La “separazione contabile” ex art. 6, comma 1, del Tusp, per le “Società a controllo pubblico” come primo adempimento nel bilancio di esercizio 2020

Indice

1. Art. 6 comma 1: la fonte normativa contenuta nel Tusp

2. Le diverse disposizioni in materia di “separazione contabile” presenti nell’ordinamento

3. La separazione societaria nel precedente dell’art. 13 del “Decreto Bersani” 

4. Diritti speciali e diritti esclusivi: rassegna

5. La Direttiva del Mef

6. Dicotomie interpretative fra Direttiva Mef e Dlgs. n. 333/2003

7. I “servizi pubblici locali” ed i “servizi strumentali” come esercizio di “diritti speciali o esclusivi”: aspetti operativi

8. I controlli

9. Le Società multiutilities

10. Le holding di partecipazioni degli Enti Locali

11. Le Società a controllo pubblico quotate

____________________________

  1. Art. 6, comma 1, del Tusp: la fonte normativa contenuta nel Tusp

Il comma 1 dell’art. 6 del Dlgs. n. 175/2016 (“Testo unico delle Società a partecipazione pubblica” – “Tusp”), ha un contenuto normativo diverso rispetto agli altri commi dello stesso articolo, poiché non riguarda la governance e l’organizzazione della Società pubblica in generale, ma uno specifico aspetto che attiene in modo diretto al profilo della tutela della concorrenza. Esso stabilisce infatti che “le Società a controllo pubblico, che svolgano attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, insieme con altre attività svolte in regime di economia di mercato, in deroga all’obbligo di separazione societaria previsto dal comma 2-bis dell’art. 8 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287, adottano sistemi di contabilità separata per le attività oggetto di diritti speciali o esclusivi e per ciascuna attività”.

Secondo autorevole dottrina, la norma istituisce “un ‘privilegio organizzativo’ a favore delle Società in mano pubblica, che sembra doversi spiegare essenzialmente per ragioni di economicità, esentandole dall’applicazione del (più oneroso) obbligo di separazione societaria che scatta in tutti i casi in cui un’Impresa, titolare per legge di un diritto di monopolio o esercente ‘servizi d’interesse economico generale’, intenda operare anche in altri mercati o esercitare attività diverse da quelle protette da diritti speciali o esclusivi.[1]

Risulta evidente che la disposizione si pone a diretta declinazione dell’art. 106 del Tfue, secondo cui “gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle Imprese pubbliche e delle Imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei Trattati, specialmente a quelle contemplate dagli artt. 18 e da 101 a 109 esclusi. 2. Le Imprese incaricate della gestione di ‘servizi di interesse economico generale’ o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata […]”. Prescrivendo la separazione dell’attività primaria svolta sulla base di diritti speciali o esclusivi da quelle complementari si vuole evitare infatti che l’Impresa possa sfruttare su altri mercati, aperti alla concorrenza, il vantaggio che le deriva dal regime protetto in cui essa opera legalmente.

La “separazione contabile” implica verosimilmente l’adozione di un modello organizzativo di tipo “multi-divisionale” da parte della Società e, in ogni caso, di un adeguato sistema informativo e contabile, che consenta l’individuazione dei costi e ricavi imputabili a ciascun “Settore” e la distinta rendicontazione dei risultati dell’attività.[2]

La dottrina ha sottolineato la evidente sostanziale equivalenza dei presupposti della norma in commento con quelli dell’art. 8, comma 2-bis, della Legge n. 287/1990, che richiama il precedente comma 2, riguardante le “Imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di ‘servizi di interesse economico generale’ ovvero operano in regime di monopolio sul mercato”; e ha osservato altresì che,“se la Società a controllo pubblico opera già, nei Settori diversi da quelli esercitati in base a diritti speciali o esclusivi, secondo il modulo organizzativo della ‘separazione societaria’, può anche mantenerlo perché esso presenta un quid pluris, in termini di trasparenza e tutela della concorrenza, rispetto alla mera ‘separazione contabile’”.Infatti, dal punto di vista della tutela della trasparenza delle informazioni, la “separazione societaria” (evocata dall’art. 8, comma 2-bis, sopra citato) e la “separazione contabile” (evocata dall’art. 6, comma 1, come interpretazione autentica del predetto art. 8, comma 2-bis) sono entrambi pratiche di unbundling. Si ricorda che per unbundling si intende la separazione tra le varie componenti della filiera produttiva di un’Impresa verticalmente integrata finalizzata ad introdurre una maggiore competitività nel mercato di riferimento. L’unbundling. promuove l’apertura del mercato nei segmenti potenzialmente concorrenziali (produzione, approvvigionamento e vendita), separandoli dalle attività strutturalmente monopolistiche e favorendo l’accesso reale e non discriminatorio dei terzi ai servizi offerti dai proprietari delle infrastrutture (Third Party Access, TPA). Le attività caratterizzate da monopolio naturale sono tipicamente quelle legate alle infrastrutture essenziali non duplicabili (essential facilities), in quanto gravate da elevati costi fissi e costi non recuperabili (sunk cost). Nel Settore energetico, l’unbundling ha avuto un ruolo fondamentale nel sostenere il processo di liberalizzazione del mercato, rafforzando la neutralità della gestione delle infrastrutture (trasmissione, distribuzione e misura nel Settore dell’Energia elettrica; trasporto, distribuzione, misura, stoccaggio e rigassificazione, nel Settore del Gas) e favorendo la concorrenza. Un altro caso rilevante di unbundling riguarda la separazione tra le diverse attività di imprese multiservizi (per esempio, Energia elettrica e Gas o Gas e Acqua, unbundling orizzontale), con la finalità di impedire o limitare la creazione di sussidi incrociati, che possono ostacolare l’entrata di nuovi concorrenti sul mercato di uno specifico Servizio.[3] Il bundling, al contrario, consiste invece nel raggruppare servizi diversi per venderli come pacchetto a un prezzo prefissato. I vantaggi del bundling sono legati alla diminuzione dei costi amministrativi e allo sfruttamento di economie di scala o di scopo. Rispetto al bundling, l’unbundling contribuisce ad aumentare la trasparenza dei costi e migliorare le basi informative per le attività di regolazione, a tutela dei clienti finali.

Da un lato la fonte normativa sopra citata e dall’altro si consideri anche che, in base all’art. 15 del Tusp, la “Struttura” del Ministero dell’Economia e delle Finanze competente per l’indirizzo, il controllo e il monitoraggio sull’attuazione del Tusp, oltre a promuovere le “migliori pratiche” presso le Società a partecipazione pubblica, è stata chiamata ad adottare nei confronti delle stesse le “direttive sulla separazione contabile” e a verificarne il rispetto e la trasparenza informativa.

In particolare, il Dlgs. n. 333/2003 definisce come Impresa pubblica o privata “soggetta all’obbligo di tenere una ‘contabilità separata’” (art. 2) “ogni Impresa che fruisce di diritti speciali o esclusivi riconosciuti da uno Stato membro a norma dell’art. 86, paragrafo 1, del Trattato (oggi art. 106 del Tfue) o è incaricata della gestione di ‘servizi di interesse economico generale’ a norma dell’art. 86, paragrafo 2, del Trattato (oggi art. 106 del Tfue), che riceve compensazioni in qualsiasi forma per prestazioni di servizio pubblico in relazione a tali servizi e che esercita anche altre attività”.

Ai fini della trasparenza delle relazioni finanziarie, le Imprese che beneficiano della assegnazione di risorse pubbliche, in qualsiasi forma – e cioè, secondo l’art. 4 del Dlgs. n. 333/2003: a) ripianamento di perdite di esercizio; b) conferimenti a capitale sociale o dotazione; c) conferimenti a fondo perduto o prestiti a condizioni privilegiate; d) concessione di vantaggi finanziari sotto forma di non percezione dei benefici o di non restituzione dei crediti; e) rinuncia a una remunerazione normale delle risorse pubbliche impiegate; f) la compensazione di oneri imposti dai poteri pubblici) – iscrivono tali assegnazioni in un apposito registro obbligatorio (art. 5 del Dlgs. n. 333/2003). Inoltre, in base all’art. 6 dello stesso Decreto, le Imprese soggette all’obbligo di tenere una “separazione contabile” sono tenute altresì: a) alla separazione dei conti interni corrispondenti alle attività distinte; b) alla corretta imputazione o attribuzione dei costi e dei ricavi, sulla base di Principi di contabilità dei costi applicati in modo coerente e obiettivamente giustificati; c) alla chiara definizione dei Principi di contabilità dei costi, in base ai quali sono tenuti i conti separati; d) alla predisposizione di una relazione sui sistemi di contabilità dei costi applicati.

Sebbene l’ambito di applicazione diretta del Dlgs. n. 333/2003 sia ristretto dal sistema di esclusioni e di soglie previsto dall’art. 9 e sollevi problemi di coordinamento con il Tusp (donde appunto le previsioni di “orientamenti e indicazioni” in materia da parte della competente Struttura Mef ex art. 15 del Tusp), non v’è dubbio che il testo normativo fornisca una serie di spunti interpretativi importanti circa il modo in cui attuare, nelle “Società a controllo pubblico”, l’obbligo di “separazione contabile”.[4]

  • Le diverse disposizioni in materia di “separazione contabile” presenti nell’ordinamento[5]

2.1. Separazione contabile” e Trasparenza

Si deve evidenziare che il bene protetto dai sistemi di unbundling è la trasparenza delle informazioni finanziarie, presupposto della tutela della concorrenza.

Il raggiungimento di un adeguato livello di trasparenza, in tutte le sue diverse accezioni, costituisce un obiettivo centrale in materia di aiuti di Stato. La complessa regolamentazione posta dall’Unione Europea, al fine di prevenire la concessione di aiuti incompatibili con il mercato interno, non può infatti trovare piena ed effettiva attuazione se non è assistita e completata da un’adeguata normativa in materia di Trasparenza.

In questa sede si porterà all’attenzione che l’esigenza di trasparenza viene intesa come trasparenza delle relazioni finanziarie tra lo Stato, latu senso inteso, ed i potenziali beneficiari degli aiuti (di Stato).

2.2       Trasparenza e relazioni finanziarie

2.2.1.   La Direttiva 2006/111/EC

La necessità di rendere trasparenti i trasferimenti di denaro pubblico, direttamente o indirettamente, è stata particolarmente avvertita proprio con riferimento alla materia degli aiuti di Stato, in quanto il trasferimento di risorse statali costituisce uno dei 4 elementi che integrano un aiuto di Stato, ai sensi dell’art. 107 del Tfue[6].

Conseguentemente, il Legislatore europeo ha elaborato un sistema di regole volte a facilitare il ruolo di sorveglianza della Commissione; regole che sono state ripetutamente modificate ed integrate, sino all’adozione dell’attuale Direttiva 2006/111/CE relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro Imprese pubbliche e alla trasparenza finanziaria all’interno di talune Imprese.

La ratio sottesa all’adozione di tali regole è subito chiarita nel Preambolo della Direttiva, il quale afferma che “un’applicazione efficace ed equa alle Imprese pubbliche e private delle regole del Trattato relative agli aiuti non può essere operata sino a quando tali relazioni finanziarie non siano rese trasparenti. Peraltro, in materia di Imprese pubbliche, detta trasparenza deve permettere di distinguere chiaramente fra il ruolo dello Stato in quanto potere pubblico ed in quanto proprietario”.

Il titolo della Direttiva CE identifica subito i 2 tipi di relazioni finanziarie sottoposte agli obblighi di trasparenza: (a) le assegnazioni di risorse pubbliche che lo Stato elargisce, anche indirettamente, a favore delle Imprese pubbliche e (b) le assegnazioni che vedono coinvolte determinate Imprese, pubbliche o private, tenute alla “separazione contabile” in quanto svolgono contemporaneamente “servizi di interesse pubblico” e attività in regime concorrenziale.

Conseguentemente, la Direttiva CE stabilisce, all’art. 1, 2 obblighi fondamentali: (1) assicurare la trasparenza delle relazioni finanziarie tra poteri pubblici (i.e. lo Stato in senso stretto) ed Imprese pubbliche, facendo risultare le assegnazioni dirette o indirette di risorse pubbliche 10; (2) assicurare che la struttura finanziaria e organizzativa delle Imprese tenute all’obbligo di “separazione contabile” sia tale da consentire di individuare chiaramente – ovvero in modo trasparente – i costi e ricavi delle diverse attività ed i relativi metodi di allocazione.

Al riguardo, la Direttiva CE chiarisce che sono tenute all’obbligo di “separazione contabile” tutte quelle Imprese che (i) fruiscono di diritti speciali o esclusivi riconosciuti da uno Stato membro ai sensi dell’attuale art. 106, comma 1, del Tfue, (ii) sono incaricate della gestione di “servizi di interesse economico generale” (“sieg”) a norma dell’art. 106, comma 2 del Trattato, che ricevono compensazioni in qualsiasi forma per prestazioni di servizio pubblico in relazione a tali servizi e che esercitino anche altre attività, in regime di mercato.  In altre parole, Imprese che svolgono “attività miste”.

L’obbligo di “separazione contabile” viene quindi imposto proprio a quelle Imprese che sono più a rischio di trasformare una legittima assegnazione in un aiuto di Stato illegittimo, in particolare attraverso la pratica dei finanziamenti incrociati.

Lo scopo è quello di stabilire condizioni e trattamenti economici speciali (sotto forma di diritti esclusivi, speciali o compensazioni) a determinati operatori per neutralizzare un fallimento di mercato e per svolgere un determinato servizio secondo modalità e livelli che nessun operatore privato potrebbe garantire o che comunque non garantirebbe “spontaneamente” a quelle condizioni; ciò nondimeno si doveva evitare che le Imprese destinatarie facciano un uso distorto ed anticoncorrenziale di tali attribuzioni speciali, soprattutto se operano altresì in regime di concorrenza con altri operatori privati.

Appare opportuno precisare come il rispetto di questi obblighi di trasparenza, ed in particolare di “separazione contabile”, è stato espressamente ribadito dalla Commissione Europea anche con riferimento alle Imprese c.d. “in house providing”. La Commissione ha infatti precisato che “la decisione di un’Autorità pubblica di non permettere a terzi di svolgere un determinato servizio (ad esempio, perché desidera prestare il servizio in proprio), non esclude l’esistenza di un’attività economica. Nonostante tale chiusura del mercato, un’attività economica può esistere se altri operatori sono disposti a fornire il servizio nel mercato interessato e possono farlo. In linea generale, il fatto che un particolare servizio sia prestato in proprio non incide sulla natura economica dell’attività”.

Pur non menzionando direttamente, né la formula “in house providing”, né la normativa in materia di aiuti di Stato, la Commissione con questa affermazione sembra voler regolare anche l’interazione tra questi 2 aspetti, posto che la normativa sugli aiuti di Stato si applica ogni qual volta si è in presenza di un’attività economica.

Per il vero, secondo la dottrina citata in nota, con tale assunto la Commissione ha inteso più in generale sottolineare l’esigenza di trasparenza proprio in quei Settori non ancora aperti alla concorrenza. In altre parole, riprendendo la schematizzazione proposta nell’Introduzione di questo lavoro, la Commissione mira qui a garantire, tanto la prima, quanto la seconda accezione di “Trasparenza”: trasparenza delle relazioni finanziarie e trasparenza nei Settori non ancora interamente aperti al mercato.

La scelta di porre tutte le attività pubbliche “svolte in proprio” dallo Stato sotto l’egida della normativa sugli aiuti di Stato e, quindi, anche delle relative regole in materia di trasparenza finanziaria rileva dunque per il sistema del citato “in house providing”. Secondo l’angolo di visuale prospettato, tale scelta appare coerente con la già menzionata ratio, propria dell’obbligo di “separazione contabile”.[7]

2.2.2    La complessa e stratificata trasposizione a livello nazionale

La Direttiva 2006/111/CE contiene le regole sulla trasparenza delle relazioni finanziarie “pubbliche”.  A livello nazionale sono state emanate diverse disposizioni al riguardo per la relativa trasposizione nella legislazione domestica, secondo un procedimento stratificato nel tempo ed il cui risultato attuale è la compresenza di regole solo in parte complementari, contenute in testi normativi diversi, continuamente modificati, e non sempre immediatamente riconducibili alla normativa in materia di aiuti di Stato.

2.2.2.1. La trasposizione dell’obbligo di separazione contabile

L’obbligo di “separazione contabile” è contenuto e disciplinato in 3 diversi testi normativi nazionali.

Il primo testo legislativo che viene in rilievo è la c.d. “Legge Antitrust” del 1990, il cui art. 8, comma 2[8], stabilisce, in linea generale, che le Imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di “servizi di interesse economico generale” ovvero operano in regime di monopolio sul mercato non sono tenute al rispetto delle regole in materia di concorrenza – poste dalla stessa “Legge Antitrust” – per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati. Tuttavia, il successivo comma 2-bis subito precisa che qualora tali Imprese intendano svolgere anche altre attività in mercati diversi, in regime concorrenziale, esse sono tenute ad operare mediante Società separate.

In caso di costituzione di tali Società separate, la norma impone l’obbligo di preventiva comunicazione all’Autorità Antitrust, prevedendo una specifica sanzione in caso di violazione.

In modo chiaro la norma stabilisce altresì che qualora tali Imprese rendano disponibili beni o servizi di cui abbiano la disponibilità esclusiva in dipendenza delle attività svolte ai sensi del comma 2, a Società da esse partecipate o controllate nei “mercati diversi”, esse sono tenute a rendere accessibili tali beni o servizi, a condizioni equivalenti, alle altre Imprese direttamente concorrenti. Il Legislatore precisa espressamente che tale obbligo è imposto “al fine di garantire pari opportunità di iniziativa economica”.

Pur perseguendo la medesima ratio, la previsione interna impone quindi uno standard di separazione più elevato rispetto a quello previsto dalla Direttiva Europea sulla Trasparenza, dal momento che richiede, non una semplice “separazione contabile”, ma una vera e propria “separazione societaria”.

L’obbligo di “separazione societaria”, indubbiamente garante di un elevato livello di trasparenza delle relazioni finanziarie pubbliche, rappresentato un onere organizzativo gestionale molto incisivo per le Imprese interessate, contribuendo alla proliferazione di un gran numero di entità pubbliche nel mercato interno; fenomeno, quest’ultimo, che ha portato spesso a gravi inefficienze e sprechi sul piano economico.

La modifica legislativa prevista dal Tusp all’art. 6 è stata introdotta proprio al fine di ridurre questi fenomeni e favorire l’ormai prevalente ottica di liberalizzazione e dismissione delle quote societarie pubbliche non strettamente necessarie al perseguimento di interessi pubblici.

L’art. 6 del Tusp ha infatti introdotto un’importante deroga alla regola generale posta dall’art. 8 della “Legge Antitrust”. Il Legislatore nazionale ha inteso adeguarsi allo standard europeo, almeno con riferimento ad un certo tipo di Imprese pubbliche. Non sfugge al riguardo sottolineare come la nozione di “Impresa soggetta a controllo pubblico” non equivalga a quella di “Impresa pubblica”.

L’analisi compiuta della nozione di “Impresa soggetta a controllo pubblico”, così come delle eventuali ipotesi in cui in concreto si possano avere Imprese affidatarie di “sieg” che non siano altresì destinatarie di diritti esclusivi o speciali, trascende l’obiettivo del presente lavoro. Preme qui solo sottolineare come, sebbene l’art. 6 si ponga formalmente come una deroga alla regola generale di “separazione societaria”, il suo impatto generale è molto rilevante in quanto si applica alla maggior parte delle Imprese che svolgono attività miste.

A complicare ulteriormente il quadro sin qui delineato si pone il Dlgs. 11 novembre 2003, n. 333, il quale ha dato attuazione alla Direttiva 2000/52/CE, che interveniva a modificare l’originaria versione del 1980 della Direttiva sulla “Trasparenza” e che è stata ormai abrogata dall’attuale Direttiva 2006/111/EC (vedi supra). Tuttavia, la trasposizione a livello nazionale è rimasta almeno formalmente operante ed invariata e crea quindi non pochi problemi di coordinamento con le 2 previsioni dell’art. 8 della “Legge Antitrust” e dell’art. 6 del Tusp.

Il Dlgs. n. 333/2003 infatti ha introdotto, in maniera assolutamente tralatizia, anche dal punto di vista della struttura del testo normativo, gli obblighi previsti dalla vecchia Direttiva europea sulla “Trasparenza”, incluso l’obbligo di “separazione contabile”.

A questo punto, sorgono 2 quesiti:

  • quale sia stata la necessità per il Legislatore del Tusp di introdurre una specifica deroga alla “separazione societaria” (e a far riferimento unicamente alla “Legge Antitrust”), posto che tale possibilità era già prevista, in via generale, in forza del Dlgs. n. 333/2003;
  • la riforma del 2016 del Tusp debba intendersi come abrogatrice, in modo implicito, di quanto previsto dalla normativa del 2003.

Il quadro che emerge è caratterizzato da disorganicità e mancanza di attenzione nel raccordare le norme pertinenti; tuttavia, un argomento contrario all’abrogazione potrebbe rinvenirsi nel più ristretto ambito di applicazione del Dgs. n. 333/2003, il cui art. 9 prevede un sistema di soglie e di limitazioni che ne riduce di fatto il perimetro applicativo[9]. Invece, tanto la “Legge Antitrust” che il Tusp non sembrano prevedere alcun tipo di soglia in tal senso. La modifica introdotta dall’art. 6 quindi potrebbe servire ad ampliare il privilegio organizzativo del regime di “separazione contabile” anche a tutte quelle “Imprese soggette a controllo pubblico” sinora escluse dal Decreto legislativo del 2003.

2.3 La separazione contabile nel Codice Civile: perseguimento di altre finalità

Si rammenti che l’istituzione di sistemi di “separazione contabile” (e patrimoniale) è prevista, in generale, dal Codice civile per le Società che abbiano emesso azioni correlate (art. 2350, comma 2) o istituito patrimoni destinati (art. 2447-sexies) o contratto un finanziamento destinato a uno specifico affare (art. 2447-decies), oltre che dalla normativa tributaria per le attività economiche degli Enti non commerciali (art. 144 del Tuir – Dpr. n. 917/1986) e dalla legislazione speciale dei Settori regolati (art. 47 del Dlgs. n. 177/2005 – Tusmar; art. 25 del Dlgs. n. 93/2011, recante la disciplina del mercato interno dell’Energia elettrica e del Gas naturale).

  • La “separazione societaria” nel precedente dell’art. 13 del “Decreto Bersani[10]

Nell’ambito della disciplina delle “Società a partecipazione pubblica”, già antecedentemente alla entrata in vigore del Tusp si era concentrato la rilevanza dell’art. 8 della Legge n. 287/1990 relativamente alla distinzione tra “Società a partecipazione pubblica” operanti in regime di affidamento diretto (“Organismi dedicati”) e “Società a partecipazione pubblica” operanti in regime di concorrenza (“Società di mercato”).

L’autorevole dottrina qui citata approfondisce l’argomento a commento della Sentenza 4 maggio 2012, n. 865, del Tar Toscana, Sezione I, che ha respinto il ricorso per l’annullamento dell’aggiudicazione di un appalto per la gestione del Servizio “Energia” e del Servizio “Manutenzione degli impianti termici ed elettrici” di pertinenza dell’Amministrazione pubblica che aveva bandito la gara, aggiudicatasi da una “Società a partecipazione pubblica”. All’epoca era in vigore l’art. 13 del c.d. “Decreto Bersani” (oggi abrogato dal Tusp) in commento in proseguo.

Venivano dunque in questione le disposizioni di legge (all’epoca vigenti) che prevedevano restrizioni alla capacità di azione delle “Società a partecipazione pubblica” beneficiarie di affidamenti diretti di “servizi strumentali” a favore delle P.A. di riferimento, nonché le disposizioni di legge che parimenti prevedevano limiti di azione per i soggetti beneficiari di affidamenti diretti di “servizi pubblici locali”. Questa seconda categoria di norme si riferiva genericamente a tutti gli affidatari diretti (indipendentemente dal loro azionariato), ma è chiaro che, nei fatti, finisce per applicarsi alle sole “Società a partecipazione pubblica”, le quali, in forza del previgente ordinamento, potevano (esse e non i soggetti privati) ottenere affidamenti diretti [cfr. art. 22, comma 3, lett. e), della Legge 8 giugno 1990, n. 142].

Si tratta in particolare dell’art. 13 del Dl. 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni nella Legge 4 agosto 2006 n. 248, e dell’art. 4, comma 33, del Dl. 13 agosto 2011 n. 138, convertito con modificazioni dalla Legge 14 settembre 2011 n. 148.[11] Tali norme – che si collocavano nell’ambito di un insieme di disposizioni legislative, in quegli anni, che statuivano limitazioni per determinate “Società a partecipazione pubblica” – intendevano creare, al fine di tutelare la concorrenza, una netta distinzione tra chi opera in base ad affidamenti diretti e chi invece agisce sul mercato, partecipando a gare ovvero occupandosi di attività liberalizzate (quali, ad esempio, produzione e vendita di Energia elettrica e vendita del Gas). La finalità di tali disposizioni è infatti la tutela della concorrenza, che potrebbe essere pregiudicata dalla posizione privilegiata di cui godono i soggetti che beneficiano di affidamenti diretti.

Lo scopo delle norme qui da ultimo considerate era quello di evitare una commistione, potenzialmente pregiudizievole per la concorrenza, tra le Società che, essendo state costituite per l’espletamento di una specifica missione a favore delle Amministrazioni socie, beneficiano di affidamenti diretti (“Organismi dedicati”), e quelle Società che, non essendo dedicate allo svolgimento di attività in favore degli Enti pubblici soci o della collettività di riferimento, si sottomettono alle gare ed operano nel mercato in parità di condizioni con gli altri operatori (“Società di mercato”)[12].

Dunque, la dottrina citata ritiene che la Corte Costituzionale, impiegando la suindicata locuzione, abbia inteso fare riferimento anche alle Società “in house” aventi come missione istituzionale la gestione di “servizi pubblici locali di rilevanza economica”. Infatti, una Società “in house” non può essere equiparata alla stregua di un normale soggetto privato – distinto dall’Ente pubblico socio – che svolge attività imprenditoriale, ma ne costituisce una semplice articolazione organizzativa, sostanzialmente equiparabile agli Uffici interni dell’Ente stesso. Quando invece una Società pubblica, perseguendo finalità (commerciali) non direttamente riconducibili a quelle tipiche dell’Ente pubblico, opera sul mercato in concorrenza con gli altri operatori economici, allora l’attività esercitata da tale Società si configura come una normale attività imprenditoriale, al pari di quella svolta da un qualsiasi soggetto privato.

In conclusione, l’art. 13 del Dl. n. 223/2006, poneva misure limitative all’attività di quelle Società che sono affidatarie dirette di prestazioni, allo scopo di eliminare alterazioni della concorrenza. Ciò significava – secondo la dottrina citata – che quando una Società, seppur a partecipazione pubblica, ottiene affidamenti solo a seguito di gare oppure opera in un mercato liberalizzato, essa non gode di quei privilegi che sono l’unica giustificazione delle prescrizioni limitative contenute nel citato art. 13.

  • Diritti speciali e diritti esclusivi: rassegna

 4.1. L’art. 106 del Tufe

Prima di tutto riportiamo il testo dell’art. 106 del Tufe (ex art. 86 del Tce), il quale afferma che “gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle Imprese pubbliche e delle Imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei Trattati, specialmente a quelle contemplate dagli artt. 18 e da 101 a 109 inclusi.[13] Le Imprese incaricate della gestione di ‘servizi di interesse economico generale’ o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei Trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione”.

La norma del Trattato disciplina le ipotesi di intervento diretto degli Stati sulla vicenda di Imprese pubbliche con l’obiettivo di impedire che l’intervento pubblico nell’Economia determini violazioni delle norme del Trattato. Deve rilevarsi che l’intervento pubblico nell’Economia non è precluso, ma non deve contrastare con le disposizioni del Trattato.

La norma si pone anche l’obiettivo di mantenere un equilibrio tra libertà e autonomia degli Stati nelle scelte di Politica economica-industriale e regime UE del Mercato interno e della Concorrenza

Si deve rilevare come le Imprese titolari di diritti speciali ed esclusivi sono equiparate alle Imprese pubbliche e l’attribuzione di diritti speciali/esclusivi porta l’Impresa ad avere una posizione dominante sul mercato. Secondo l’art. 106, risulta che non è vietato di norma attribuire ad un’Impresa il diritto esclusivo allo svolgimento di una certa attività ma è vietato attribuire un diritto esclusivo … “quando l’Impresa di cui trattasi è indotta, con il mero esercizio dei diritti esclusivi, a sfruttare abusivamente la sua posizione dominante”. Si determina così una violazione dell’art. 106, paragrafo 1, del Tfue, quando lo Stato induca l’Impresa pubblica ad utilizzare i diritti esclusivi in modo abusivo.[14]

4.2. Diritti speciali e diritti esclusivi

Ai fini dell’analisi puntuale della tematica in oggetto, si produce di seguito una breve rassegna delle diverse nozioni di “servizi speciali ed esclusivi” presenti nelle diverse disposizioni del nostro ordinamento.

4.2.1 Il Dlgs. n. 333/2003

Nel Dlgs. 11 novembre 2003, n. 333, intitolato “Attuazione della Direttiva 2000/52/CE, che modifica la Direttiva 80/723/CEE relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro Imprese pubbliche, nonché alla trasparenza finanziaria all’interno di talune Imprese” (entrato in vigore il 12 dicembre 2003), all’art. 2 (rubricato “Definizioni”) si evidenzia:

d) ‘Impresa  soggetta all’obbligo di tenere una ‘contabilità separata’, ogni Impresa che fruisce di diritti speciali o esclusivi riconosciuti da uno Stato membro a norma dell’art. 86, paragrafo 1, del Trattato o è incaricata della gestione di ‘servizi di interesse economico generale’ a norma dell’art. 86, paragrafo 2, del Trattato, che riceve compensazioni in qualsiasi  forma per prestazioni  di  servizio  pubblico in relazione a tali servizi e che esercita anche altre attività;

e) ‘attività distinte’, da un lato, le attività relative ai prodotti o servizi per i quali ad un’Impresa sono stati riconosciuti diritti speciali o esclusivi ovvero relative ai ‘servizi di interesse economico generale’ della cui gestione l’Impresa è stata incaricata e, dall’altro, le attività relative a ogni altro prodotto o servizio svolte dall’Iimpresa medesima;

 f) ‘diritti esclusivi’, i diritti riconosciuti ad un’Impresa mediante qualsiasi disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa che riserva alla stessa, con riferimento ad una determinata area geografica, la facoltà di prestare un servizio o esercitare un’attività;

 g) ‘diritti speciali’, i diritti riconosciuti ad un numero limitato di Imprese mediante qualsiasi disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa che, con riferimento ad una determinata area geografica, congiuntamente o disgiuntamente:

1) limita a 2 o più, senza osservare criteri di oggettività, proporzionalità e non discriminazione, il numero delle Imprese autorizzate a prestare un dato servizio o una data attività;

2) designa, senza osservare detti criteri, varie Imprese concorrenti come soggetti autorizzati a prestare un dato servizio o esercitare una data attività;

3) conferisce, senza osservare detti criteri, ad una o più Imprese determinati vantaggi, previsti da leggi o regolamenti, che pregiudicano in modo sostanziale la capacità di ogni altra Impresa di prestare il medesimo servizio o esercitare la medesima attività nella stessa area geografica a condizioni sostanzialmente equivalenti”.

4.2.2 Gli artt. 114 e seguenti del “Codice dei Contratti pubblici

Nel “Codice dei Contratti pubblici”, approvato con il Dlgs. n. 50/2016, al Titolo IV, dedicato ai “Regimi particolari di appalto”, al Capo I “Appalti nei Settori speciali” – Sezione I “Disposizioni applicabili ed ambito”, all’art. 114 (intitolato “Norme applicabili e ambito soggettivo”) si evidenzia che “le disposizioni di cui al presente Capo si applicano agli Enti aggiudicatori che sono Amministrazioni aggiudicatrici o Imprese pubbliche che svolgono una delle attività previste dagli artt. da 115 a 121; si applicano altresì ai tutti i soggetti che pur non essendo   Amministrazioni aggiudicatrici o Imprese pubbliche, annoverano tra le loro attività una o più attività tra quelle previste dagli artt. da 115 a 121 ed operano in virtù di diritti speciali o esclusivi.  3. Ai fini del presente articolo, per ‘diritti speciali o esclusivi’ si intendono i diritti concessi dallo Stato o dagli Enti Locali mediante disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa pubblicata compatibile con i Trattati avente l’effetto di riservare a uno o più Enti l’esercizio delle attività previste dagli artt. da 115 a 121 e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri Enti di esercitare tale attività. 4. Non costituiscono ‘diritti speciali o esclusivi’, ai sensi del comma 3, i diritti concessi in virtu’ di una procedura ad evidenza pubblica basata su criteri oggettivi. A tali fini, oltre alle procedure di cui al presente ‘Codice’, costituiscono procedure idonee ad escludere la sussistenza di diritti speciali o esclusivi tutte le procedure di cui all’Allegato II della Direttiva 2014/25/UE del Parlamento e del Consiglio in grado di garantire un’adeguata trasparenza”.

Occorre ora soffermarsi sulla nozione di “diritto speciale o esclusivo” e sugli effetti in merito agli obblighi di “separazione contabile”.

In questo quadro di norme, è opportuno ricordare che il Consiglio di Stato [Adunanza della Commissione speciale 16 marzo 2016 per l’esame dello Schema di Dlgs. recante “Testo unico in materia di Società a partecipazione pubblica” (approvato in prima sede preliminare) e l’espressione del Parere n. 00968/2016], con riferimento al comma 1 dell’art. 6 del citato Schema, poi rimasto immutato nella versione definitiva, dopo aver messo in evidenza che l’imposizione della “separazione contabile” di cui al comma 1 dell’art. 6, in luogo di quella societaria, permette di evitare, in linea con il disegno complessivo del Tusp, la creazione di ulteriori Enti societari, ha formulato specifiche osservazioni in ordine all’applicazione del comma citato[15].

Il Governo tuttavia, nella “Relazione illustrativa” al “Testo unico” approvato in secondo esame preliminare dal Consiglio dei Ministri, ha specificato che nel citato Decreto legislativo “non è stata accolta l ‘osservazione del Consiglio di Stato in merito alla definizione di ‘diritto speciale o esclusivo’ e alla conseguente attuazione del Principio di separazione, tenuto conto che i ‘diritti speciali o esclusivi’ sono quelli definiti dal ‘Codice Appalti’ e dal ‘Testo unico sui servizi pubblici locali’ [che, come detto, poi non ha visto la luce] e che non si possono escludere i casi di gara o compensazione perché è proprio in queste ipotesi che vengono in rilievo simili diritti. Parimenti, non sono state accolte le osservazioni, sempre del Consiglio di Stato, in merito alla introduzione dell’attività economica (oltre quella amministrativa) …, in quanto l’attività d’impresa in regime di mercato è di regola esclusa per le Società a partecipazione pubblica …“.

Alla luce di quanto sopra, ai fini dell’applicazione del Tusp, antecedentemente alla entrata in vigore della Direttiva Mef, si doveva ritenere che valessero le definizioni di “diritto esclusivo” e “diritto speciale” che erano per l’appunto tratte, come indicato nella ” Relazione illustrativa” e in quanto coincidenti, “dal ‘Codice Appalti’ e avrebbero anche coinciso con quanto previsto dal ‘Testo unico sui servizi pubblici locali’

[tuttavia mai approvato]

“.

La Direttiva Mef ha precisato le relative nozioni come segue:

  • diritto esclusivo”: il diritto concesso da un’Autorità competente mediante una disposizione legislativa o regolamentare o disposizione amministrativa pubblicata compatibile con i Trattati, avente l’effetto di riservare a un unico operatore economico l’esercizio di un’attività e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri operatori economici di esercitare tale attività;
  • diritto speciale”: il diritto concesso da un’Autorità competente mediante una disposizione legislativa o regolamentare o disposizione amministrativa pubblicata compatibile con i Trattati avente l’effetto di riservare a 2 o più operatori economici l’esercizio di un’attività e di incidere sostanzialmente sulla capacità di altri operatori economici di esercitare tale attività.
  • La Direttiva del Mef

La Struttura di monitoraggio (“Struttura”) costituita presso il Dipartimento del Tesoro per l’attuazione della riforma del Sistema delle partecipazioni pubbliche ha adottato una “Direttiva sulla separazione contabile[16] (“Direttiva”), che definisce le regole per la rendicontazione delle voci economiche e patrimoniali delle “Società a controllo pubblico” che svolgono attività economiche protette da “diritti speciali o esclusivi”, insieme ad altre attività svolte in regime di economia di mercato, per i bilanci relativi agli esercizi successivi a quello in corso al 31 dicembre 2019 (fatto salvo quanto previsto dall’art. 15, comma 2, del Tusp)[17].

Per garantire che non vi siano trasferimenti di risorse dalle attività economiche di interesse generale a quelle svolte in contesti di mercato concorrenziale, le “Società a controllo pubblico” sono tenute ad adottare e mantenere un sistema di contabilità analitica idoneo a rilevare le poste patrimoniali ed economiche, in maniera separata e distinta, per singole attività economiche e comparti (quello della produzione protetta e quello della produzione in economia di mercato). Esse dovranno anche rendere pubbliche le risultanze relative al Comparto della produzione protetta da diritti speciali o esclusivi, contestualmente ai documenti e agli allegati dei bilanci.

Ferma restando l’obbligatorietà della “separazione contabile” di cui all’art. 6, comma 1, del Tusp, la Direttiva definisce le regole per un sistema di rendicontazione delle voci economiche e patrimoniali, al fine di evitare il trasferimento incrociato di risorse tra attività protette da diritti speciali o esclusivi e attività svolte in regime di economia di mercato.

In via preliminare, nella definizione del citato Documento, la Struttura ha preso in considerazione le direttive in materia di “separazione contabile” adottate da alcune Autorità di regolazione, che – sebbene rispondano ad esigenze di natura regolatoria – potrebbero configurarsi come un significativo precedente.

La Direttiva ha tenuto conto anche di quanto previsto dal Dlgs. n. 333/2003, adottato in recepimento della Direttiva 2000/52/CE, e individua espressamente tra le proprie finalità quella di:

– assicurare la trasparenza delle relazioni finanziarie tra i poteri pubblici e le Imprese pubbliche mediante idonea documentazione relativa alle assegnazioni di risorse pubbliche a favore delle Imprese pubbliche interessate, direttamente o per il tramite di altre Imprese pubbliche o di altri Enti finanziari; e di documentare l’impiego effettivo di tali risorse pubbliche (art. 1, comma 1, Dlgs. n. 333/2003).

– assicurare, salvo l’applicazione delle specifiche norme comunitarie, che la struttura finanziaria ed organizzativa delle Imprese soggette all’obbligo di tenere una “separazione contabile” risulti correttamente documentata da tale contabilità. Di conseguenza, devono emergere chiaramente: a) i costi e i ricavi relativi alle distinte attività; b) i metodi dettagliati con i quali detti costi e ricavi sono imputati o attribuiti alle distinte attività (art. 1, comma 2, del Dlgs. n. 333/2003).

Al di là dei fini contenuti nel Dlgs. n. 333/2003, la disciplina appare differenziata, se non in alcuni punti in contrasto con quella contenuta nella Direttiva.

La Direttiva è composta da 14 articoli, il cui contenuto sintetizziamo di seguito.

L’art. 1 ne precisa l’ambito di applicazione, individuato dall’art. 6, comma 1, del Tusp, ribadendo come l’adozione di un sistema di “separazione contabile” rappresenti una deroga all’obbligo di “separazione societaria” di cui all’art. 8, comma 2-bis, della Legge n. 287/1990. L’imposizione della “separazione contabile” e non strutturale risiede infatti nella volontà di evitare la creazione di ulteriori Società, in coerenza con l’impostazione complessiva del Tusp.

L’art. 2 individua le definizioni utili all’applicazione della Direttiva, in coerenza con i Principi desumibili dalla normativa nazionale e comunitaria, mentre l’art. 3 enuncia la finalità della Direttiva di cui trattasi.

L’art. 4 riporta i criteri attraverso cui la Società individua la struttura della propria “separazione contabile”, da costruirsi perimetrando:

a) le singole attività in cui il processo produttivo può essere frazionato in una logica di Impresa separata;

b) per ciascuna attività di cui alla precedente lett. a), distinguendo i Comparti caratterizzati da una produzione protetta da diritti speciali o esclusivi dai Comparti legati a produzioni effettuate secondo criteri di mercato.

L’art. 5 individua elenchi di servizi comuni e di funzioni operative condivise di cui all’art. 2, comma 1, della medesima Direttiva, e l’art. 6 prevede la pubblicazione delle risultanze della separazione contabile” relative a ciascun Comparto protetto da diritti speciali o esclusivi, contestualmente ai documenti e agli allegati di bilancio.

Gli artt. da 7 a 11 della Direttiva forniscono alcune indicazioni utili alla compilazione dei conti annuali separati che le Società devono predisporre, dando conto anche dell’eventuale procedura di riclassificazione delle voci del bilancio di esercizio redatto in applicazione dei Principi contabili internazionali. Tali conti separati sono sottoposti al giudizio di conformità da parte del soggetto incaricato della revisione legale dei conti.

Più nel dettaglio:

– l’art. 7 indica i criteri per l’imputazione delle voci economiche e patrimoniali del bilancio alle singole attività;

– l’art. 8 individua i documenti di “separazione contabile” che la Società deve predisporre e che saranno sottoposti al giudizio di conformità da parte del soggetto incaricato della revisione legale dei conti;

– l’art. 9 definisce i criteri di valorizzazione delle eventuali transazioni interne tra i singoli servizi comuni e tra le singole funzioni operative condivise nell’ambito dello stesso soggetto;

– l’art. 10 concerne l’attribuzione dei costi e dei ricavi delle singole funzioni operative condivise e dei singoli servizi comuni;

– l’art. 11 disciplina la valorizzazione delle transazioni interne tra attività nell’ambito dello stesso soggetto.

L’art. 12 richiama gli elementi essenziali che la nota di commento ai conti annuali separati deve contenere, mentre l’art. 13 definisce il contenuto dell’analisi che deve effettuare il soggetto incaricato della revisione legale dei conti.

L’art. 14 stabilisce l’applicazione della Direttiva a partire dai bilanci d’esercizio 2020.

  • Dicotomie interpretative fra Direttiva Mef e Dlgs. n. 333/2003

Le disposizioni vigenti in materia di “separazione contabile” pongono alcuni problemi irrisolti.

Va rilevato che alle “Società a controllo pubblico” si applicano le disposizioni dell’art. 6, comma 1, e quindi la Direttiva Mef e non dunque le disposizioni del Dlgs. n. 333/2003, mentre per la Società non a controllo pubblico dovrebbe residuare loro la soggezione alle disposizioni di cui al predetto Dlgs. n. 333/2003. Tuttavia, non è così: alle Società non a controllo pubblico invece non si applica la deroga all’art. 8, comma 2-bis citato, e quindi saranno obbligate alla “separazione societaria”, ricorrendo le condizioni della norma.

La distinzione fra “Società a controllo pubblico” – la cui disciplina risiede nel combinato disposto delle lett. b) ed m), del comma 1 dell’art. 2 ( “Definizioni”) del Tusp – e le Società non a controllo pubblico – vale a dire semplice partecipazione pubblica – come già detto trascende dal presente lavoro e per tale delicato argomento si rimanda agli autori che si sono sperimentati a trarre alcune conclusioni sull’argomento[18], tenendo presente il recentissimo arresto del Tar Emilia Romagna, Sezione I, 28 dicembre 2020, n. 858, che ha confermato che per aversi “controllo pubblico congiunto” è necessario un Patto parasociale, non essendo sufficiente la somma delle partecipazioni detenute dalle singole Pubbliche Amministrazioni socie. Ciò che appare una distonia non giustificabile è la sussistenza di 2 regimi diversi che presentano sostanziali differenze, nonché la disposizione dell’art. 8 della “Legge Antitrust”, che rende ancor più complessa l’interpretazione del metodo di unbundling che, nel nostro ordinamento, spazia dalla “separazione contabile” alla “separazione societaria”, attraverso non chiare rappresentazioni delle diverse fattispecie.

La genesi della Direttiva Mef parte dalla competenza attribuita alla Struttura competente per il controllo e il monitoraggio sull’attuazione del Tusp, così come individuata dal Mef ai sensi dell’art. 15, comma 1, dello stesso Decreto legislativo, alla quale è affidato (anche) il compito di fornire orientamenti e indicazioni in materia di applicazione delle disposizioni del Tusp e del Dlgs. n. 333/03 (recante “Attuazione della Direttiva 2000/52/CE, che modifica la Direttiva 80/723/Cee relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati membri e le loro Imprese pubbliche, nonché alla trasparenza finanziaria all’interno di talune Imprese“), nonché promuovere le migliori pratiche presso le “Società a partecipazione pubblica” e adottare nei confronti delle stesse Società le direttive sulla “separazione contabile” e verificare il loro rispetto, ivi compresa la relativa trasparenza.

Va evidenziato che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d), del Dlgs. n. 333/03, le Imprese (pubbliche o private) sono obbligate a tenere una “separazione contabile” nel caso fruiscano “di diritti speciali o esclusivi riconosciuti da uno Stato membro a norma dell’art. 86, paragrafo 1, del Trattato“, oppure siano incaricate “della gestione di ‘servizi di interesse economico generale’ a norma dell’art. 86, paragrafo 2, del Trattato“, ed esercitino “anche altre attività“; tutto ciò purché risulti presente anche la seguente ulteriore condizione: le stesse Imprese devono ricevere “compensazioni in qualsiasi forma per prestazioni di servizio pubblico in relazione a tali servizi“.[19]

Inoltre, fermo restando che gli obblighi relativi alla “separazione contabile” di cui agli artt. 6 e 7, comma 2, del Dlgs. n. 333/2003, comunque non si applicano alle Imprese:

a) … la cui prestazione di servizi non è atta ad incidere sensibilmente sugli scambi tra gli Stati membri;

b) … il cui fatturato netto totale annuo è stato inferiore a 40 milioni di Euro negli ultimi 2 esercizi finanziari precedenti l’esercizio in cui fruiscono di un ‘diritto speciale o esclusivo’ riconosciuto ai sensi dell’art. 86, paragrafo 1, del Trattato Ce, o in cui sono incaricate della gestione di un ‘servizio di interesse economico generale’ ai sensi dell’art. 86, paragrafo 2, del trattato Ce …;

c) … che sono state incaricate della gestione di ‘servizi d’interesse economico generale’ a norma dell’art. 86, paragrafo 2, del Trattato Ce se gli aiuti di Stato che ricevono in qualsivoglia forma, sia contributi, sia sussidi, sia indennizzi, sono stati fissati per un periodo appropriato con una procedura pubblica, trasparente e non discriminatoria” (art. 9, comma 2, dello stesso Decreto), da ciò emerge una significativa differenza fra le 2 discipline: infatti, la disciplina sulla “separazione contabileex Dlgs. n. 333/03, per le “Società a controllo pubblico” che non ne sono escluse per limiti di fatturato o per l’esercizio di prestazione di servizi non incidenti in modo sensibile sul mercato:

  • da un lato, è più rigida di quella di cui al Tusp, perché va applicata in presenza di qualunque attività “aggiuntiva” (e non si aziona dunque solo in caso di “altre attività svolte in regime di economia di mercato“);
  • dall’altro, è meno stringente rispetto allo stesso Tusp, poiché non trova applicazione se nella fruizione di “diritti speciali o esclusivi”, o nella gestione di “servizi di interesse economico generale”, non si ricevono compensazioni, oppure (limitatamente alla gestione di “servizi di interesse economico generale”) tali compensazioni vengono percepite per un arco di tempo determinato fissato per il tramite di “procedura pubblica trasparente e non discriminatoria“.

Ancora, una evidente discrasia fra le 2 discipline ricorre nel caso in cui la “Società a controllo pubblico” che svolge attività in economia di mercato e in virtù di diritti esclusivi o speciali deve tenere la “separazione contabile” anche se tali attività siano state assegnate a seguiti di gara pubblica. È evidente il contrasto con la disposizione contenuta nell’art. 114 del “Codice dei contratti” degli obblighi di “separazione contabile” secondo la Direttiva Mef. Sul punto tuttavia, dubbi non sussistono vista anche la chiara presa di posizione del Parere del Consiglio di Stato al Tusp[20]. Infatti, l’obbligo di “separazione contabile” secondo la Direttiva Mef sussiste senza limiti di importo del valore dell’attività svolta in economia di mercato, come diversamente avviene nella disciplina contenuta nel Dlgs. n. 333/2003 delle soglie di valore a indipendentemente dal valore economico dell’attività svolta in regime di economia di mercato.

  • I “servizi pubblici locali” ed i “servizi strumentali” come esercizio di diritti speciali o esclusivi: aspetti operativi

Secondo le disposizioni del Tusp, le attività svolte dalle “Società a partecipazione pubblica” che possono rilevare quali “diritti speciali ed esclusi” si riconducono alle seguenti:

  • gestione di “servizi pubblici locali” (“servizi di interesse economico generale”), che trovano all’art. 2 le seguenti definizioni:

h) ‘servizi di interesse generale’: le attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le Amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle rispettive  competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i ‘servizi di interesse economico generale’;

i) ‘servizi di interesse economico generale’: i ‘servizi di interesse generale’ erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato; .. “.

Per tali tipologie di servizi, le Pubbliche Amministrazioni possono detenere partecipazione in Società che svolgono le attività indicate all’art. 4, comma 2, lett. a): “a) produzione di un ‘servizio di interesse generale’, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi”.

  • Gestione di “servizi strumentali”.

Per tale tipologia di servizi (c.d. “strumentali”), le Pubbliche Amministrazioni possono detenere partecipazione in Società che svolgono “autoproduzione di beni o servizi strumentali all’Ente o agli Enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle Direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento”.

Semplificando il ragionamento, si può sostenere che i servizi di dominio degli Enti Locali che danno luogo a “diritti speciali esclusivi” sono:

  • Gestione rifiuti urbani – ‘Servizio di igiene ambientale’”;
  • Servizio idrico integrato”;
  • “Illuminazione pubblica”;
  • Gestione della sosta”;
  • Servizi cimiteriali”;
  • Distribuzione gas naturale”;
  • Distribuzione energia elettrica”;
  • Trasporto pubblico
  • Riscossione tributi”.

L’analisi specifica dovrà considerare la concomitanza della gestione unita a servizi in economia di mercato, dalla quale sorge, come meglio infra precisato, l’esigenza di tenere la “separazione contabile”.

Come pure i singoli servizi, che possono qualificarsi come in regime di diritti esclusivi o speciali, per i quali andrà valutata la filiera della integrazione verticale, laddove alcune attività potrebbe essere qualificate come in economia di mercato: è il caso del segmento finale dell’attività di recupero dei rifiuti tramite la gestione di impianti che producono “compost” o “biogas”, i quale vengono venduti su un mercato tendenzialmente libero. In questo caso si avrebbe un’attività (la gestione dei rifiuti) classificabile come diritto esclusivo con uno o 2 Comparti che svolgono attività in economia di mercato.

Parimenti occorre considerare alcune attività che sono svolte dalle “Società a partecipazione pubblica” non in virtù di una concessione o di un appalto stipulato con l’Ente Locale socio, bensì in virtù di quanto previsto nel proprio oggetto sociale. È il caso delle “Società delle reti”, che furono costituite, ai sensi dell’art. 113, comma 13, del Tuel (“Testo unico dell’ordinamento degli Enti Locali”, approvato con il Dlgs. n. 267/2000), per detenere la proprietà delle reti (anche dell’acquedotto) degli impianti e dotazioni patrimoniali per svolgere il compito del proprietario dominicale. Anche in questo caso si tratta di “diritti esclusivi” che danno luogo ad un uso vincolato del bene, in quanto la “Società delle reti” è obbligata a mettere a disposizione detti asset a favore di un gestore e alle condizioni economica previste da un terzo: l’ente gestore dell’ambito.  

Sotto il profilo operativo, deve rilevarsi come la disciplina della “separazione contabile” prevista dalla Direttiva Mef, in attuazione dell’art. 6, comma 1, del Tusp, si applica alle sole “Società a controllo pubblico” che esercitano attività che beneficiano di “diritti speciali o esclusivi” unitamente ad attività in economia di mercato. Per “Società a controllo pubblico” si intendono, come già esposto in precedenza, “esclusivamente” le Società che ricadono nel combinato disposto delle lett. b) ed m) del comma 1 dell’art. 2 del Tusp.

Non si applica la disciplina della “separazione contabile”, prevista dalla Direttiva Mef, anche qualora esercitino attività che beneficiano di “diritti speciali o esclusivi” unitamente ad attività in economia di mercato, le Società: (i) a prevalente capitale privato; (ii) le Società a capitale misto pubblico privato nelle quali i soci P.A. non soddisfano le condizioni di cui all’art. 2 comma 1 lett. b) ed m) del Tusp.

Aspetto problematico riguarda le Società “in house” pluripartecipate, in quanto non si può escludere, per quanto paradossale possa sembrare, che vi siano Società “in house” partecipate da P.A. che non soddisfano le condizioni di cui all’art. 2 comma 1 lett. b) ed m) del Tusp.

Per le “Società a partecipazione pubblica” e non a controllo pubblico rimane fermo l’obbligo – se non escluse per altro motivo – di “separazione societaria” previsto dal comma 2-bis dell’art. 8 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287 (cd “Legge Antitrust”).

Secondo l’interpretazione della Direttiva Mef, risulta del tutto irrilevante il fatto che l’attività svolta in regime di economia di mercato sia contigua a quella protetta, eventualmente svolta utilizzando le medesime risorse o asset, oppure sia nettamente distinta da quella per natura, per risorse utilizzate, per territorio o per altri motivi. Pertanto, la “Società a controllo pubblico” che svolga attività in regime di economia di mercato e attività protetta da diritti esclusivi deve tenere la “separazione contabile” indipendentemente dalla natura della prima e della seconda.

Rimane fermo l’obbligo della “separazione contabile”, ai sensi della Direttiva Mef, anche nel caso in cui il Servizio diverso da quello protetto da diritti esclusivi sia svolto soltanto in favore di altre Società del gruppo, senza essere offerto sul mercato. Non rilevano le operazioni intercompany quale causa di esenzione. Non soltanto non è prevista alcuna mutua esclusione tra i 2 obblighi di “separazione contabile”, ma questi presentano significative differenze soprattutto in termini di finalità e di obblighi di pubblicità, per cui non esistono presupposti in base ai quali l’adempimento di uno dei 2 obblighi sia sufficiente a soddisfare o escludere l’altro obbligo

Dubbia appare invece la tesi interpretativa in base alla quale sussiste l’obbligo di tenuta della “separazione contabile”, secondo la Direttiva Mef, indipendentemente dal fatto che la Società sia già soggetta alle specifiche norme di “separazione contabile” di Settore.[21] I metodi di unbundling previsti dalla Autorità di regolazione (in primis Arera) si basano su tecniche più precise di quanto previsto dalla Direttiva Mef e quindi dovrebbero garantire anche risultati più attendibili.

Aspetto non chiarito dalla Direttiva Mef è lo strumento informativo attraverso il quale rendere pubblici i dati delle attività che godono di diritti speciali o esclusivi.

Nel silenzio riscontrato, si ritiene che la miglior soluzione sia la rappresentazione nella “Relazione sul governo societario”, anch’essa prevista per la “Società a controllo pubblico” dall’art. 6 del Tusp, che deve essere “pubblicata”, potendo trovare posto quest’ultima, secondo orientamento del Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti, anche nella Relazione sulla gestione.

  • I controlli

I conti annuali separati sono sottoposti a revisione legale dei conti da parte dello stesso soggetto cui è affidata la revisione legale del bilancio di esercizio, il quale rilascerà una Relazione recante il giudizio di conformità dei conti annuali separati alla Direttiva Mef ed ai criteri descritti nelle note di commento, evidenziando eventuali modifiche al giudizio e/o richiami di informativa.

Inoltre, l’attività di vigilanza sul rispetto della Direttiva sulla “separazione contabile” è espressamente affidata alla Struttura per il controllo e il monitoraggio sull’attuazione del Tusp, istituita con Dm. 16 maggio 2017 secondo quanto preordinato dall’art. 15, comma 1, del Tusp, e dotata dei medesimi poteri ispettivi che competono alla Ragioneria generale dello Stato e che sono esercitati nei confronti di tutte le “Società a partecipazione pubblica”.

Inoltre, si segnala come si stia approssimando il termine per l’adozione della “separazione contabile” secondo la Direttiva Mef: termine stabilito per l’approvazione del bilancio 2020. Ciò in quanto la Direttiva Mef si applica a partire dal bilancio dell’esercizio 2020 (art. 14), prevedendo che le Società rendano pubbliche alcune parti dei loro conti annuali separati contestualmente ai documenti e agli allegati dei bilanci.

  • Le Società multiutilities

La liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità e la privatizzazione dei soggetti gestori hanno determinato il sopravvenire di 2 importanti scenari evolutivi, tra loro strettamente collegati. Il primo è l’attrazione nella sfera del diritto privato di ampie aree economiche prima assoggettate a riserva pubblica. Il secondo è l’affermazione di un nuovo modello societario, teso sempre più a sviluppare strategie multiutility. La regolazione giuridica di questi fenomeni si sviluppa su modelli affatto frammentati, che richiedono un’attenta ricostruzione volta ad orientare l’attività degli interpreti, degli Organi giudiziari, ma soprattutto degli stessi operatori economici. Il fenomeno multiutility non è di per sè una fattispecie anticompetitiva. Come recentemente segnalato dall’Autorità Antitrust, “in linea generale, le espansioni delle Imprese dai Settori di origine verso attività complementari possono comportare potenzialità positive per lo sviluppo di alcuni mercati e per le esigenze dei consumatori. L’Autorità ritiene pertanto che tali sviluppi non siano da vietare di per sé, ma vadano piuttosto resi compatibili con i Principi della concorrenza“.

Le Società multiutilites dovranno quindi esaminare le proprie attività, classificandole se riferite a servizi protetti da servizi esclusivi o speciali ovvero in economia di mercato. Qualora sussistano attività che godono di “diritti esclusivi o speciali” unitamente ad i servizi in economia di mercato, allora risulterà necessario tenere la contabilità separata secondo la Direttiva Mef e rendere pubblici i risultati delle sole attività che godono di “diritti speciali ed esclusivi”.

  1. Le holding di partecipazioni degli Enti Locali

Le holding di partecipazioni degli Enti Locali sono previste dall’art. 4 comma 5, ultimo periodo del Tusp[22].

La unicità dell’oggetto sociale, previsto per le Società holding degli Enti Locali, va inteso, non come unica attività da svolgere, bensì come vincolo a svolgere solo le attività che gli Enti Locali soci hanno indicato nell’oggetto sociale in quanto ritenute tali da perseguire le finalità istituzionali dell’ente, così come prevede l’art. 4 comma 1 e 2, del Tusp.

L’attività di detenzione di partecipazione non è di per sé una attività che può essere classificata come attività che gode di servizi speciali o esclusivi. Non pare neppure applicabile in questa sede la teoria che considera la holding come una gestione mediata delle attività svolge a valle dalle partecipate/controllate.

Non rileva dunque l’obbligo di tenuta della “separazione contabile”, prevista dalla Direttiva Mef.

Ciò non toglie che si registrano diversi statuti di holding che prevedono la “separazione contabile”.

In questo caso l’obbligo si riduce in una analitica esposizione delle grandezze economico/patrimoniale che producono nel bilancio della holding le partecipate (es. proventi da partecipazioni, ecc.)

  1. Le Società a controllo pubblico quotate[23]

Il “Testo unico in materia di Società a partecipazione pubblica” (in appresso “Tusp” o “Testo unico”) introduce una specifica disciplina per le Società quotate partecipate da Pubbliche Amministrazioni e per quelle quotande, denotando una specifica attenzione al tema e definendo tali Società nel più ampio fenomeno delle partecipazioni pubbliche come una sorta di “terzo genere”. Infatti, per il Tusp le Società quotate sono di per sé considerate un tipo sociale che si discosta dalle regole del Codice civile, così come dispone l’art. 2325-bis del C.c. ed al pari le Società pubbliche a loro volta hanno una disciplina che deroga anch’essa al Codice civile, se previsto dal Tusp.[24]

Il Legislatore è dunque intervenuto per inquadrare le “Società a partecipazione pubblica” quotate o quotande, conscio che, in assenza del proprio intervento, non fosse immediata la ricostruzione di una disciplina unitaria.

Tra i principi fissati dalla Legge-delega 7 agosto 2015, n. 124, vi è la distinzione tra vari “tipi” di Società, in relazione tra l’altro alla quotazione in borsa delle azioni o altri strumenti finanziari dalle stesse emessi. La medesima disposizione stabilisce inoltre che la disciplina sia differenziata in ragione del “tipo” societario considerato, enunciando specificatamente il “Principio di proporzionalità delle deroghe rispetto alla disciplina privatisticaex art. 18, comma 10, lett. a), della Legge n. 124/2015. Di conseguenza, in ossequio alle direttive della Legge-delega, il Tusp prende espressamente in considerazione la fattispecie delle Società pubbliche quotate e delinea la disciplina loro riservata.

L’impostazione di fondo consiste nel distinguere le Società quotate rispetto alle Società pubbliche, escludendo le prime dall’applicazione della disciplina societaria speciale prevista per le seconde dal Tusp e limitando l’area di intervento essenzialmente alle norme che si occupano delle modalità con cui le Pubbliche Amministrazioni gestiscono le partecipazioni societarie dalle stesse detenute, incluso l’accesso alla quotazione[25].

La ricostruzione della disciplina dovrà considerare:

– il regime transitorio ed il favor per la quotazione delle “Società a partecipazione pubblica”;

– le disposizioni del Tusp che non si applicano alle “Società a partecipazione pubblica” quotate;

– le disposizioni del Tusp che impongono obblighi in capo ai soci Pubbliche Amministrazione per la “governance” dei propri diritti di azionista di Società quotata;

– le disposizioni previgenti al Tusp applicabili alle “Società a partecipazione pubblica” quotate.

L’art. 2, comma 1, del Tusp, stabilisce:

  • lett. p): “’società quotate’: le ‘Società a partecipazione pubblica’ che emettono azioni quotate in mercati regolamentati; le Società che hanno emesso, alla data del 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati’”;
  • lett. f)“’partecipazione’: la titolarità di rapporti comportanti la qualità di socio in Società o la titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi’”.

Non si rintraccia una definizione di “strumenti finanziari”, né una elencazione dei diritti amministrativi che devono essere attribuiti per ricadere nella previsione di legge. Non può che soccorre l’art. 1, comma 6-bis, del Tuf, che comprende nelle partecipazioni gli strumenti finanziari, diversi da azioni o quote, che attribuiscono diritti amministrativi o comunque quelli previsti dall’art. 2351, ultimo comma, del Codice civile.

Solo la “Relazione Illustrativa” del testo governativo elenca i diritti spettanti individuandoli nel diritto di voto o nomina di un membro del Consiglio di amministrazione o del Collegio di sorveglianza o del Collegio sindacale. Di conseguenza, sono “Società quotate” le “Società a partecipazione pubblica” che, alternativamente o cumulativamente: i) emettono azioni quotate in mercati regolamentati; ii) abbiano emesso, entro il 31 dicembre 2015, strumenti finanziari, diversi dalle azioni, quotati in mercati regolamentati.

Sulla base delle disposizioni del Tusp, l’art. 6 non contempla le Società quotate partecipate dalle Pubbliche Amministrazioni e pertanto ad esse non si applica la disciplina sulla “separazione contabile” prevista dalla Direttiva del Mef.

In conclusione, le “Società a partecipazione pubblica” quotate e le loro controllate non sono obbligate alla tenuta della “separazione contabile” secondo la Direttiva Mef.