“Fiscal compact”, “six pack” e “two pack”: la partita europea si gioca anche negli Enti Locali

I recenti incontri governativi tra Italia e Francia nonché, subito dopo, tra Italia e Germania, per non dire tutto quanto che vi sta facendo seguito, anche in Europa, con il ns. Paese sempre protagonista, riportano in auge alcuni temi finanziari da non relegare nel dimenticatoio e sui quali è opportuno riflettere brevemente nell’attuale contesto nazionale. Difatti, è bene e prudente che i Responsabili degli Enti territoriali tengano presenti alcuni target europei. Ciò per comprendere che cosa bolle veramente in pentola a livello di politiche pubbliche domestiche nel breve, ma anche nel medio, lungo e lunghissimo periodo.
In questo modo, sarà possibile intuire la loro prossima e possibile ricaduta nel processo formativo della “Legge di stabilità 2015”, il cui iter è in corso. Senza disdegnare orizzonti temporali più ampi. Crediamo che questa impostazione permetta di essere proattivi nelle diverse sedi associative, sia nei confronti del Governo che del Parlamento e, non ultimo, con la rispettiva Regione. Poi, su un piano più “aziendale”, pensiamo serva ad orientare la propria attività tecnica e politico-amministrativa entro un percorso che abbia tratti condivisi o condivisibili in tutto il comparto Enti Locali, dalle Alpi alla Sicilia. Insomma, con una metafora, ogni Dirigente o Responsabile Economico-finanziario e/o dei Tributi, così come ogni Revisore o Assessore al bilancio, è un po’ un medico di base che consiglierà e curerà i propri “pazienti” considerando sicuramente le direttive regionali e nazionali. Ma tenendo conto, sullo sfondo, anche di quelle europee, posto che siamo membri a tutti gli effetti dell’Unione europea, e ancora, mantenendo presenti i fattori esogeni e non direttamente controllabili (patologie locali, stagionalità, rischi, ecc.). In altri termini, pensare oggi di guidare le ns. unità pubbliche locali, ad ogni latitudine, senza tenere in evidenza le novità in divenire e le possibili ricadute, significa procedere a vista, alla vecchia maniera, quasi da mondo pubblico “autarchico”. O, credendo di essere protetti nel proprio guscio monopolistico, dimenticandosi dei vari “mercati” privati, misti e pubblici che hanno una loro forza indipendente e spesso dirompente.
Un’impostazione solo micro e attendista, insieme a tante altre cause, implica debolezza e improvvisazione gestionale e di governo. Non ultimo, con il possibile aumento delle responsabilità direzionali, politiche e di vigilanza. In particolare, ove emergessero, senza averli risolti in precedenza o per tempo, problemi sostanziali di equilibrio di bilancio (alto debito, ritardi nei pagamenti, utilizzo improprio o eccessivo degli avanzi, mantenimento incauto dei residui attivi, scarsi accantonamenti di fondi svalutazioni crediti e rischi vari, latente deficitarietà strutturale se non “predissesto”, ecc). Classicamente, si deve guidare o supervisionare il proprio Ente, non solo guardando lo specchietto retrovisore e davanti a noi, ma gettando anche lo sguardo sulla strada che vogliamo o dobbiamo percorrere ben oltre i limiti apparenti, anticipandone l’andamento e con un occhio sul navigatore satellitare. Ascoltando, da una parte, le notizie sul traffico e, dall’altra, quelle meteorologiche. Non poter dimostrare questo zelo tecnico e amministrativo, in caso di “infortuni” o “incidenti” finanziari al proprio interno, vedrebbe la posizione di ciascuno aggravata e forse sanzionabile, non solo dalla Corte dei conti o dagli Ispettori ministeriali, ma pure sotto il profilo del contratto di lavoro o da parte dai cittadini elettori chiamati a esprimere la loro opinione (non solo col voto). La guida pericolosa e imprudente è sanzionabile a prescindere. La capacità di anticipare ciò che potrebbe accadere, o farlo accadere, è la chiave di successo. Ognuno scelga la propria strada.
Il “Fiscal Compact” non deve terrorizzare
In realtà il “Fiscal Compact” si chiama “Patto di bilancio europeo” o “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica e monetaria”. E’ stato sottoscritto il 2 marzo 2012 ed è entrato in vigore il 1° gennaio dell’anno scorso, quindi da 14 mesi. Si tratta di una serie di regole che i componenti dell’Unione europea hanno fissato per coordinare le politiche fiscali dei Paesi aderenti e per rafforzare la disciplina di bilancio. Tali regole hanno l’obiettivo di rendere più rigidi e vincolanti i parametri che riguardano il rapporto deficit/Pil e il rapporto debito/Pil, inserendo anche sanzioni automatiche per i Paesi che violano tali rapporti. Una delle decisioni fondamentali è stata quella del pareggio di bilancio. Ogni Paese che ha firmato il “Fiscal Compact” ha avuto tempo fino al 1° gennaio scorso per inserire questa regola nella propria Costituzione, come avvenuto anche in Italia. Ciò era un presupposto per ricevere prestiti dall’Unione europea in caso di difficoltà finanziarie.
Vediamo qui di seguito alcune regole previste nel “Fiscal Compact”, seguite da un breve commento:
- regola: su base annua il deficit strutturale della Pubblica Amministrazione deve restare entro lo 0,5% del Pil ma, per i Paesi più virtuosi il cui debito è minore al 60% del Pil, il limite è soltanto dell’1,0%. E’ interessante notare che per deficit strutturale si definisce il disavanzo netto corretto delle variazioni dovute: (a) alla congiuntura economica; (b) a fasi particolari di crisi o di crescita dell’economia di un paese che modifichino in maniera significativa il saldo della Pubblica Amministrazione;
commento: considerando (a) e (b) risulta evidente che lo 0,5% o l’1% non sono percentuali fisse e intangibili, ma sono rettificabili sulla base di particolari situazioni nazionali da mettere in evidenza, quali la bassa o inesistente crescita, l’alta disoccupazione, gli andamenti demografici, la coesione sociale e territoriale, ecc.; una volta di più si dimostra che la finanza pubblica è strettamente connessa, come ovvio e mai da dimenticare, all’economia e ai fenomeni reali di un Paese membro, compreso il ns.;
- regola: in ogni caso, prosegue l’accordo, il deficit pubblico annuo, qualunque sia la fase congiunturale dell’economia del singolo Stato, deve essere assolutamente tenuto entro il 3% del Pil;
commento: questo target, che non migliora o peggiora quello che esiste dagli anni 90’, è una delle ragioni dei possibili provvedimenti che, dall’exSindaco e attuale Sottosegretario Graziano Delrio sino a Carlo Cottarelli, vengono ventilati nelle ultime settimane; quanto stringente o meno sia il 3% si coglie molto meglio alla luce della successiva regola del “Fiscal Compact”;
- regola: per i Paesi che presentano un debito pubblico superiore al 60% del Pil, come notoriamente nel caso dell’Italia (al momento siamo ad oltre il doppio, circa al 134%), l’impegno dal 2015 è scendere sotto tale limite in 20 anni, ovvero entro il 2035, in pratica riducendo ogni anno il debito di un ventesimo dell’eccedenza del 60%. Per l’Italia, l’ordine di grandezza in apparenza – si badi bene, solo in apparenza – sarebbe di 50 miliardi di Euro all’anno: una cifra ovviamente insostenibile per l’esangue finanza pubblica del ns. Paese (sebbene, in prima approssimazione, già incidere in modo consistente sull’evasione fiscale, stimata da 120 a 180 miliardi annui, risolverebbe il problema, assestando inoltre un duro colpo alla malavita organizzata, alla corruzione, e via dicendo);
commento: su questa cifra di 50 miliardi è in atto una pesante campagna mediatica che non informa correttamente o dipinge in maniera eccessivamente drammatica la questione (alimentata anche da speculazioni politiche antiEuro spesso comiche e di bassa lega, su cui si tornerà in altra occasione dando noi prova tecnica che l’Euro è stato e sarà uno scudo straordinario per l’economia italiana, salvo non averlo sempre saputo utilizzare correttamente in passato, come si sarebbe dovuto, entro i ns. più modesti confini); ad ogni modo, proviamo ad offrire alcuni argomenti di riflessione sulla particolare regola del “Fiscal Compact”:
(a) evidentemente, già in termini puramente matematici e astratti, sarebbe in definitiva possibile costruire una curva di rientro dal debito a crescere nell’arco temporale considerato, che inizi da un più modesto importo di 10-15 miliardi annui, a salire nel ventennio, sino a 60-70 miliardi nel 2035; invece di un andamento della curva parallelo all’asse della x, appunto con i 20 anni sull’ascissa, potremmo mutare l’orientamento della curva in crescendo misurando sull’asse della y gli importi annui di riduzione del debito ad iniziare da 10-15 miliardi annui; tutto sommato piuttosto banale, sebbene per ora trattasi di semplice esercitazione;
(b) va poi preconizzato che, in futuro, dopo aver dimostrato che stiamo già abbattendo il debito pubblico, sia possibile rinegoziare e spalmare magari a 30 o 40 anni (se non a 50 anni) la riduzione del debito medesimo sino alla soglia del 60% del Pil; per esempio al raggiungimento di certi target pluriennali (triennali, quinquennali, decennali); ciò consentirebbe di dimezzare o quasi il rientro annuo del debito dai 50 miliardi puramente aritmetici che diventerebbero 25 miliardi medi annui, o in crescendo come in (a) partendo da 10-15 miliardi annui a salire; l’importante è iniziare a ridurre il rapporto debito/Pil e riconquistarsi la credibilità in Europa e sui mercati; il resto può venire di conseguenza;
(c) inoltre, per acquisire il risultato della riduzione del debito pubblico, si deve ragionare anche in funzione dei grandi (e piccoli) piani di dismissione immobiliare da centinaia e centinaia di miliardi (già ora si stimano 400 miliardi), che richiederanno di sicuro un lungo tempo, ma ad ogni modo si potrebbero destinare alcune decine di miliardi annui alla riduzione del debito pur senza contenere oltre certi limiti la spesa corrente e/o aumentare ancora l’imposizione fiscale; basti pensare che tale macro importo può significare 20 miliardi annui; per non parlare della ripresa del mercato immobiliare, della valorizzazione degli asset, di possibili cartolarizzazioni, ecc.; insomma, anche in questa ipotesi possiamo avere un’entrata per ridurre il debito senza traumi o shock, ma si inizi una buona volta destinando le risorse ottenute ad abbattere il debito e non a spenderle ancora;
(d) non solo, ad esempio, traendo spunto da uno studio appena pubblicato[1] e dal semplice modello adottato, e relativa Tabella che si riproduce più avanti, in 20 anni è auspicabile e prevedibile che il valore del Pil italiano salga dagli attuali 1.600 miliardi annui ad un valore nominale di circa 3.000 miliardi nel 2035 (fra tasso di inflazione e pur bassa crescita dell’economia italiana). Ne consegue che, solo basandosi su questa ipotesi di studio, nel 2035 il valore assoluto dello stock di debito ammissibile per restare entro la soglia del 60% del Pil dovrebbe scendere dai 2.100 miliardi del 2014 a soltanto 1.800 miliardi del 2035 (60% di 3.000 miliardi di Pil in tale anno), ovvero non da 2.100 miliardi di debito attuale a 960 miliardi (60% di 1.600 miliardi di Pil attuale), con una riduzione dello stock di debito che non deve essere di (2.100 miliardi – 960 miliardi) = 1.140 miliardi (che diviso in 20 anni farebbe oltre 50 miliardi annui), ma unicamente di 300 miliardi in 20 anni dal 2015 al 2035; il che significa 15 miliardi medi annui poiché (300 miliardi/20 anni) = 15 miliardi medi annui; insomma, se guardiamo la Tabella riprodotta subito sotto, in ipotesi sarebbe sufficiente un incremento dell’avanzo primario di pochi miliardi di Euro l’anno, eccetto che in questo avvio sino al 2017;
(e) in conclusione, senza esaurire tutte le soluzioni immaginabili, questa regola del “Fiscal Compact” da tanti demonizzata si può rispettare, certo non agevolmente, ma con un mix di varie misure. L’obiettivo è conseguibile per il bene del ns. Paese e dei ns. concittadini giovani e meno giovani e, con tutto il rispetto, non solo e tanto per l’Europa. Rimodulare le curve, allungare la scadenza al 2055, accelerare con le dismissioni, ridare fiato all’economia serve a rinegoziare in Europa lo scalone iniziale che è un’evidente necessità. Però, in definitiva, quello che veramente conta è partire una buona volta ed invertire il trend, puntando in particolare sullo sviluppo e la crescita del Paese. Tra l’altro, cambiare rotta alla curva di crescita del debito in rapporto al Pil dovrebbe avere la conseguenza di ridurre ancora lo spread sui bond tedeschi, con ulteriori risparmi della spesa per il servizio del debito. Non ultimo, vedi oltre con il “Two pack”, emissioni di “Eurobond” abbatterebbero il tasso che paghiamo sui ns. titoli pubblici di nuova emissione e, considerando la scadenza media dell’attuale debito pari a circa 5 anni al 4% medio di interessi, potremmo portare a casa un 2% in meno di interessi passivi che, su 2.100 miliardi di stock di debito, grossolanamente significa alla fine del quinquennio circa 30-40 miliardi annui in meno; insomma, il processo di riduzione del debito italiano è fattibile, basta cominciare ad abbatterlo come è stato fatto in diversi Enti Locali che sono stati d’esempio virtuoso in Italia e ai quali è necessario ispirarsi.
Il“Six Pack”è bene ricordarlo
In conseguenza di 3 Regolamenti approvati nel novembre 2011 nell’ambito di un pacchetto complessivo di 6 atti legislativi, è stata introdotta una più rigorosa applicazione del Patto di stabilità che ricalca appunto il “Fiscal Compact” come visto nel paragrafo precedente, con qualche aggiunta:
- obbligo per gli Stati membri di convergere verso l’obiettivo del pareggio di bilanciocon un miglioramento annuale dei saldi pari ad almeno lo 0,5%;
- obbligo per i Paesi il cui debito supera il 60% del Pil di adottare misure per ridurlo ad un ritmo soddisfacente, nella misura di almeno 1/20 della eccedenza rispetto alla soglia del 60%, calcolata nel corso degli ultimi 3 anni;
- un semi-automatismo delle procedure per l’irrogazione delle sanzioni per i Paesi che violano le regole del Patto; le sanzioni sono raccomandate dalla Commissione e si considerano approvate dal Consiglio a meno che esso non le respinga con voto a maggioranza qualificata (“maggioranza inversa”) degli Stati dell’area Euro (non si tiene conto del voto dello Stato interessato).
Ai Paesi che registrano un disavanzo eccessivo si applicherebbe un deposito non fruttifero pari allo 0,2% del Pilrealizzato nell’anno precedente, convertito in ammenda in caso di non osservanza della raccomandazione di correggere il disavanzo eccessivo.
Il“Two Pack” precisa alcune regole
Riassumendo a grandi linee, il 23 novembre 2011 la Commissione europea ha presentato le seguenti 2 proposte di Regolamento che mirano a completare e rafforzare il “Six Pack”, rendendo più efficaci, sia la procedura del semestre europeo, sia la parte preventiva e correttiva del Patto di stabilità e crescita:
- un certo rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri che affrontano o sono minacciati da importanti difficoltà per la propria stabilità finanziaria nell’Eurozona;
- alcune disposizioni comuni per il monitoraggio e la valutazione dei progetti di bilancio e per assicurare la correzione dei disavanzi eccessivi degli Stati membri nell’Eurozona.
La prima proposta di Regolamento definisce una procedura per la vigilanza rafforzata sugli Stati che affrontano o rischiano di affrontare gravi difficoltà economico-finanziarie, con potenziale effetto di contagio in tutta l’Eurozona, o che ricevono assistenza finanziaria dal “Fondo europeo di stabilizzazione dell’Eurozona” (Fesf), dal “Fondo monetario internazionale” (Fmi) o da altre Istituzioni finanziarie internazionali al fine di assicurare un rapido ritorno alle condizioni di normalità.
Sulla base della seconda proposta gli stati dell’Eurozona dovrebbero:
- pubblicare i propri programmi di bilancio a medio-termine, basati su previsioni macroeconomichefornite da unOrganismo indipendente;
- presentare entro il 15 ottobreilprogetto di bilancio per l’anno successivo;
- approvare la Legge di bilancio annuale non più tardi del 31 dicembre;
- istituire un Ente di controllo del bilancio indipendente per il monitoraggio degli andamenti di bilancio.
La Commissione, ove ritenesse il progetto di bilancio di uno Stato non conforme agli obblighi imposti dal Patto di stabilità e crescita, entro 2 settimane dalla ricezione del progetto, potrebbe chiedere la presentazione di un progetto di bilancio rivisto.Al termine dell’esame del progetto di bilancio, al più tardi entro il 30 novembredi ogni anno, la Commissione adotterebbe, fosse necessario, un parere sul progetto medesimo da sottoporre alla valutazione dell’Eurogruppo.
Senza entrare nella cronaca e in eccessivi dettagli, ma come si sostiene in ambienti tecnici del Governo italiano, è interessante notare che l’accordo prevede, tra le tante cose, l’impegno della Commissione europea a istituire un gruppo di lavoro (formato da esperti di diritto ed economia, finanze pubbliche, mercati finanziari e gestione del debito sovrano) con il compito di preparare un rapporto, da presentare entro marzo 2014, relativo ai vantaggi e ai rischi connessi alla sostituzione parziale delle emissioni nazionali di debito con un’emissione comune, sotto forma di un “Fondo di redenzione” (redemption fund) o di eurobills. L’ipotesi di creare un “Fondo di redenzione” (“European redemption Fund”, Erf) è stata elaborata dal Consiglio degli esperti economici della Cancelleria tedesca e sostenuto a più riprese dal Parlamento europeo. Nel Fondo confluirebbe l’importo dei debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona per la parte eccedente il 60% del Pil. L’Erf emetterebbe titoli per una durata massima di 20-25 anni garantiti dal gettito delle Imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici, in particolare, riserve auree e di valuta estera. Invece, gli eurobills si configurano come titoli di debito con scadenza inferiore a un anno, la cui emissione sarebbe condizionata a rigorose politiche fiscali di lungo termine.
Sulla base del rapporto del gruppo di lavoro, la Commissione potrebbe decidere di presentare proposte legislative entro la fine del suo mandato che è il 31 ottobre 2014.
Il quadro di governance economica si completa con:
- misure per assicurare una maggiore coordinamento ex-ante dei progetti di riforma importanti;
- l’introduzione di uno “strumento per la convergenza e la competitività”, ovvero incentivi finanziari per supportare, sulla base di accordi di natura contrattuale tra gli Stati membri e le Istituzioni Ue, la realizzazione delle riforme strutturali; ad avviso della Commissione, l’introduzione di un tale strumento finanziario potrebbe agevolare, in prospettiva, la creazione di una capacità di bilancio (fiscal capacity) autonoma per l’Eurozona.
Infine, la Commissione si è impegnata ad elaborare ipotesi di revisione dei Trattati vigenti, allo scopo di avviare un dibattito, prima delle prossime Elezioni del Parlamento europeo di fine maggio 2014, relativo ad un’ulteriore integrazione in materia di Unione economica e monetaria.
In conclusione, riteniamo che il processo in corso a livello europeo non ci dovrebbe lasciare indifferenti o, peggio, spaventare. Oppure, meno che mai, farci credere che l’uscita dall’Euro e dall’Europa siano le soluzioni salvifiche per risolvere atavici o più recenti problemi italiani. Viceversa, tutte queste novità potranno aiutare l’Italia presente nonché futura, e in definitiva ciascun Ente ed ogni cittadino, ad indirizzare gli sforzi finanziari in atto verso un rinnovato e più moderno Paese. Che, oltre alla stabilità, guardi con maggior forza e determinazione allo sviluppo. Un Patto che non è solo monetario e di stabilità, ma anche di miglioramento e di crescita. Non va dimenticato e va ribadito anche in Europa.
di Luca Eller Vainicher
[1] Giorgio Gattei e Antonino Iero, Keynesblog, marzo 2014, sebbene sotto il titolo “Perché è impossibile rispettare il Fiscal Compact” poiché gli autori in definitiva ritengono insostenibile il “Fiscal Compact”.
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