Organismi partecipati dagli Enti territoriali: esiti dell’indagine della Corte dei conti

Nella Delibera n. 27 del 24 novembre 2017 della Corte dei conti – Sezione Autonomie, viene analizzato il progetto di riorganizzazione della Pubblica Amministrazione, perseguito dalla Legge n. 124/15. La Sezione rileva che nelle partecipate di Regioni ed Enti Locali ci sono più di 100 miliardi di debito, 38 dei quali sono concentrati nelle Società interamente pubbliche. Per un fattore eminentemente contabile, però, questo passivo (6,2% del Pil in totale, 2,2% guardando alle Società che hanno solo Enti pubblici fra i soci) non entra nel conto del debito pubblico perché le Aziende, tranne rarissimi casi, non sono nell’Elenco Istat che traccia i confini del bilancio consolidato della Pubblica Amministrazione. La Sezione, nel riferire sugli andamenti complessivi della finanza regionale e locale, ai sensi dell’art. 7, comma 7, della Legge n. 131/03, ha incentrato l’indagine in questione sui risultati economici e finanziari degli Organismi partecipati dagli Enti territoriali e sull’impatto delle esternalizzazioni sui bilanci degli Enti partecipanti. Ciò al fine di dare evidenza di un fenomeno, diffuso a livello nazionale, che genera ingenti costi a carico della finanza territoriale ed è stato pertanto oggetto di stratificati interventi normativi poi riordinati nel Dlgs. n. 175/16. Il quadro di sintesi che la Corte intende fornire al Parlamento tiene conto dei dati e delle informazioni raccolti dalle Sezioni regionali e, allo stesso tempo, costituisce uno strumento operativo ad uso delle stesse articolazioni della Corte le quali, nell’esercizio delle competenze loro assegnate, valutano la sana gestione degli Enti in uno con i risultati complessivi del “Gruppo Ente territoriale”. Con la riforma delle partecipazioni societarie si conferma il ruolo cruciale delle Sezioni regionali di controllo nel monitoraggio delle principali scelte organizzative/gestionali inerenti alle Società pubbliche, tra cui le operazioni di revisione periodica e straordinaria delle partecipazioni, che ora costituiscono un adempimento a regime per tutte le Amministrazioni pubbliche. Il percorso, avviato con l’art. 1, commi 611 e 612, della Legge n. 190/14, è connotato dall’obbligatorietà della ricognizione delle partecipazioni detenute e dalla discrezionalità degli Enti, tenuti a motivare espressamente, sia la misura di riassetto deliberata (alienazione/razionalizzazione/fusione), sia il mantenimento della partecipazione senza interventi. Il monitoraggio, effettuato dalle Sezioni regionali di controllo sui “piani di razionalizzazione” presentati a seguito della “Legge di stabilità 2015”, mostra un elevato numero di Enti adempienti (oltre l’80%). Nel novero sono però ricompresi anche quelli che hanno dichiarato di non essere in possesso di partecipazioni (o di non essere soggetti all’obbligo di trasmissione dei piani). Nonostante i ripetuti aggiornamenti dei “piani”, gli esiti delle istruttorie svolte dalle Sezioni territoriali evidenziano la difficoltà degli Enti di motivare le scelte di mantenimento sotto il duplice profilo dell’indispensabilità per il conseguimento delle finalità istituzionali – soprattutto con riguardo alle cd. “partecipazioni polvere” – e della redditività degli Organismi, in rapporto all’impegno economico sopportato dall’Ente partecipante. Dall’esame degli Organismi oggetto dell’indagine risulta che quelli operanti nei “servizi pubblici locali” sono numericamente ridotti (il 34,62% del totale), pur rappresentando una parte importante del valore della produzione (il 71,30% dell’importo complessivo). La maggioranza (il 65,38%) si colloca nelle diversificate attività definite come “strumentali”, dove peraltro sono più frequenti gli Organismi in perdita. Il profilo dimensionale, nella riforma delle partecipazioni societarie, è particolarmente rilevante al fine di assumere le decisioni più appropriate in termini di razionalizzazione e/o dismissione.