Società a partecipazioni pubbliche: le problematiche irrisolte sui compensi degli Amministratori

In sede approvazione della “Legge di bilancio 2021”, l’On. Sani aveva proposto un emendamento, come verrà precisato in seguito, che pone qualche rimedio ad una situazione che francamente appare veramente paradossale. L’emendamento recita che, “al fine di agevolare la costituzione di nuove Società, all’art. 4, comma 4 del Dl.  n. 95/2012, aggiungere infine il seguente periodo: ‘nel caso di Gruppi societari il costo annuale sostenuto di riferimento è da considerarsi quello complessivo di Gruppo. Entro detto limite il compenso degli Amministratori può essere attribuito alle singole Società facenti parte del Gruppo”. L’emendamento, pur non essendo stato approvato – come peraltro il 90% degli emendamenti proposti – e quindi la “Legge di bilancio 2021-2023” non lo abbia recepito, merita alcune riflessioni anche in relazione ai recenti arresti della Magistratura contabile che ne recepisce lo spirito.

Risulta necessario ricostruire la disciplina contenuta nel “Testo unico in materia di Società a partecipazione pubblica” (Dlgs. n. 175/2016 – Tusp). Va precisato che tale disciplina è contenuta all’art. 11, rubricato “Organi amministrativi e di controllo delle Società a controllo pubblico” e riguarda unicamente le c.d. “Società controllo pubblico” – come inequivocabilmente risulta dalla rubrica – che sono quelle che rispondono ai requisiti di cui all’art. 2, comma 1, lett. b) ed m), del Tusp. Società controllo pubblico la cui identificazione non appare per la verità del tutto scontata, visto lo scontro in atto fra le diverse testi interpretative[1].

Disposizione a regime: art. 11 comma 6 stabilisce che,“con Decreto Mef previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, per le Società a controllo pubblico sono definiti indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a 5 fasce per la classificazione delle suddette Società. Per le Società controllate dalle regioni o dagli enti locali, il Decreto di cui al primo periodo è adottato previa intesa in Conferenza unificata ai sensi dell’art. 9 del Dlgs. n. 281/1997. Per ciascuna fascia è determinato, in proporzione, il limite dei compensi massimi al quale gli Organi di dette Società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai titolari e componenti degli organi di controllo, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potrà comunque eccedere il limite massimo di Euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi corrisposti da altre pubbliche amministrazioni o da altre Società a controllo pubblico. Le stesse Società verificano il rispetto del limite massimo del trattamento economico annuo onnicomprensivo dei propri amministratori e dipendenti fissato con il suddetto Decreto. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono limiti ai compensi inferiori a quelli previsti dal Decreto di cui al presente comma. Il Decreto stabilisce altresì i criteri di determinazione della parte variabile della remunerazione, commisurata ai risultati di bilancio raggiunti dalla Società nel corso dell’esercizio precedente. In caso di risultati negativi attribuibili alla responsabilità dell’amministratore, la parte variabile non può essere corrisposta”.

Si ricorda che ad oggi, sebbene il Tusp sia entrato in vigore al 23 settembre 2016, i Regolamenti cui fa riferimento il comma 6 non sono stati emanati e pertanto risulta applicabile il regime transitorio di cui al comma che segue, qualificabile come disposizione transitoria: l’art. 11, comma 7, stabilisce che, “fino all’emanazione del Decreto di cui al comma 6 restano in vigore le disposizioni di cui all’art. 4, comma 4, secondo periodo, del Dl. n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla Legge n. 135/2012, e s.m., e al Decreto Mef n. 166/2013“.

Sulla base del regime transitorio, viene in campo la disposizione contenuta nell’art. 4, comma 4, del Dl. n. 95/2012 (noto ai più come il Decreto “Spending review Monti2”) – oggetto dell’intervento dell’emendamento della “Legge di bilancio” di cui si discute – che ha subìto interventi abrogativi di tipo chirurgico da parte dello stesso Tusp – e che rimane, al momento, vigente per quanto di seguito riportato: “Primo periodo abrogato dal Dlgs. n. 175/2016). A decorrere dal 1º gennaio 2015, il costo annuale sostenuto per i compensi degli Amministratori di tali Società, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l’80% del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013. (Ultimo periodo abrogato dal Dlgs. n. 175/2016).

Ora tale norma, che non brilla certamente per chiarezza e dall’evidente contenuto transitorio, doveva essere interpretata secondo un canone strettamente letterale, e diversamente non poteva essere, con la inevitabile conseguenza che con l’entrata in vigore del Tusp viene abrogata la disciplina dei compensi previgente, che rimarrebbe in vigore solo per l’appunto per le Società cui rimanda l’art. 4 comma 4, secondo periodo, nonché per le Società a partecipazione statale di cui al Decreto n. 166/2013.

Ora, dalle prime letture del Tusp non si avevano dubbi che il canone interpretativo letterale fosse ineccepibile in punto di diritto, in quanto il Tusp è norma speciale che deroga alle disposizioni del Codice civile, come espressamente prevede il comma 3 dell’art. 1 del Dlgs. n. 175/2016. Le norme speciali, a mente dell’art. 14 delle Preleggi (Rd. n. 262/1942), non possono che essere interpretate se non per il loro contento letterale e non sono pertanto oggetto di interpretazione estensiva.

Ne derivava la conseguenza che, ai sensi dell’art. 4 comma 4, la locuzione “i compensi degli Amministratori di tali Società” fosse riferibile unicamente alle Società del predetto compendio contenuto nell’art. 4. Ciò in linea con la considerazione che, dopo l’entrata in vigore del Tusp, non sarebbero più ammesse interpretazioni estensive che rimandano al limite dell’80% del costo sostenuto al 2013, così come l’art. 11, comma 6, del Tusp, dalla cui lettura appare definitivamente chiarito che viene abbandonato il metodo dei tagli c.d. “lineari” e si procederà con valutazioni sulla dimensione delle Società – da cui discenderà un Indicatore fondamentale basato sul Principio che a fronte del maggior rischio per maggior dimensione deve corrispondere un compenso maggiore – e con criteri oggettivi e trasparenti nonché i criteri per la determinazione dell’indennità di risultato, che appaiono al di fuori del compenso omnicomprensivo, perché commisurati ai risultati di bilancio raggiunti dalla Società. Quindi, la ricostruzione interpretativa conduceva a ritenere che per le “Società a controllo pubblico” dei Comuni, non essendo nessuna di esse riconducibili a “tali Società”, concludeva che l’unico limite esistente per i compensi dell’Organo amministrativo è quello previsto dall’art. 11, comma 6, del Tusp, pari a Euro 240.000,00.

Tuttavia, le Sezioni di controllo della Corte dei conti non hanno condiviso tale interpretazione, avvallando un’interpretazione estesa a tutte le “Società a controllo pubblico”, attraverso una ferrea lettura della disposizione contenuta nell’art. 4 comma 4, senza alcuna possibilità di deroga, nonostante in talune fattispecie palesemente in contrasto con i Principi cui si sarebbe dovuto attenere il Regolamento sui compensi previsto dal citato comma 6, dell’art. 11, mai emanato.

Ad oggi anche il Mef, con l’Orientamento emanato ai sensi dell’art. 15, comma 2, del Dlgs. n. 175/2016 (avente ad oggetto “Il rispetto del limite ai compensi degli amministratori, individuato dall’art. 11, comma 7, del Dlgs. n. 175/2016”) conclude che “la tassatività del vincolo indicato dall’art. 4, comma 4, del Dl. n. 95/2012, è peraltro ribadita da diverse Deliberazioni delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (tra le altre, Deliberazione della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Basilicata, n. 10/2018/Par, del 29 marzo 2018)”.

Il protrarsi fino ad oggi del c.d. “regime transitorio”, in un contesto di rigida interpretazione della norma in discussione, ha portato a situazioni, non solo in evidente contrasto con i Principi della riforma della determinazione dei compensi delle “Società a controllo pubblico” contenuta nel Tusp, ma anche a situazioni paradossali – in alcuni casi sfiorando anche ogni più elementare Principio di equità – determinando un evidente effetto negativo sulla gestione della Società a partecipazione pubblica.

Non può sfuggire al riguardo che uno dei Principi cui si attiene il Tusp è quello contenuto nell’art. 1, recitante che “le disposizioni contenute nel presente Decreto sono applicate avendo riguardo all’efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica.”Le Società pubbliche hanno dovuto competere in situazioni di conclamato svantaggio, non potendo garantirsi Amministratori debitamente remunerati. Sul punto, non occorre ricordare che Settori strategici dell’Economia nazionale sono gestiti da Società pubbliche (“Servizio idrico integrato”, “Gestione rifiuti”, “Trasporto pubblico locale”, “Distribuzione del gas”, solo per citare i “servizi di interesse economico generale a rete”), che devono competere con Società private anche straniere che non versano in tale situazione critica.

A fronte di tale situazione, vale la pena fare presente 2 aspetti che sono stati considerati dall’emendamento come necessario oggetto di intervento in quanto non più sostenibili, stante il protrarsi del regime transitorio:

  • il primo attiene al limite di compenso agganciato ad un periodo storico risalente al 2013: sono passati oramai 7 anni e il riferimento al costo sostenuto a tale data non ha più alcun significato e quindi al di fuori di ogni ragionevolezza. Sul punto si era già pronunciata anche Corte dei conti Liguria n. 29/2020/Par, che non si esime dallo stigmatizzare il lungo protrarsi del ritardo nell’adozione del Decreto ministeriale che, ancorando la determinazione dei compensi all’effettiva complessità della gestione societaria, favorirebbe anche la selezione delle migliori professionalità, superando l’ormai anacronistico riferimento alla spesa storica del 2013;
  • il secondo, che nell’emendamento costituisce il precipitato del primo, attiene alla possibilità che nei Gruppi di Società pubbliche il (risalente) limite del compenso agganciato al 2013 debba essere inteso complessivamente e poi ripartito fra le Società del Gruppo.

Tale intervento cerca quindi di temperare gli effetti deleteri del protrarsi del regime transitorio andando a dare una corretta valenza di Gruppo societario: vale a dire un’unica entità economica sebbene suddivisa fra più entità giuridiche. Il calcolo dell’impatto del limite al 2013 non deve intendersi limitato alla singola Società ma alla somma dei limiti delle Società appartenenti al Gruppo, con ciò non rilevando poi se la distribuzione del compenso fra le singole Società determina effetti compensativi le una sulle altre potendo in alcune di esse superare il proprio limite singolarmente inteso.

Peraltro, la strutturazione in Gruppo di Società pubbliche è la risposta all’esigenza di un’organizzazione più efficace ed efficiente per fare fronte a gestioni che richiedono specializzazione industriale, maggiori investimenti e maggior capacità manageriali. Il fenomeno del Gruppo per le Società pubbliche degli Enti Locali è peraltro previsto espressamente dallo stesso Tusp, laddove statuisce che “il divieto [di detenere partecipazioni] non si applica alle Società che hanno come oggetto sociale esclusivo la gestione delle partecipazioni societarie di Enti Locali, salvo il rispetto degli obblighi previsti in materia di trasparenza dei dati finanziari e di consolidamento del bilancio degli Enti partecipanti”.

Ed è particolarmente diffuso il modello di holding (capogruppo) comunale quale Sistema di governance delle Società partecipate[2]

Sulla scia delle considerazioni contenute direttamente o comunque intuibili dal Regolamento si inseriscono alcune recenti posizioni della Corte dei conti.

Si fa riferimento alla Delibera n. 15/2020 della Corte dei conti del Friuli-Venezia Giulia che, chiamata a rispondere in sede di riassetto societario ove non era rinvenibile un utile elemento di raffronto al 2013 ovvero di entità talmente risibile da ritenerlo inesistente, afferma che, “in buona sostanza in mancanza del parametro stabilito dal Legislatore è stata considerata ammissibile l’individuazione di un parametro diverso, anche se comunque ancorato a criteri di razionalizzazione della spesa. Il predetto ragionamento è stato, come citato, più di recente considerato anche in relazione ad un’ipotesi collegata al caso in esame. Infatti, la Sezione regionale di controllo per il Veneto (con Deliberazione n. 31/2018/Par), facendo applicazione del medesimo percorso motivazionale alla fattispecie dell’art. 4, comma 4, del Dl. n. 95/2012, ha affermato che, seppure riferita a una fattispecie vincolistica distinta per materia, ma simile per struttura del vincolo, la Pronuncia della Sezione Autonomie sopra citata (Sezione Autonomie, Deliberazione n. 1/2017/Qmig) poggia sull’assunto che l’impostazione ermeneutica letterale, propensa a ritenere operante un azzeramento della spesa per gli Enti che nei periodi richiamati dalla legge non abbiano sostenuto costi a cui parametrare la percentuale di riduzione/tetto della spesa, si tradurrebbe in un’evidente eterogenesi dei fini finendo così per premiare gli Enti meno oculati, che hanno realizzato ampi volumi di spesa da prendere a riferimento ai fini del relativo contenimento, a discapito di quelli più virtuosi, i quali non hanno sostenuto alcuna spesa. Volendo riportare il medesimo ragionamento sui limiti posti dal comma 4 dell’art. 4 del Dl. n. 95/2012 in un alveo di interpretazione logico-sistematica volta a colmare il vuoto normativo rilevato, e nell’intento di negare la gratuità dell’incarico di amministratore, la Sezione del Veneto conclude osservando che occorre individuare, quindi, un limite alla remunerazione agli Amministratori di una Società partecipata che, nel soddisfare la descritta tensione interpretativa, tenga conto dei dati normativi a disposizione e vada a considerare, a ritroso, l’onere sostenuto nell’ultimo esercizio nel quale risulti presente un esborso utilizzabile come parametro purché contenuto entro i vincoli della «stretta necessarietà» secondo il principio enucleato dalla sopra citata Deliberazione n. 1/2017/Qmig, resa in sede nomofilattica dalla Sezione delle Autonomie”.

Anche in questo caso, secondo la Corte dei conti citata, da un’apertura alla interpretazione restrittiva, basandosi su innegabili Principi di ragionevolezza considerando che la remunerazione (adeguata) è funzionale a “garantire un proficuo e professionalmente adeguato funzionamento degli organi sociali” e che il richiamo all’art. 4 comma 4 era sorto in un contesto transitorio, il cui protrarsi nel tempo ha reso del tutto incongruo e irragionevole l’aggancio al costo sostenuto al 2013 nella misura dell’80%, come già più sopra rilevato[3].

Si aggiunga che anche nella Relazione “Il processo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie detenute dai ministeri e dagli altri enti pubblici soggetti al controllo delle sezioni riunite della Corte dei conti” (Dlgs. n. 175/2016) predisposto dalla Corte dei conti sezioni riunite in sede di controllo – Roma, novembre 2020 – ha lasciato intendere che in caso di fusione di 2 Società il compenso dell’Amministratore della Società rinveniente dal processo di fusione – che ha reso più complessa la struttura sociale – può essere superiore al minimo edittale[4].


[1] Cfr. R. Camporesi, “Evoluzione storica della nozione di controllo pubblico nel Testo Unico” in www.pubblic-utilities.it.

[2] Si veda Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili – Fondazione nazionale Commercialisti “Principi di vigilanza e controllo dell’Organo di revisione degli Enti Locali “ – Documento n. 10 “Controllo sugli Organismi partecipati” 2019; Cndcec “Costituzione della Holding” maggio 2010; Cndcec “Holding degli Enti Locali, attività finanziaria e modelli di governance”; Cndcec attiTavola rotonda “Le Partecipate degli Enti Locali tra Pubblica Amministrazione e mercato documento per la discussione”, Firenze 4-5 novembre 2011 – a cura del Cndcec).

[3] Cfr H: Bonura, D. Di Russo, “Partecipate, l’oggetto sociale dribbla il tetto dei compensi” in Enti Locali & Edilizia – Il Sole 24 ore 15 febbraio 2021.

[4]Il Dm. in parola, come detto, suddivide le Società in tre fasce, sulla base di indicatori dimensionali, volti a valutare la complessità organizzativa e gestionale. In esito, la Società Ales Spa si colloca nella terza fascia per valore della produzione (meno di Euro 100 milioni) e per gli investimenti (meno di Euro l milione), ma nella seconda per numero di dipendenti (oltre 500). Pertanto, il Ministero socio ha considerato i valori retributivi della terza fascia, ma al livello più alto. Inoltre, ha tenuto conto anche della fusione per incorporazione, avvenuta poco prima, della Società Arcus Spa in Ales Spa, disposta dall’art. 1, commi 322 e seguenti, della Legge n. 208/2015, che ha reso più complessa la struttura organizzativa. I compensi in oggetto, infine, prosegue la risposta, risultano in linea con quelli stabiliti per cariche di pari livello in Società ‘in house’ di altri Ministeri, di complessità analoga o inferiore”.

di Roberto Camporesi