“Piano di prevenzione della corruzione”: le Società in controllo pubblico sono tenute ad adottarlo anche se dotate di “Modello 231”

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Autorità nazionale Anticorruzione hanno diffuso il 23 dicembre 2014 un Documento con il quale vengono fornite alcune precisazioni in materia di applicazione delle norme in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza nelle Società partecipate e/o controllate. Sebbene le indicazioni siano rivolte espressamente alle Società partecipate o controllate dal Mef, si ritiene utile evidenziarne i contenuti in questa sede in quanto adottabili come riferimento anche dalle Società partecipate da Enti Locali.

Mef e Anac hanno evidenziato come, per determinare le corrette modalità di applicazione della normativa anticorruzione, sia innanzitutto necessario distinguere le Società direttamente o indirettamente controllate (art. 2359, comma 1, nn. 1 e 2, del Cc.) da quelle solo partecipate, in cui la partecipazione pubblica non è idonea a determinare una situazione di controllo. “Dal novero delle Società controllate – si precisa nella Nota – vanno tuttavia escluse quelle di cui al n. 3 del comma 1 dell’art. 2359, atteso che lo stesso fa riferimento ai rapporti intersocietari e non a quelli tra Pubbliche Amministrazioni e Società, cui invece ha riguardo la disciplina di prevenzione della corruzione”.

  1. Società controllate: integrazione del Modello di prevenzione di cui al Dlgs. 8 giugno 2001, n. 231

Il Documento di prassi specifica che le misure contemplate dalla Legge n. 190/12 (c.d. “Legge Anticorruzione”) devono trovare applicazione per le Società controllate da P.A. anche laddove queste abbiano già adottato il Modello previsto dal Dlgs. n. 231/01, in quanto “l’ambito di applicazione dei 2 interventi normativi sopra menzionati non coincide”. “Difatti – si legge – mentre le norme contenute nel Dlgs. n. 231 del 2001 sono finalizzate alla prevenzione di reati commessi nell’interesse o a vantaggio della Società, la Legge n. 190 del 2012 persegue la finalità di prevenire condotte volte a procurare vantaggi indebiti al privato corruttore in danno dell’Ente (nel caso di specie, della Società controllata)”. Per queste ragioni, le Società controllate dotate del citato Modello devono comunque integrarlo con l’adozione del “Piano di prevenzione della corruzione” di cui alla Legge n. 190/12.

  1. Responsabile della prevenzione della corruzione nelle Società controllate

Quanto al Responsabile della prevenzione della corruzione, Mef e Anac hanno precisato che, “al fine di garantire che il sistema di prevenzione non si traduca in un mero adempimento formale e che sia, piuttosto, calibrato e dettagliato come un Modello organizzativo vero e proprio, in grado di rispecchiare le specificità dell’Ente di riferimento, il Responsabile dovrà coincidere (in applicazione delle disposizioni della Legge n. 190 del 2012, che prevede che il Rpc (NdR. Responsabile della prevenzione della corruzione) sia un ‘Dirigente amministrativo’), con uno dei Dirigenti della Società e dunque non con un soggetto esterno come l’Organismo di vigilanza o altro Organo di controllo a ciò esclusivamente deputato”. L’unica deroga prevista a tale disposizione è che la Società sia priva di Dirigenti o questi siano in numero così limitato da poter svolgere esclusivamente compiti gestionali nelle aree a rischio corruttivo.

  1. Società partecipate

Per quanto concerne le Società partecipate, il Documento di prassi precisa invece che è “sufficiente l’adozione del Modello previsto dal Dlgs. n. 231/01, purché integrato, limitatamente alle attività di pubblico interesse eventualmente svolte, con l’adozione di misure idonee a prevenire ulteriori condotte criminose in danno della Pubblica Amministrazione, nel rispetto dei principi contemplati dalla normativa anticorruzione”. La predisposizione di tali misure – si specifica – non implica l’elaborazione di un “Piano di prevenzione della corruzione” da parte della Società, che resta soggetta al regime di responsabilità previsto dal Dlgs. n. 231/01.

  1. Trasparenza

Infine, con riferimento alle norme introdotte in materia di Trasparenza dal Dlgs. n. 33/13 (Decreto attuativo della citata Legge n. 190/12), la Nota chiarisce che:

  1. alle Società controllate tale disciplina si applica per intero. “Restano escluse dall’applicazione della disciplina della Trasparenza solo le attività che non siano qualificabili di pubblico interesse, mentre devono ritenersi soggette, sia le restanti attività, sia l’organizzazione, pur con i necessari adattamenti discendenti dalla natura privatistica delle Società stesse”;
  2. per quanto riguarda le Società partecipate non controllate, invece, trovano applicazione le sole regole in tema di Trasparenza contenute nei commi da 15 a 33 dell’art. 1, Legge n. 190/12, limitatamente “alle attività di pubblico interesse”. “Ne consegue – concludono Mef e Anac – che dette Società non sono sottoposte agli obblighi di pubblicità in relazione alla propria organizzazione ma solo ad applicare le regole dettate dalla ‘Legge Anticorruzione’ per quella parte della propria attività che sia da ritenere di pubblico”.