Società a controllo pubblico: anche in caso di “controllo congiunto” o “controllo plurisoggettivo”?

A pochi mesi di distanza dalle Pronunce della Corte dei conti, sia Sezioni Riunite – Sentenze n. 16 e 17/2019 – che Sezione Autonomie – Delibera n. 11/2019), l’Osservatorio sulla Finanza e Contabilità degli Enti Locali, con l’atto di indirizzo del 12 luglio 2019, emanato ai sensi dell’art. 154, del Dlgs. n. 267/2000 (Tuel), si è pronunciato sulla definizione di “società a controllo pubblico” ai sensi e per gli effetti del Dlgs. n. 175/2016 (Tusp).

Più precisamente, l’art. 2, comma 1, lett. m), del Tusp, definisce le società a controllo pubblico quelle “in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lett. b)”, che a sua volta definisce come controllo “la situazione descritta nell’art. 2359 Cc.. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

In proposito, la Struttura di Monitoraggio e Controllo delle Partecipate, presso il Mef, con l’Orientamento del 15 febbraio 2018, ai sensi dell’art. 15, comma 2, del Dlgs. n. 175/2016 (Tusp), si era espressa sostenendo che “in coerenza con la ratio della riforma volta all’utilizzo ottimale delle risorse pubbliche e al contenimento della spesa, al controllo esercitato dalla Pubblica Amministrazione sulla società appaiono riconducibili non soltanto le fattispecie recate dall’art. 2, comma 1, lett. b), del Tusp, ma anche le ipotesi in cui le fattispecie di cui all’art. 2359 Cc. si riferiscono a più Pubbliche Amministrazioni, le quali esercitano tale controllo congiuntamente e mediante comportamenti concludenti, pure a prescindere dall’esistenza di un coordinamento formalizzato”.

Di diverso avviso, il Consiglio di Stato (Sentenza n. 578/2019), che in riferimento ad una società partecipata per oltre il 90% da soggetti pubblici, ma con partecipazioni unitarie di poco rilievo non superiori singolarmente al 3%, ha ritenuto che “pur in presenza di un coordinamento non istituzionalizzato, le partecipazioni in questione non fossero in grado di consentire ai singoli soggetti pubblici partecipanti di incidere sulle decisioni strategiche della società; considerando quindi necessario … la stipulazione di adeguati patti parasociali ovvero la previsione, negli atti costitutivi della società, di un organo speciale deputato a esprimere la volontà dei soci pubblici”.

Anche nelle pronunce della Corte dei conti, sopra richiamate, vi sono opinioni divergenti: secondo la Sezione Autonomie, con la Deliberazione n. 11/2019, il controllo ex art. 2359 Cc. sussiste anche quando la maggioranza dei voti esercitabili in assemblea appartiene a più amministrazioni pubbliche, cumulativamente considerate, e non ad una sola, mentre le Sezione Riunite, con la Sentenza n. 19/2019, propendono per una interpretazione letterale della suddetta disposizione, per cui la norma civilistica “in modo chiaro e univoco individua fattispecie tipiche di controllo operato da una società nei confronti di un’altra società”.

Alla luce delle suddette posizioni, secondo l’Osservatorio, è possibile che il legislatore del Tusp, abbia voluto ampliare la definizione di società in controllo pubblico oltre i confini dettati dall’art. 2359 del Cc., proprio in funzione della finalità del comparto normativo dettato dalla “Legge Madia”, prevedendo, in aggiunta:

  • sia un controllo da parte di una singola Amministrazione pubblica, ancorché titolare di una partecipazione di minoranza, ma in grado – in forza di norme di legge, disposizioni statutarie e di patti parasociali – di determinare le decisioni finanziarie e gestionali strategiche della Società;
  • sia un controllo plurisoggettivo, quando più Amministrazioni pubbliche, nessuna delle quali in grado autonomamente di integrare una delle situazioni descritte ex art. 2359 del Cc., pervengono a tale integrazione se cumulativamente considerate, perché dispongono congiuntamente della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria o comunque di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nella stessa Assemblea (art. 2359, nn. 1 e 2, Cc.) ovvero in virtù di vincoli contrattuali (art. 2359, n. 3, Cc.).

Tuttavia, perché possano configurarsi tali fattispecie di controllo, non bastano semplici comportamenti concludenti o maggioranze occasionali (ancorché ripetute), ma occorre un procedimento di unificazione delle volontà facenti capo alle diverse componenti – norme di legge o statutarie o patti parasociali – tali da garantire la formazione stabile di soluzioni unanimi e, quindi, a qualificare in modo giuridicamente significativo la società.

Infatti, secondo l’Osservatorio, se così non fosse si farebbero coincidere il concetto di “Società a controllo pubblico” con quello, diverso, di “Società a prevalente capitale pubblico”.

Pertanto, ad oggi, il combinato disposto di cui all’art. 2, comma 1, lett. b) e m), del Tusp, permetterebbe di ricondurre una Società nel perimetro delle “Società a controllo pubblico”, allorché:

  • una singola Amministrazione pubblica dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’Assemblea ordinaria della società, ovvero dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’Assemblea ordinaria della società, ovvero esercita un’influenza dominante sulla società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa, ovvero anche quando in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale sia richiesto anche il consenso di tale Amministrazione pubblica;
  • più Amministrazioni pubbliche, in virtù di un coordinamento formalizzato in forza di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, dispongono congiuntamente della maggioranza dei voti esercitabili nell’Assemblea ordinaria della società, ovvero dispongono di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’Assemblea ordinaria della società, ovvero esercitano un’influenza dominante sulla Società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa; ovvero anche quando per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale sia richiesto anche il consenso unanime di tali amministrazioni pubbliche in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali (laddove per consenso unanime si intende l’espressione di una volontà collettiva unitaria, vincolante anche per le Amministrazioni che abbiano espresso un dissenso minoritario)”.

In ogni caso, dovrà essere sempre verificato che non sussista l’influenza dominante del socio privato, anche unitamente ad alcune o tutte le amministrazioni socie.

Considerata l’incertezza circa la definizione precisa di controllo pubblico e le Pronunce discordi in materia, l’Osservatorio conclude auspicando un intervento legislativo in grado di chiarire se il controllo pubblico plurisoggettivo sussista solo in presenza di un coordinamento formale, in virtù di un vincolo legale, statutario, parasociale o contrattuale, oppure si realizzi semplicemente per il fatto che la maggioranza del capitale sociale sia in mano pubblica.

di Federica Giglioli