Nomadismo digitale, cresce e attrae talenti anche grazie a tecnologia

(Adnkronos) – La pandemia da Covid-19 ha rappresentato un punto di svolta che ha sdoganato modalità di lavoro ibride, come smartworking e lavoro da remoto. Una delle ultime tendenze comparse sul mercato è quella del ‘nomadismo digitale’: un fenomeno in crescita che comprende tutta quella categoria di dipendenti che lavorano in un Paese diverso da quello in cui si trova la sede dell’azienda. Secondo l’osservatorio di Littler, il più grande studio di diritto del lavoro a livello globale, il nomadismo digitale è in aumento: nell’ultima edizione dell’indagine European Employer Survey, che ha coinvolto circa 700 responsabili delle risorse umane e avvocati interni alle aziende nel Vecchio Continente, il 73% degli intervistati ha dichiarato di avere dipendenti ‘nomadi digitali’, rispetto al 61% del 2021. 

Tante le opportunità, soprattutto per spalancare le porte a talenti e professionisti specializzati, ma tante anche le sfide per le aziende, soprattutto in termini logistici e normativi. Sempre secondo i risultati dell’indagine emerge chiaro un sentiment di preoccupazione tra le aziende, come dichiarato dalla stragrande maggioranza (89%) per rischi legali, implicazioni fiscali e altri problemi occupazionali che ne derivano. Come sottolineano Carlo Majer ed Edgardo Ratti, co-managing partner di Littler Italia, “i datori di lavoro sono naturalmente preoccupati per le implicazioni che può portare questa nuova modalità di lavoro, in particolare per le aziende che hanno sede nel Regno Unito dopo la Brexit: purtroppo, le aspettative dei dipendenti non sono allineate con la realtà del sistema legale globale, in quanto per i datori di lavoro è davvero impegnativo rendere il ‘lavoro da qualsiasi luogo’ una realtà”. 

Da un punto di vista normativo, prosegue Alessandro De Palma, Partner area Labour dello studio legale Orsingher Ortu, “è indubbio che, a seguito del periodo pandemico, il fenomeno della digitalizzazione del lavoro, sempre più ‘agile’ e sempre meno radicato al concetto (fisico e giuridico) di un ‘cartellino da timbrare’, abbia interessato, e stia tuttora interessando, un numero sempre crescente di imprese”. “Non di rado – avverte – questo nuovo modello organizzativo supera i confini nazionali, tanto che sempre più spesso aziende italiane sono chiamate a gestire la richiesta di dipendenti che, per poche settimane o per periodi ben più prolungati, intendono lavorare dal lungo mare della Costa Azzurra, o da uno chalet delle Alpi svizzere. Purtroppo, manca ad oggi una disciplina organica che regoli queste fattispecie sotto i molteplici, e non semplici, profili coinvolti (giuslavoristico, fiscale, previdenziale, assicurativo). In attesa che il mondo legislativo si adegui a quello del lavoro, sempre più dinamico e in rapida trasformazione, suggeriamo alle aziende di adottare un approccio accorto e consapevole, in modo che lo smart working o il nomadismo digitale siano fonte di opportunità e maggior produttività, e non di rischi e criticità non ponderate”. 

Tra gli stimoli che fanno crescere il nomadismo digitale, c’è sicuramente l’aspirazione dei lavoratori di abbracciare uno stile di vita più flessibile e autonomo che possa migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata, così come per le aziende l’opportunità di sfruttare questa leva per attrarre e trattenere nuovi talenti. Si trova d’accordo Marco Brignoli, co-fondatore di Mirai Bay, una delle più innovative e promettenti realtà di digital marketing e growth hacking in Italia, partecipata da Joe Bastianich, che commenta: “Il nomadismo digitale, secondo la nostra esperienza, sta vivendo uno sviluppo naturale, che può rappresentare per le aziende una leva strategica per accogliere nuovi talenti”.  

“Permettere ai propri dipendenti di lavorare da qualsiasi luogo, viaggiando per il mondo, è un’opportunità preziosa per incontrare le esigenze emerse soprattutto dai più giovani: vivere un’esperienza professionale motivante, rispettosa del work-life balance e capace di generare valore a un livello più profondo della mera dimensione economica. A questo scopo, è necessario maturare i principi di libertà e responsabilità, valori fondamentali che promuoviamo in Mirai Bay. D’altro canto, diventa compito delle imprese preoccuparsi di organizzare momenti di condivisione dentro e fuori l’ufficio, per incentivare il team building e aiutare i membri dei team a costruire un legame profondo”, sottolinea. 

“Il nomadismo digitale è certamente uno dei tanti temi che, a seguito dell’avvento dello smart working nella vita di moltissime persone, sono entrati nel gergo comune del mondo del lavoro. Spesso, quando si parla di nomadismo digitale, si pensa a una persona alla scrivania con vista su una spiaggia tropicale. Si tratta di stereotipi idealizzati e stili di vita irrealistici, la verità è che c’è molto di più. In Italia, per esempio, il nomadismo digitale offre opportunità enormi per ripopolare le aree interne e i comuni abbandonati, rimettendo in circolo economie stagnanti e rispondendo alla sempre più crescente necessità di orari di lavoro flessibili e costi della vita inferiori a quelli spesso insostenibili delle grandi metropoli”, spiega Edoardo Vitale, Content Manager di Mine Studio, agenzia creativa che, con Siamomine, ha sviluppato un progetto editoriale fresco e contemporaneo che si occupa di indagare le tendenze e i fenomeni del lavoro digitale.  

“Quello che emerge dalle statistiche è innanzitutto una disparità di base: a dichiararsi nomadi digitali sono soprattutto bianchi europei (76%), seguiti da latino/ispanici (10%), asiatici (8%) e afrodiscendenti (6%). Molti paesi si stanno già organizzando per sfruttare il potenziale economico del nomadismo digitale, attraverso facilitazioni fiscali e burocratiche, ma anche in termini di infrastrutture e servizi, e questo potrebbe essere il momento adatto per trovare soluzioni affinché questa nuova forma di lavoro non rimanga un privilegio esclusivo delle fasce più ricche della popolazione”, chiarisce. 

In questo scenario, la tecnologia ha un ruolo fondamentale per rendere possibile una modalità di lavoro impensabile fino a pochi anni fa e per semplificare aspetti di gestione amministrativa che si devono basare su trasparenza, sicurezza e governo del processo. Basti pensare alla gestione delle spese, come commenta Davide Salmistraro, Country Manager in Italia di Soldo, l’azienda leader nello spend management a livello europeo: “Il fenomeno della remotizzazione dei dipendenti rende imprescindibile la digitalizzazione in tutte le sue sfaccettature: anche quella dei pagamenti delle spese aziendali. Diventa infatti impensabile gestire trasferte, anticipi di cassa e rimborsi spese in modo tradizionale, con un passaggio di contanti o bonifici e la spedizione via posta dei documenti di rendicontazione. Sia per lo spreco di tempo e di soldi che di sicurezza nella gestione dell’intero processo”.  

“E non è un caso – prosegue – che le aziende nostre clienti, che impiegano moltissimo personale all’estero, sia per missioni temporanee che come coordinamento di più funzioni in luoghi strategici per il business, abbiano identificato in Soldo il giusto strumento, grazie alla sua capacità di rendere attivi 24 ore al giorno e 7 giorni su 7 il controllo e la gestione delle spese di tutti i dipendenti di una impresa. Senza problemi di valute, di gestione emergenze e imprevisti e soprattutto garantendo un flusso di cassa a piena tutela sia dei dipendenti sia dell’azienda, che con la nostra soluzione ha la certezza di sapere in ogni momento chi spende quanto in cosa”. 

Lavorare al di fuori dei confini aziendali richiede condizioni tali da soddisfare le esigenze di efficienza, portabilità e connettività necessarie per mantenere il livello di produttività e affidabilità richiesto. Se da un lato, la tecnologia offre sempre maggiori opportunità per accedere e organizzare in maniera ottimale dati e file, d’altro canto genera anche nuove sfide per le aziende in termini di archiviazione, backup e protezione dei dati sensibili.  

Come commenta Fabrizio Keller, Senior Product Marketing Manager di Western Digital, “le aziende si trovano oggi a gestire nuove modalità di lavoro, dove nomadismo digitale, lavoro da remoto e altre forme ibride sono diventate ormai la nuova normalità”.” Tuttavia, queste trasformazioni nel mondo del lavoro hanno introdotto nuove sfide in termini di archiviazione, backup e protezione dei dati sensibili. Secondo i risultati di una ricerca commissionata da Western Digital nel 2021, il 63% dei data manager intervistati in Italia ha visto aumentare incidenti e minacce alla sicurezza dei dati negli ultimi 12 mesi”, puntualizza. 

“Nell’ambiente aziendale di oggi, l’aumento dei rischi per la sicurezza, il comportamento dei dipendenti e l’enorme volume di dati prodotti possono rendere difficile per le organizzazioni rimanere al passo con le sfide che sicurezza e archiviazione richiedono. Con l’evoluzione della tecnologia, dipendenti e datori di lavoro sono alla ricerca di nuove soluzioni per archiviare e condividere i dati sensibili in modo più sicuro. La combinazione tra un’infrastruttura adeguata, che integri piattaforme di crittografia, per archiviare e condividere i dati sensibili, e una maggiore formazione dei dipendenti sulle minacce a cui possono esporre la propria organizzazione contribuirà a migliorare il panorama delle minacce e a ridurre i rischi”, conclude.