione al Registro, come detto, è volontaria. Parlamento e Commissione assicurano lo stesso trattamento a tutti i lobbisti. L’ambito di applicazione è molto ampio, facendovi rientrare tutte le attività che, direttamente o indirettamente, hanno lo scopo di influenzare i processi decisionali.
I lobbisti devono fornire informazioni generali, specifiche sulle loro attività e finanziarie; inoltre, devono impegnarsi a rispettare un Codice di condotta. In cambio dell’iscrizione hanno dei benefit come la possibilità di essere informati tempestivamente dell’apertura delle consultazioni sui provvedimenti di loro interesse e la possibilità di avere un pass speciale per l’accesso alle sedi delle Istituzioni europee.
Con l’aggiornamento del 2014 è stato istituito il Segretariato congiunto del Registro per la trasparenza, con il compito di sovraintendere alla sua attuazione e, inoltre, sono stati aumentati i benefit al fine di favorire l’iscrizione dei lobbisti.
Nel 2016 la Commissione ha condotto una consultazione pubblica per monitorare l’efficacia della regolamentazione e nello stesso anno ha elaborato una proposta di accordo interistituzionale tra Commissione e Parlamento europeo, con l’estensione al Consiglio, per un Registro obbligatorio, superando così il Principio di volontarietà.
Quale è la situazione in Italia ?
Non esiste ancora, come detto, un quadro normativo unitario, cosicché ciascun livello istituzionale ha promosso in autonomia misure indipendenti le une dalle altre. Ad esempio, hanno previsto regolamentazioni la Camera dei Deputati, alcuni Ministeri, l’Anac, e alcune Regioni.
È quindi evidente la necessità di dare un quadro unitario cui tutti possano ispirarsi. A parte alcuni elementi in comune (la previsione di un “registro”; la trasparenza sugli incontri; l’applicazione di sanzioni), ci sono differenze sugli altri aspetti.
In generale, dall’esperienza e dalla letteratura si traggono alcuni elementi che dovrebbero caratterizzare questa regolamentazione unitaria:
- una definizione ampia dell’attività di lobbying che comprenda, sia gli interessi diffusi, sia quelli particolari;
- l’obbligatorietà dell’iscrizione a un Registro unico nazionale gestito da un’Autorità indipendente, che abbia anche poteri di controllo sulla veridicità dei dati e sanzionatori; il Registro dovrebbe contenere tutte le informazioni relative ai lobbisti, alle materie di loro interesse, alle loro fonti di finanziamento, ecc.;
- la piena trasparenza delle attività rendendo disponibili i documenti prodotti e gli incontri effettuati;
- contrastare il fenomeno così detto del “revolving door”, cioè uno scambio di ruoli tra lobbista e decisore pubblico e viceversa;
- un Sistema sanzionatorio e premiante per i lobbisti, ma anche un Sistema sanzionatorio per i decisori pubblici che non rispettino gli obblighi previsti per loro.
Il Progetto di legge approvato dalla Camera
Di seguito i principali contenuti della Proposta di legge approvata dalla Camera dei Deputati.
L’art. 1 stabilisce che la legge disciplina l’attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi, “intesa come contributo alla formazione delle decisioni pubbliche”, e si “conforma ai Princìpi di pubblicità, di partecipazione democratica, di trasparenza e di conoscibilità dei processi decisionali”. È evidente che l’attività di lobbying viene riconosciuta anche in termini positivi, come strumento di partecipazione democratica utile ai decisori pubblici per acquisire una più ampia base informativa sulla quale fondare scelte consapevoli, pur nel quadro della trasparenza delle decisioni e della conoscibilità dei soggetti che cercano di influenzarle.
L’art. 2 dà una definizione ampia di attività di lobbying, cioè dell’ambito di applicazione della legge. L’attività di rappresentanza di interessi è definita come ogni attività finalizzata alla rappresentanza di interessi nell’ambito dei processi decisionali pubblici e svolta professionalmente dai rappresentanti di interessi che sono definiti come i soggetti che rappresentano presso i decisori pubblici interessi di rilevanza anche non generale e anche di natura non economica, anche nell’ambito o per conto di organizzazioni senza scopo di lucro o di organizzazioni il cui scopo sociale prevalente non è l’attività di rappresentanza di interessi.
Nello stesso articolo sono poi definiti anche i “decisori pubblici” (i Membri del Parlamento e del Governo; i Presidenti, gli Assessori e i Consiglieri regionali, i Presidenti delle Province e delle Città metropolitane, i Sindaci, gli Assessori e i Consiglieri comunali dei Comuni capoluogo di Regione, i Presidenti e gli Assessori dei Municipi o delle Circoscrizioni dei Comuni capoluogo di Regione; i Presidenti e i componenti delle Autorità indipendenti; gli Organi di vertice degli Enti pubblici statali; i titolari degli incarichi di vertice degli Enti territoriali e degli altri Enti pubblici; ai fini della presente legge, sono equiparati ai decisori pubblici anche i Responsabili degli Uffici di diretta collaborazione degli Organi) e i “processi decisionali pubblici” limitandoli ai procedimenti di formazione degli atti normativi e dei provvedimenti amministrativi generali.
L’art. 3 prevede le esclusioni dall’applicazione della legge; in particolare, al comma 2 sono indicate le attività di rappresentanza di interessi svolte da Enti pubblici, anche territoriali, o da Associazioni o altri soggetti rappresentativi di Enti pubblici, nonché dai Partiti o Movimenti politici, né alle attività svolte da esponenti di Organizzazioni sindacali e imprenditoriali.
Viene istituito, presso l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, il Registro pubblico, unico, in quanto sostituisce ogni altro Registro già istituito, cui i lobbisti devono iscriversi. Il Registro, tenuto in forma digitale, è articolato distintamente in una parte riservata ai soggetti iscritti e alle Amministrazioni pubbliche e in una parte ad accesso pubblico, consultabile per via telematica (art. 4).
Per quanto attiene direttamente la Pubblica Amministrazione, anche per evitare il fenomeno delle revolving doors, oltre che altre incompatibilità per conflitti di interesse, è vietata l’iscrizione al Registro:
- ai decisori pubblici, durante il loro mandato e per un anno dalla sua cessazione, se svolgono incarichi di Governo nazionale e regionale, e per la sola durata del loro mandato in tutti gli altri casi;
- i titolari di incarichi individuali, in qualità di esperti di comprovata esperienza, conferiti da Pubbliche Amministrazioni ai sensi dell’art. 7, comma 6, del Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per il periodo di durata dell’incarico;
- i titolari di incarichi individuali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in qualità di personale estraneo alla stessa, ai sensi dell’art. 9, comma 2, del Dlgs. 30 luglio 1999, n. 303, per il periodo di durata dell’incarico;
- i titolari di incarichi di funzione dirigenziale conferiti da Pubbliche Amministrazioni ai sensi dell’art. 19, comma 6, del Dlgs. n. 165/2001, per la durata del loro incarico;
- coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni di reclusione per reati contro la P.A., il Patrimonio, la personalità dello Stato e l’Amministrazione della Giustizia;
- coloro che non godono dei diritti civili e politici e coloro i quali siano stati interdetti dai Pubblici Uffici;
- coloro che esercitano funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso Enti pubblici economici, società partecipate di cui al Decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, o enti privati di cui all’art. 2-bis, comma 2, lett. c), del Dlgs. n. 33/2013, per la durata dell’incarico.
Nel Registro sono indicati a) i dati anagrafici o la denominazione sociale e il domicilio professionale della persona fisica o dell’Ente, Società, Associazione o altro soggetto che svolge l’attività di rappresentanza di interessi; b) i dati identificativi del soggetto titolare degli interessi per conto del quale è svolta l’attività di relazione; c) le risorse umane ed economiche delle quali il rappresentante di interessi dispone per lo svolgimento dell’attività. Nello stesso Registro il rappresentante di interessi inserisce e aggiorna settimanalmente l’agenda dei propri incontri con i decisori pubblici. Le informazioni contenute nell’agenda, devono essere in formato aperto e riutilizzabile nella parte accessibile al pubblico. Per ciascun incontro, il rappresentante di interessi fornisce anche la documentazione contenente proposte, ricerche e analisi eventualmente trasmessa in occasione dell’incontro o successivamente ad esso. È prevista una procedura attraverso la quale i decisori pubblici possono presentare un’istanza di opposizione all’inserimento delle informazioni che ritengono integralmente o parzialmente non veritiere nella parte del Registro ad accesso pubblico. (art. 5).
Presso l’Autorità anzidetta è istituito il Comitato di sorveglianza che a) tiene il Registro, vigilando sull’esattezza e sull’aggiornamento dei dati inseriti in esso dai rappresentanti di interessi; b) riceve le relazioni annuali dei rappresentanti di interessi, curandone la pubblicazione nella parte del Registro ad accesso pubblico; c) redige una relazione annuale sull’attività dei rappresentanti di interessi e la trasmette al Presidente del Consiglio dei Ministri e alle Camere; d) vigila e raccoglie segnalazioni sull’osservanza delle disposizioni della presente legge e del Codice deontologico da parte dei rappresentanti di interessi e irroga le sanzioni nel rispetto del Principio del contraddittorio (art. 7).
È il Comitato di sorveglianza che adotta il Codice deontologico che il rappresentante di interessi si impegna a rispettare (art. 6).
È prevista una procedura di consultazione sui processi decisionali: ciascun decisore pubblico che intenda proporre o adottare un atto normativo o regolatorio di carattere generale può (non deve) indire una procedura di consultazione pubblicandone notizia nella parte del Registro ad accesso pubblico e inserendo lo schema dell’atto o l’indicazione dell’oggetto di esso nella parte ad accesso riservato (art. 10).
L’art. 11 disciplina il Sistema sanzionatorio, e in caso di cancellazione dal Registro, il rappresentante di interessi non può chiedere una nuova iscrizione nel Registro prima che siano decorsi 2 anni dalla data del provvedimento di cancellazione.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e gli Organi costituzionali, ciascuno nell’ambito della propria autonomia, devono adeguare i propri ordinamenti ai Princìpi della legge.
La Proposta di legge sembra aderire a quanto auspicato ed ai Principi ispiratori generalmente riconosciuti, seppure con alcune debolezze rispetto agli impegni e agli obblighi dei decisori pubblici.
È però utile richiamare quanto affermato da Paolo Polidori e Francesco Sestili laddove, nell’articolo citato, commentando il lavoro svolto sulle normative esistenti, rilevano “un argomento che merita un approfondimento è la relazione che esiste fra norme formali e norme sociali in materia di lobbying. Infatti è curioso notare come i paesi che secondo Transparency International hanno un basso indice di corruzione percepita, quali i Paesi scandinavi, siano quelli che non si sono dotati di una normativa specifica sulla rappresentanza di interessi. Mentre un paese di common law, come gli Stati Uniti, con normative più esaustive lamenti, almeno in letteratura, una forte incidenza di comportamenti sia corruttivi sia volti a raggirare la normativa in oggetto. La questione può essere spigata in due modi: il primo è che norme specifiche non sono in grado di impattare sul fenomeno del lobbying almeno per quello che riguarda la sua correlazione con comportamenti corruttivi. Nel qual caso avrebbe poco senso continuare ad esplorare le normative esistenti (dunque di tipo formale) nel tentativo di individuare quali regole possono essere più efficaci nel regolamentare il fenomeno della rappresentanza di interessi con lo scopo di contenerne gli aspetti devianti. La seconda spiegazione è da ricercarsi nel trade-off esistente fra norme sociali e norme formali. Ovvero quando le prime sono molto forti il bisogno di ricorrere alle seconde si riduce, il contrario accade quando le prime risultano essere meno radicate. Seguendo questa seconda interpretazione le differenze fra caso scandinavo e caso americano parrebbero perfettamente giustificate. Dove il rifiuto sociale verso fenomeni corruttivi è più forte il bisogno di regolamentare in maniera stringente i meccanismi di rappresentanza di interessi appare superfluo. Il contrario accade in un sistema come quello americano caratterizzato da un sistema economico più aperto al mercato e da meccanismi di rispetto delle regole sociali meno radicati e più orientato al business”.
[1] Secondo la American Chamber of Commerce in Italy in “La regolamentazione dell’attività di lobbying in Italia”, gennaio 2020 (https://www.amcham.it/it/download/comitato-gruppidilavoro/8): “Sul tema della regolamentazione dell’attività di lobbying dal 1976 ad oggi sono stati presentati in Parlamento numerosi progetti di legge (se ne contano 657 cui vanno aggiunti 11 Progetti di legge attinenti alle pubbliche relazioni)”.
[2] Paolo Polidori e Francesco Sestili, “La regolamentazione delle attività delle attività di lobbying: esperienze internazionali a confronto”, Journals UniUrb, 2019 (https://journals.uniurb.it/index.php/studi-A/article/view/2125/1896).
[3] “Trasparenza: ovvero la facilità, o difficoltà di sapere chi sta interagendo con il decisore pubblico, su quali temi e con quali risorse e strumenti. Integrità o permeabilità alla corruzione: ovvero la capacità di riuscire a separare con chiarezza l’attività lecita di rappresentanza di interessi da quella di influenza illecita. Accessibilità: cioè la definizione degli spazi fisici e virtuali nei quali l’interazione, diretta o indiretta, fra portatori di interessi e soggetti che rappresentano le istituzioni è possibile”.
[4] Paolo Polidori e Francesco Sestili, “La regolamentazione delle attività delle attività di lobbying: esperienze internazionali a confronto”, Journals UniUrb, 2019 (https://journals.uniurb.it/index.php/studi-A/article/view/2125/1896); Elisabetta Romani, “La regolazione del lobbying e il potere di vigilanza di Anac”, Il diritto dell’economia, 2020 (https://www.ildirittodelleconomia.it/wp-content/uploads/2020/03/17Romani.pdf).