Corte di Cassazione, Ordinanza n. 960 del 15 gennaio 2025
Nel caso analizzato, il Tribunale ha respinto l’opposizione dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione contro il provvedimento che aveva escluso alcuni crediti dal passivo fallimentare per prescrizione.
I crediti non erariali sono soggetti a prescrizione quinquennale, e le notifiche delle intimazioni di pagamento effettuate tramite deposito nella casa comunale (art. 60 Dpr n. 600/1973) non sono state considerate idonee a interrompere la prescrizione, poiché mancavano ulteriori atti interruttivi.
Per il primo gruppo di crediti, la domanda di insinuazione presentata nel 2022 è stata giudicata tardiva, in quanto la prescrizione era già maturata dal 2016. Anche per il secondo gruppo, le intimazioni e gli avvisi prodotti non sono stati considerati validi per interrompere i termini, già scaduti.
Il Tribunale ha quindi confermato che senza atti interruttivi efficaci i crediti non possono essere riconosciuti.
L’Agenzia ha impugnato la decisione in Cassazione, contestando il rigetto e la prescrizione quinquennale applicata.
La Suprema Corte chiarisce che la sospensione della prescrizione può essere rilevata d’ufficio, anche in Cassazione, se emergono elementi già presenti negli atti processuali. La normativa emergenziale del Decreto “Cura Italia” (artt. 67 e 68 del Dl. n. 18/2020) ha sospeso i termini per attività come riscossione e accertamento dall’8 marzo al 31 maggio 2020, spostando in avanti la scadenza della prescrizione e decadenza per un periodo pari alla sospensione. Tale Principio è previsto dall’art. 12, comma 1, del Dlgs. n. 159/2015, che estende la sospensione dei termini anche agli enti impositori in caso di eventi eccezionali.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso ha reso inutile discutere la questione del termine di prescrizione quinquennale applicato anche ai crediti tributari.