Cassazione Prima sezione Civile, Ordinanza 27325 del 24 marzo 2021
L’Ordinanza oggetto di commento è stata emessa a seguito di un ricorso del Garante della Privacy avverso una sentenza del Tribunale di Cagliari per mezzo della quale una società registrata nel Regno Unito (Tiziana Life Sciences Plc) aveva ottenuto l’annullamento di un Provvedimento del Garante della Privacy.
Questi infatti, durante la vigenza della disciplina privacy anteriore all’entrata in vigore del Regolamento 2016/679, aveva disposto il blocco del trattamento dati effettuato da una società che, in seguito all’acquisizione di un complesso aziendale in fallimento con sede in Pula ne aveva acquisito anche un banca dati genetica relativa ad un programma di ricerca sulle malattie comuni in alcuni paesi dell’Ogliastra in considerazione della riscontrata alta omogeneità genetica degli abitanti, che poteva favorire l’identificazione dei geni associati a malattie complesse.
Il provvedimento venne adottato d’urgenza , in considerazione della necessità di adottare cautele idonee ad assicurare il rispetto della disciplina sulla protezione dei dati personali , sancendo l’obbligo per la società di astenersi da ogni trattamento dei dati degli interessati, ad eccezione delle sole operazioni di trattamento necessarie per garantire un’adeguata conservazione dei dati e dei campioni biologici e di “ricontattare gli interessati, al fine di rendere loro un’idonea informativa e raccogliere una nuova manifestazione di consenso nei termini illustrati nel provvedimento”.
La società impugnò il provvedimento e il Tribunale di Cagliari nell’accogliere argomentò in merito all’annullamento del provvedimento sostenendo che la fattispecie in esame non trovava disciplina nel codice della privacy e che il mutamento soggettivo non comportasse la necessità della nuova informativa e della richiesta di consenso agli interessati.
Il Garante della Privacy proponeva ricorso per Cassazione avverso la summenzionata pronuncia.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Garante, sottolineando invero che, il consenso al trattamento dei dati personali è legato indissolubilmente all’intuitu personae ed inoltre che il mutamento del titolare determina l’avvio di un nuovo trattamento, come tale assoggettato alle disposizioni generali in tema di informativa e di consenso.
La tematica, sottolinea la Corte nel suo percorso argomentativo era già stata trattata dalla stessa in relazione alle banche dati costituite sulla base di elenchi telefonici precisando, già in tal caso, che il cessionario di dati personali non può utilizzarli se non dopo aver provato di avere inoltrato l’informativa agli interessati.
Nel caso esaminato si aggiunge un aspetto ulteriore, ovvero la banca dati acquisita dalla Società ha ad oggetto dati sensibili e genetici degli interessati e pertanto la disciplina da osservare si connota di particolare rigore, considerato che la deroga al consenso in questi casi, laddove possibile, è sempre espressamente disciplinata.
La pronuncia appare di fondamentale importanza sul tema se di considera che la società aveva sollecitato la Corte nel suo ricorso affinché procedesse ad una lettura costituzionalmente orientata del Codice della Privacy lamentando infatti un’eccessiva burocratizzazione del consenso difficilmente conciliabile con la tutela del progresso scientifico e tecnologico.
La Cassazione ha con questa pronuncia precisato alcuni aspetti rilevanti: la definizione di “trattamento” non contempla fra le varie operazioni anche la cessione dei dati ad altro titolare.
Si deve pertanto ritenere che l’acquisizione di dati non presso l’interessato, ma connessa all’acquisto di un complesso aziendale determini l’avvio di un nuovo trattamento con mutamento soggettivo della figura del titolare e il conseguente obbligo gravante su questi di informare gli interessati e di acquisire il consenso che, si ribadisce, può considerarsi valido solo se è espresso liberamente e specificatamente.
Su seguito ad un decreto di perquisizione e sequestro probatorio di materiale informatico ritenuto dall’Autorità inquirente quale cosa pertinente al reato, veniva presentato ricorso per cassazione uno dei soggetti interessati a cui dette cose erano state sequestrate.
Tale gravame veniva presentato adducendo la mancanza di una correlazione qualificata fra i fatti per cui si procedeva e la documentazione acquisita, che faceva assurgere detto sequestro più che ad un sequestro probatorio ad un sequestro esplorativo
Affermava inoltre parte ricorrente la violazione dell’art. 8 della Cedu.
L’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) dispone: “1 Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
L’art. 8 è finalizzato e a difendere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri. In particolare, agli Stati contraenti è posto il divieto di ingerenza, salvo specifiche espresse deroghe.
La nozione di «vita privata» elaborata dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo è una nozione ampia, non soggetta ad una definizione esaustiva che comprende l’integrità fisica e morale della persona e può, dunque, includere numerosi aspetti dell’identità di un individuo. L’identità di un individuo comprende diversi aspetti e si compone di molteplici elementi. Tra i numerosi aspetti dell’identità di un individuo sono ricompresi il nome o gli elementi che si riferiscono al diritto all’immagine. Nel concetto di “vita privata” sono incluse anche le informazioni personali che un individuo può legittimamente aspettarsi non vengano pubblicate senza il suo consenso.
Parte ricorrente con le sue argomentazioni esponeva che il pubblico ministero per il tramite dei propri consulenti si era limitato ad una mera estrapolazione forense dei dati contenuti nella memoria del materiale informatico in sequestro, senza mai operare una cernita dei dati informatici pertinenti al “thema probandum”.
La suprema Corte investita dalla questione ha ritenuto inammissibile il ricorso richiamando i precedenti orientamenti formatisi sul punto precisando che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di conferma del sequestro probatorio di un computer o di un supporto informatico, nel caso in cui ne risulti già la restituzione previa estrazione di copia dei dati immagazzinati e qualora non venga dedotta, la lesione di interessi primari connessi all’indisponibilità delle informazioni contenute negli oggetti sequestrati. (cfr. Cass., Sez. 5, n. 13694 del 15/02/2019, Rv. 274975; Cass., Sez. 6, n. 13306 del 22/02/2018, Rv. 272904).
Sempre sulla questione la giurisprudenza ha chiarito che , in tema di acquisizione della prova, l’autorità giudiziaria, al fine di esaminare un’ampia massa di dati i cui contenuti sono potenzialmente rilevanti per le indagini, può disporre un sequestro dai contenuti molto estesi, provvedendo, tuttavia, nel rispetto del principio di proporzionalità ed adeguatezza, alla immediata restituzione delle cose sottoposte a vincolo non appena sia decorso il tempo ragionevolmente necessario per gli accertamenti.
Nella fattispecie in esame si invocava inoltre l’interesse al ripristino del diritto all’esclusiva diponibilità delle informazioni e alla reintegrazione del diritto alla privacy senza tuttavia specificare quale fosse l’interesse concreto e attuale che avrebbe potuto essere leso dal venir meno della disponibilità esclusiva delle informazioni contenute nelle cose sottoposte a vincolo in capo alla ricorrente.
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile con condanna a carico di parte ricorrente al pagamento di una sanzione a favore della cassa delle ammende.
Di Giuseppina Tofalo