Trattamento di fine servizio: le indennità aggiuntive sono soggette a tassazione separata

L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sul trattamento fiscale delle indennità aggiuntive di fine servizio erogate da un Fondo di previdenza

L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta n. 425 dell’8 settembre 2023, ha fornito chiarimenti in ordine al trattamento fiscale delle indennità aggiuntive di fine servizio erogate da un “Fondo” di previdenza alimentato in gran parte da premi di produttività o incentivi all’attività d’istituto.

L’Agenzia ha ricordato in primo luogo che l’art. 17, comma 1, del Dpr. n. 917/1986 (Tuir), individua i redditi che, in considerazione della loro tendenziale formazione pluriennale, non concorrono alla formazione del reddito complessivo cui si applica la tassazione ordinaria e che sono invece assoggettati al regime di tassazione separata.

In particolare, l’Imposta si applica separatamente sui seguenti redditi: “a) trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 del Codice civile e indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente, compresi quelli contemplati alle lett. a), d) e g) del comma 1 dell’art. 50, anche nelle ipotesi di cui all’art. 2122 del Codice civile; altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, comprese l’indennità di preavviso, le somme risultanti dalla capitalizzazione di pensioni e quelle attribuite a fronte dell’obbligo di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 del Codice civile nonché le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro”.

Per quanto concerne i criteri di determinazione dell’Imposta per il trattamento di fine rapporto, il successivo art. 19 specifica che “il trattamento di fine rapporto costituisce reddito per un importo che si determina riducendo il suo ammontare delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva. L’Imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al Dlgs. n. 124/1993 e al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad Imposta sostitutiva, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per 12. Gli uffici finanziari provvedono a riliquidare l’Imposta in base all’aliquota media di tassazione dei 5 anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto alla percezione, iscrivendo a ruolo le maggiori imposte dovute ovvero rimborsando quelle spettanti. 1­bis. Omissis. 1­ter. Omissis. 2. Le altre indennità e somme indicate alla lett. a) del comma 1 dell’art. 17, anche se commisurate alla durata del rapporto di lavoro e anche se corrisposte da soggetti diversi dal datore di lavoro, sono imponibili per il loro ammontare complessivo, al netto dei contributi obbligatori dovuti per legge, con l’aliquota determinata agli effetti del comma 1. Tali indennità e somme, se corrisposte a titolo definitivo e in relazione ad un presupposto non connesso alla cessazione del rapporto di lavoro che ha generato il trattamento di fine rapporto, sono imponibili per il loro ammontare netto con l’aliquota determinata con i criteri di cui al comma 1. 2­bis. Le indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente di cui alla lett. a), del comma 1, dell’art. 17, sono imponibili per un importo che si determina riducendo il loro ammontare netto di una somma pari a Lire 600.000 [Euro 309,87] per ciascun anno preso a base di commisurazione, con esclusione dei periodi di anzianità convenzionale; per i periodi inferiori all’anno la riduzione è rapportata a mese. Se il rapporto si svolge per un numero di ore inferiore a quello ordinario previsto dai Contratti collettivi nazionali di lavoro, la somma è proporzionalmente ridotta. L’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare netto, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al Dlgs. n. 124/1993, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per 12. L’ammontare netto delle indennità, alla cui formazione concorrono contributi previdenziali posti a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati, è computato previa detrazione di una somma pari alla percentuale di tali indennità corrispondente al rapporto, alla data del collocamento a riposo o alla data in cui è maturato il diritto alla percezione, fra l’aliquota del contributo previdenziale posto a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati e l’aliquota complessiva del contributo stesso versato all’ente, cassa o fondo di previdenza”.

Al riguardo, l’Agenzia ha evidenziato che, con diversi documenti di prassi, l’Amministrazione finanziaria ha fornito chiarimenti in merito alle prestazioni erogate al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

In particolare, la Circolare n. 2/1986 (parte prima) ha chiarito che le “indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente” sono quelle spettanti ai pubblici dipendenti e, in specie, stante la codificata equipollenza, ovvero equivalenza con il Tfr, quelle corrisposte in ogni caso in cui venga a cessare il rapporto di pubblico impiego o l’appartenenza ad una generale categoria di detto settore (ad es. l’indennità di buonuscita).

Il Documento di prassi citato ha specificato che, ove il dipendente abbia diritto a più indennità, il carattere di indennità ‘‘equipollente’’ non potrà che essere assegnato a quella ‘‘principale’’, spettante per il rapporto di pubblico impiego che lega il beneficiario all’Ente o Organismo di appartenenza.

Più precisamente, la Circolare ha precisato che “non è infatti ipotizzabile che, in presenza di una pluralità di indennità, tutte siano qualificabili come ‘equipollenti’ al Tfr. Poiché, infatti, questo è unico per tutti i lavoratori subordinati diversi dai pubblici dipendenti, analoga valutazione va fatta anche con riguardo ai pubblici dipendenti, privilegiando l’indennità che presenta i caratteri sopra descritti, ai fini della sua assimilazione al Tfr”.

Per quanto attiene alle “altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti”, la medesima Circolare n. 2/1986 (parte terza), ha chiarito come, in linea di principio, si tratti di emolumenti ­ sia del Comparto privato che di quello pubblico ­ erogati in connessione al verificarsi della cessazione del rapporto di lavoro, comprese le indennità commisurate alla durata del rapporto stesso e che sono corrisposte anche da soggetti diversi dal datore di lavoro vero e proprio.

Il citato Documento di prassi ha affermato che “per il Settore pubblico, ove normalmente non sono previste indennità, premi ed erogazioni aggiuntive dell’Indennità di fine rapporto spettante in via principale, le ‘altre indennità e somme’ si compendiano essenzialmente negli emolumenti erogati da Fondi o Casse di Previdenza che, per ciascuna categoria di pubblici dipendenti, di solito corrispondono un trattamento aggiuntivo di fine rapporto, ragguagliato per lo più agli anni di effettivo servizio prestato presso l’Amministrazione che eroga il trattamento. È, al riguardo, irrilevante che gli emolumenti siano erogati da un Ente o Cassa dotati o meno di personalità giuridica propria, e che l’adesione del pubblico dipendente all’Ente o alla Cassa derivi da iscrizione automatica (ope legis) ovvero volontaria”.

In ragione di ciò, l’Agenzia, con una risposta fornita nel 2008 allo stesso Fondo istante, in linea con la suddetta interpretazione aveva ritenuto che la ‘‘indennità’’ di cui trattasi rientrasse nell’ambito di dette ‘‘altre indennità somme’’, costituendo un’indennità integrativa di quella principale (indennità di buonuscita) corrisposta dall’Inps.

Tuttavia, l’Agenzia ha rilevato che nel corso degli anni è stata fatta valere in giudizio da numerosi contribuenti una tesi contraria a tale orientamento, sulla base della quale le somme erogate dall’Ente sarebbero, invece, assimilabili alle ‘‘indennità equipollenti’’ al trattamento di fine rapporto ed assoggettate a tassazione separata in base al combinato disposto di cui agli art. 17, comma 1, lett. a), e 19, comma 2­bis, del Tuir.

La Corte di Cassazione è intervenuta, con numerose Pronunce, affermando che l’indennità in parola è qualificabile come ‘‘equipollente’’ al Tfr.

Tenuto conto che l’indirizzo consolidato nella giurisprudenza di legittimità si pone in contrasto con la prassi dell’Amministrazione finanziaria, l’Agenzia ha chiesto il parere dell’Avvocatura generale dello Stato che, con Nota Prot. n. 168969/2023, ha in primo luogo ricordato che l’Ente in questione, oltre a corrispondere in favore dei propri iscritti prestazioni assistenziali (sovvenzioni per malattia, anticipazioni, ecc.), eroga in favore dei medesimi quando cessano di far parte dell’Amministrazione per qualsiasi causa (ovvero in favore degli aventi diritto, se gli iscritti sono deceduti durante il servizio), un’indennità, ragguagliata agli anni di servizio civile di ruolo e non di ruolo prestato, ivi compresi i periodi di assenza valutabili ai fini della pensione, in base a quanto previsto dagli artt. 4 e 6 del Regolamento.

L’Organo legale sottolinea quindi che, per espressa previsione normativa, la natura giuridica dell’Ente in questione è di ‘‘Fondo di previdenza’’, alimentato in massima parte da premi di produttività o incentivi all’attività d’istituto.

L’Avvocatura rileva che, sulla base delle ultime Pronunce della Suprema Corte (Ordinanze 10 settembre 2020 e 17 settembre 2020, nn. 18715, 15 novembre 2021, 34231, 18715, 917), la posizione consolidata della Corte di Cassazione può sintetizzarsi nelle seguenti affermazioni:

  • l’indennità erogata al dipendente, all’atto della cessazione dal servizio, dal Fondo di previdenza (…) ha funzione previdenziale ed è assimilabile all’indennità equipollente di cui al Dpr. n. 917/1986, art. 17, comma 1, rappresentando una forma di retribuzione differita con applicazione di tassazione separata e non integrale, essendo la composizione del fondo costituito in massima parte da premi di produttività o da incentivi da parte dell’istituto (cfr. Sezione V, n. 19859/2016 e n. 25396/2017, richiamate da n. 5330/2019);
  • va applicata la tassazione (separata) prevista dal Tuir ­ art. 17 ­ escludendosi che trattasi di contributi diretti a carico del dipendente e da questi interamente versati al Fondo previdenziale, ed esclusi, tout court, dalla tassazione”.

Ai fini della determinazione della base imponibile, l’Avvocatura generale dello Stato conclude che “il Fondo ha natura composita, ma non riviene direttamente da contributi versati dai lavoratori, e dunque non va applicato il criterio di riduzione del calcolo dell’imponibile previsto dall’art. 19, comma 2­bis, ultimo periodo, del Tuir (stante, per l’appunto, l’assenza di quote contributive a carico del dipendente), mentre va riconosciuta la deduzione forfettaria di cui al primo periodo del citato art. 19, comma 2­bis, del Tuir”.

Pertanto, sulla base di quanto sopra rappresentato, l’Agenzia ha concluso che l’indennità erogata dall’Ente ai dipendenti al momento della cessazione dal servizio debba essere assoggettata a tassazione separata, ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a), del Tuir, e sia imponibile, ai sensi dell’art. 19, comma 2­bis, del Tuir, per un importo che si determina riducendo l’ammontare netto di una somma pari a Euro 309,87 per ciascun anno di servizio, senza tener conto dell’ulteriore riduzione prevista dall’ultimo periodo della citata disposizione in quanto non è previsto il versamento di contributi a carico dei dipendenti.