“Privacy”: analisi delle “Linee guida” del Garante per il trattamento di dati personali pubblicati dagli Enti pubblici ai fini della Trasparenza

A seguito delle ultime novità legislative in tema di “Pubblicità e Trasparenza” dell’attività della Pubblica Amministrazione, culminate nel Dlgs. 14 marzo 2013, n. 33, vero e proprio “Testo unico” di riordino in subiecta materia, si è verosimilmente più prestato attenzione agli adempimenti “burocratici” finalizzati alla pubblicazione on line di atti e provvedimenti, perdendosi forse di vista la ratio della pubblicazione stessa.

E’ necessario quindi ricordare le origini di questa rivoluzione copernicana che ha segnato il definitivo passaggio all’era informatica.
Con la Legge n. 69/09, recante “Disposizioni per lo Sviluppo economico, la Semplificazione, la Competitività nonché in materia di Processo civile”, il Legislatore aveva posto una pietra miliare nel raggiungimento dell’obiettivo da tempo perseguito, cioè quello della Pubblica Amministrazione senza carta. L’art. 32 della Legge n. 69/09 era rubricato infatti “eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea”. Con tale norma si poneva fine al vecchio Albo pretorio cartaceo, sostituendolo con l’Albo pretorio elettronico e riconducendo l’efficacia della pubblicità legale di atti e provvedimenti soltanto alla pubblicazione sul sito istituzionale della Pubblica Amministrazione. La norma, poi operativa ufficialmente dal 1º gennaio 2011, prevedeva che “gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle Amministrazioni e degli Enti pubblici obbligati”.
Albo pretorio elettronico, quindi. Ci si chiedeva che fine avrebbero fatto le Delibere cartacee, quali cautele sarebbe stato opportuno utilizzare in sede di pubblicazione on line, soprattutto quando i documenti da pubblicare contenevano dati di natura sensibile o ultrasensibile, quale rapporto intercorresse tra la pubblicazione ai fini legali e l’informazione dell’attività amministrativa.
Tutte domande a cui, comunque, il Garante della Privacy aveva già fornito risposta con le “Linee guida in materia di trattamento di dati personali per finalità di pubblicazione e diffusione di atti e documenti di Enti Locali” n. 17 del 19 aprile 2007. Già in quell’occasione il Garante ebbe modo di evidenziare che pubblicità, accessibilità e diffusione “non esprimono sempre una identica situazione. Le forme da osservare per rendere accessibili e per divulgare atti e documenti possono variare a seconda dei casi e comportare quindi modalità ed ambiti di conoscenza di tipo differente; conseguentemente possono rendere necessario o opportuno predisporre accorgimenti di tipo diverso per rispettare i diritti degli interessati”.
Del resto, era già necessario predisporre accorgimenti e cautele prima ancora dell’introduzione dell’Albo pretorio elettronico ed anzi a prescindere da esso.
Ancora, si distingueva già tra diritto di informazione all’attività amministrativa e diritto di accesso ai documenti e agli atti: il primo era generalizzato (erga omnes), fruibile da chiunque senza alcun bisogno di legittimazione; il secondo, invece, rivolto solo a persone determinate (erga partes), fruibile solo dai portatori di un interesse diretto, concreto ed attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento stesso, come previsto dagli artt. 22 e seguenti della Legge n. 241/90. Per tale motivo il Garante, già prima dell’introduzione dell’Albo elettronico, suggeriva di dotarsi di un apposito Regolamento che disciplinasse, sia la pubblicazione degli atti o dei provvedimenti amministrativi comunali ai fini di pubblicità legale all’Albo pretorio (ora elettronico), sia la pubblicazione sul sito web senza finalità di pubblicità legale.
La Trasparenza era nel frattempo divenuta filo conduttore di tutte le riforme. Ricordiamo, sempre nel 2009, con il Dlgs. n. 150/09 (c.d. “Decreto Brunetta”) il famoso art. 11, che codificò il concetto di Trasparenza come “accessibilità totale” delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle P.A., allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche (c.d. “social audit”), da contrapporre al controllo interno (“internal audit”) ed affermò che la Trasparenza attiene ai “livelli essenziali delle prestazioni” costituenti diritti civili e sociali (“lep”), su cui solo ed esclusivamente lo Stato poteva legiferare, a norma dell’art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione. Il comma 8 di tale norma, poi, introdusse la nuova Sezione denominata “Trasparenza, valutazione e merito” (ora divenuta “Amministrazione trasparente”) all’interno della quale dovevano essere pubblicati:
a) il “Programma triennale per la Trasparenza e l’Integrità” ed il relativo stato di attuazione;
b) il Piano e la Relazione di cui all’art. 10;
c) l’ammontare complessivo dei premi collegati alla performance stanziati e l’ammontare dei premi effettivamente distribuiti;
d) l’analisi dei dati relativi al grado di differenziazione nell’utilizzo della premialità, sia per i Dirigenti che per i dipendenti;
e) i nominativi e i curricula dei componenti degli Organismi indipendenti di valutazione e del Responsabile delle funzioni di misurazione della performance di cui all’art. 14;
f) i curricula dei Dirigenti e dei titolari di posizioni organizzative, redatti in conformità al vigente Modello europeo;
g) le retribuzioni dei Dirigenti, con specifica evidenza sulle componenti variabili della retribuzione e delle componenti legate alla valutazione di risultato;
h) i curricula e le retribuzioni di coloro che rivestono incarichi di indirizzo politico amministrativo;
i) gli incarichi, retribuiti e non retribuiti, conferiti ai dipendenti pubblici e a soggetti privati.
Si ricorderà quindi che ogni sito istituzionale doveva ospitare l’Albo pretorio ove si sarebbero dovuti pubblicare una serie di atti e documenti (Deliberazioni; Determinazioni – per coloro che ritenevano obbligatoria la pubblicazione, alla luce della famosa e alquanto discussa decisione del Consiglio di Stato n. 1370/06 – pubblicazioni matrimoniali; provvedimenti anagrafici, di Stato civile, Elettorale e Leva; avvisi di deposito di atto da notificare a persona irreperibile in materia di accertamento delle Imposte sui redditi; immobili e opere realizzati abusivamente, oggetto di rapporti di Ufficiali e Agenti di polizia e relative Ordinanze di sospensione; inviti a presentare eventualmente ricorso contro le decisioni della Cec relative all’iscrizione nelle liste elettorali e avvisi di deposito dell’elenco revisionato degli elettori iscritti alle liste; elenchi Giudici popolari; elenco cittadini che, pur nelle liste, non avranno compiuto il 18º anno nel primo giorno fissato per le Elezioni, ecc.).
Contestualmente, ogni sito istituzionale doveva anche contenere Statuto, Regolamenti, pubblicazioni ex art. 26 della Legge n. 241/90, Organigramma, nominativo Dirigenti, e-mail istituzionali e numeri di telefono, curriculum del Segretario generale, indicatore tempestività pagamenti, tempi medi definizione procedimenti ed erogazione servizi, tassi assenza e maggior presenza personale dirigenziale, dati contrattazione decentrata, tipologie procedimento, termine conclusione procedimento, nome Responsabile e unità organizzativa responsabile istruttoria, Codice disciplinare, avvisi di cui al “Codice dei contratti”.
Pertanto, era chiaro che il nuovo Albo pretorio elettronico dovesse soltanto essere una Sezione del sito web dell’Amministrazione ove pubblicare con effetti di pubblicità legale o con altri effetti alcuni atti e provvedimenti.
Entrato a regime il nuovo Albo pretorio elettronico, ecco che il Garante intervenne nuovamente con ulteriori “Linee guida”, stavolta rivolte a tutte le P.A. (non solo agli Enti Locali), con la Deliberazione n. 88/11.
Con tale Delibera, il Garante analizzava ancora le finalità della pubblicazione, operando una tripartizione:
“Trasparenza”, definita come “la disponibilità sui siti istituzionali delle Amministrazioni di atti e documenti amministrativi, contenenti dati personali, per finalità di trasparenza è volta a garantire una conoscenza generalizzata delle informazioni concernenti aspetti dell’organizzazione dell’Amministrazione al fine di assicurare un ampio controllo sulle capacità delle Pubbliche Amministrazioni di raggiungere gli obiettivi, nonché sulle modalità adottate per la valutazione del lavoro svolto dai dipendenti pubblici”;
“Pubblicità”, definita come “la disponibilità on line per finalità di pubblicità è volta a far conoscere l’azione amministrativa in relazione al rispetto dei principi di legittimità e correttezza, nonché a garantire che gli atti amministrativi producano effetti legali al fine di favorire eventuali comportamenti conseguenti da parte degli interessati. Tale pubblicità può configurarsi anche come uno strumento della trasparenza poiché funzionale a rendere conoscibile l’attività delle Pubbliche Amministrazioni”;
“Consultabilità”, definita come “la disponibilità sui siti istituzionali delle Amministrazioni di atti e documenti amministrativi per finalità di consultabilità è volta a consentire la messa a disposizione degli stessi solo a soggetti determinati – anche per categorie – al fine di garantire in maniera agevole la partecipazione alle attività e ai procedimenti amministrativi”.
Nel frattempo, la pubblicazione sul sito web veniva disciplinata da diverse e sempre più numerose disposizioni (es. artt. 54 e 57 “Cad”; art. 40-bis, comma 4, Dlgs. n. 165/01; art. 18, Legge n. 132/12; art. 72, Dpr. n. 445/00; art. 41-bis del Tuel; art. 2, comma 9-bis, Legge n. 241/90) sino all’emanazione della “Legge Anticorruzione” (Legge n. 190/12), che introdusse ulteriori adempimenti finalizzati alla Trasparenza dell’attività amministrativa, divenuta ormai un’importante costola dell’Anticorruzione. La Legge n. 190/12 costituisce infatti la genesi del nuovo Dlgs. n. 33/13, di riordino degli obblighi di Pubblicità, Trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle P.A, Testo unico che raccoglie le frastagliate norme che regolano gli obblighi di pubblicità dell’azione amministrativa per finalità di Trasparenza.
La pubblicità giuridica non ha tuttavia la sola funzione di informare, ma in alcuni casi dà anche la conoscenza legale degli atti e dei fatti così attestati.
A tale proposito, è utile ricordare che, nel ns. ordinamento, esistono 3 tipi di pubblicità:
la “pubblicità notizia” serve a dare semplice notizia di determinati fatti, ma la sua omissione non influisce, né sulla validità, né sull’efficacia dei fatti stessi. È dunque, un obbligo piuttosto che un onere, essendo prevista solo una sanzione in caso di omissione. Si possono citare,
a tal proposito, le pubblicazioni matrimoniali. Non incide sulla efficacia, né sulla legittimità ovvero sull’esistenza dell’atto;
la “pubblicità dichiarativa” serve invece a rendere opponibili ai terzi gli atti per cui è prevista. La sua omissione non tocca la validità dell’atto, ma la sua efficacia, in quanto rende impossibile far valere l’atto stesso verso i terzi, e costituisce quindi un onere. Serve cioè a rendere opponibili ai terzi i fatti giuridici nei cui confronti, e pertanto l’atto è tamquam non esset. A tal proposito, ricordiamo la trascrizione degli atti di acquisto di immobili nei Registri immobiliari;
infine, la “pubblicità costitutiva” condiziona, sia la validità che l’efficacia dell’atto e, in mancanza di essa, non si produrranno effetti neppure tra le parti. E’ quindi un requisito per il venire in essere del diritto. Un classico esempio è l’iscrizione dell’ipoteca, che si costituisce soltanto mediante iscrizione nei registri immobiliari.
La pubblicazione all’Albo pretorio (on line) di atti e provvedimenti assolve ad una funzione tendenzialmente di pubblicità notizia/dichiarativa, anche se prima di tutto è fondamentale rammentare che la pubblicazione costituisce, soprattutto, una fase del procedimento amministrativo, quella che integra l’efficacia di un atto già esistente e valido (c.d. “fase integrativa dell’efficacia”). In taluni casi, il Legislatore ha anche operato un consistente rafforzamento della fase integrativa dell’efficacia di un provvedimento. Basti ricordare il precedente art. 18, Dl. n. 83/12 (che introdusse la c.d. “Amministrazione aperta”), ora sostituito e confluito nei nuovi artt. 26 e 27 del Dlgs. n. 33/13, secondo cui “la pubblicazione […] costituisce condizione legale di efficacia del titolo legittimante delle concessioni ed attribuzioni di importo complessivo superiore a 1.000 Euro nel corso dell’anno solare previste dal comma 1”. In effetti, come ha sostenuto attenta dottrina in tali fattispecie, il Legislatore ha accresciuto il novero dei dati rispetto ai quali si impone la pubblicità legale sul sito web nonché dei documenti verso i quali viene introdotta la formula della “pubblicità costitutiva”, che si realizza solo se il documento, non solo viene pubblicato sul sito, ma a patto che tale pubblicazione avvenga nella Sezione “Amministrazione trasparente” e secondo le prescrizioni contenute nell’Allegato A.
Tuttavia, l’art. 2 del Dlgs. n. 33/13 evidenzia come per pubblicazione si intenda la “pubblicazione, in conformità alle specifiche e alle regole tecniche di cui all’Allegato A, nei siti istituzionali delle Pubbliche Amministrazioni dei documenti, delle informazioni e dei dati concernenti l’organizzazione e l’attivita’ delle Pubbliche Amministrazioni, cui corrisponde il diritto di chiunque di accedere ai siti direttamente ed immediatamente, senza autenticazione ed identificazione”.
E’ evidente che questo coacervo di definizioni e di norme abbia inevitabilmente generato anche confusione.
Per tale motivo, in tale contesto si inseriscono, a fare chiarezza, le nuove “Linee guida” in materia di trattamento dei dati personali contenuti anche in atti e documenti per finalità di pubblicità e trasparenza, emanate con la Deliberazione n. 243 del 15 maggio 2014 dal Garante (G.U. n. 134 del 12 giugno 2014).
Fin da subito, il Garante opera immediatamente un distinguo, evidenziando come gli obblighi di pubblicazione on line di dati per finalità di “Trasparenza” siano solo quelli indicati nel Dlgs. n. 33/13 e nella normativa vigente in materia avente ad oggetto le “informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle Pubbliche Amministrazioni, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (c.d. Social audit). A tali obblighi si applicano le indicazioni contenute nella Parte I delle “Linee guida”.
Accanto a tali obblighi di pubblicazione permangono altri obblighi di pubblicità on line di dati, informazioni e documenti della P.A., contenuti in specifiche disposizioni di Settore diverse da quelle approvate in materia di Trasparenza “come, fra l’altro, quelli volti a far conoscere l’azione amministrativa in relazione al rispetto dei principi di legittimità e correttezza, o quelli atti a garantire la pubblicità legale degli atti amministrativi (ad es. pubblicità integrativa dell’efficacia, dichiarativa, notizia). Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, alle pubblicazioni ufficiali dello Stato, alle pubblicazioni di Deliberazioni, Ordinanze e Determinazioni sull’Albo preto-rio online degli Enti Locali (oppure su analoghi Albi di altri Enti, come ad esempio le Asl), alle pubblicazioni matrimoniali, alla pubblicazione degli atti concernenti il cambiamento del nome, alla pubblicazione della comunicazione di avviso deposito delle cartelle esattoriali a persone irreperibili, ai casi di pubblicazione dei ruoli annuali tributari dei Consorzi di bonifica, alla pubblicazione dell’Elenco dei Giudici popolari di corte d’assise, ecc.”, cui viene dedicata la Parte II delle “Linee guida”.
In modo molto chiaro, il Garante sottolinea come debbano ritenersi estranei all’oggetto del Dlgs. n. 33/13 tutti gli obblighi di pubblicazione previsti da altre disposizioni per finalità diverse da quelle di Trasparenza, quali gli obblighi di pubblicazione a fini di pubblicità legale, pubblicità integrativa dell’efficacia, pubblicità dichiarativa o notizia, e presi in considerazione nella Parte II delle “Linee guida”, come ad esempio al caso delle pubblicazioni matrimoniali, la cui affissione alla porta della Casa comunale (e oggi sui siti web istituzionali dei Comuni) è prevista per 8 giorni (cfr. art. 55 del Dpr. n. 396/00). La pubblicazione dei dati personali dei nubendi assolve – afferma il Garante – ad “una funzione che evidentemente esula dalle finalità di Trasparenza previste dal Dlgs. n. 33/13 e che è pienamente assolta con la semplice pubblicazione per la durata temporale prevista. Infatti, sarebbe irragionevole applicare a essi il regime di conoscibilità previsto dalla normativa sulla trasparenza (limiti temporali di permanenza sul web, indicizzazione, accesso civico, riutilizzo, ecc.)”.
Sgombrato il campo da ogni confusione e operate le opportune distinzioni in tema di pubblicazione on line (all’Albo o meno) e per finalità di Trasparenza o meno, il Garante ammonisce ancora una volta gli Enti pubblici a porre in essere la massima attenzione nella selezione dei dati personali da utilizzare, sin a monte cioè sin dalla fase di redazione degli atti e documenti soggetti a pubblicazione, in particolare quando vengano in considerazione dati sensibili, proprio come nelle precedenti “Linee guida in materia di trattamento di dati personali contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato da soggetti pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione sul web” 2 marzo 2011, espressamente sostituite, ora, proprio dalle nuove “Linee guida” 15 maggio 2014.
Del resto, era sentita l’esigenza di definire un quadro unitario di misure e accorgimenti volti a individuare opportune cautele che i soggetti pubblici (o Società partecipate) sono tenuti ad applicare nei casi in cui effettuano attività di diffusione di dati personali sui propri siti web istituzionali per finalità di Trasparenza e per altre finalità di pubblicità dell’azione amministrativa.
In entrambi i casi, quindi, qualora l’Ente stia per trattare e pubblicare dati personali sensibili (dati idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, le opinioni politiche, l’adesioni a partiti, sindacati o associazioni), ultrasensibili (dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale) o parasensibili (dai che possono identificare uno stato di bisogno o di disagio e pertanto coinvolge la dignità delle persone), dovrà porre attenzione a non riportare tali informazioni nel testo dei provvedimenti pubblicati on line (ad esempio, nell’oggetto, nel contenuto, ecc.), menzionandole solo negli atti a disposizione degli Uffici (richiamati quale presupposto del provvedimento e consultabili solo da interessati e contro interessati, quindi attraverso l’esercizio del diritto di accesso ai documenti, proponibile come noto soltanto da colui che vanta un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento), oppure indicare delicate situazioni di disagio personale solo sulla base di espressioni di carattere più generale o, se del caso, di codici numerici.
La conseguenza logica e tecnicamente più corretta, che il Garante suggerisce a chiare lettere, è che gli Enti dovranno redigere, da una parte, i provvedimenti originali (completi di tutti i dati anche di natura sensibile richiamati negli atti, ivi compresi gli allegati), e dall’altra, gli estratti da destinare alla pubblicazione (che invece dovranno omettere tali riferimenti).
In definitiva, anche se gli accorgimenti a tutela della riservatezza rimangono uguali, il principio di Trasparenza viene declinato in maniera differente a seconda che si versi in ipotesi di accesso o di pubblicazione: come sottolinea il Garante, esso potrà comportare quindi modalità e ambiti di conoscenza di tipo differente.
E il cittadino conoscerà in modo differente gli atti a seconda che le modalità siano quelle dell’accesso o quelle della pubblicazione, specie con particolare riferimento a dati sensibili o di disagio: in definitiva, l’ampiezza della conoscenza dipende dall’interesse vantato (se qualificato o invece indifferenziato).
Ciò posto, richiamati ancora principi importanti già racchiusi nel “Codice della Privacy” (Dlgs. n. 196/03) – come il principio di pertinenza, non eccedenza, esattezza dei dati – il Garante sottolinea anche come la circostanza che il semplice fatto che informazioni personali siano rese pubblicamente conoscibili on line per finalità di Trasparenza non comporta che le stesse siano liberamente riutilizzabili da chiunque e per qualsiasi scopo.
A tal proposito, è illecito ad esempio “riutilizzare a fini di marketing o di propaganda elettorale i recapiti e gli indirizzi di posta elettronica del personale della P.A. oggetto di pubblicazione obbligatoria, in quanto tale ulteriore trattamento deve ritenersi incompatibile con le originarie finalità di trasparenza per le quali i dati sono resi pubblicamente disponibili. Lo scopo perseguito dalle disposizioni che impongono la pubblicazione dei dati del personale, infatti, seppure non espressamente indicato, è quello di aiutare i consociati a individuare i soggetti e i recapiti da contattare per presentare istanze o ottenere informazioni relative a procedimenti di competenza delle pubbliche amministrazioni (ad esempio, art. 35, Dlgs. n. 33/13). Di conseguenza, il personale interessato, tenuto conto del contesto in cui i dati che lo riguardano sono stati raccolti, non potrebbe ragionevolmente prevedere che questi possano essere utilizzati per scopi non collegati alle proprie attività lavorative”.
Applicando in concreto i sopra citati principi, è opportuno evitare la pubblicazione di dati personali eccedenti e non pertinenti nei curricula professionali dei titolari di incarichi di indirizzo politico, dei titolari di incarichi amministrativi di vertice, dirigenziali e di collaborazione o consulenza; ancora risulta sufficiente pubblicare copia della Dichiarazione dei redditi dei componenti degli Organi di indirizzo politico e, laddove vi acconsentano, del coniuge non separato e dei parenti entro il secondo grado, previo però oscuramento delle informazioni eccedenti e non pertinenti rispetto alla ricostruzione della situazione patrimoniale degli interessati (quali, ad esempio, lo stato civile, il codice fiscale, la sottoscrizione, etc.), nonché di quelle dalle quali si possano desumere indirettamente dati di tipo sensibile, come, fra l’altro, le indicazioni relative a:
– familiari a carico tra i quali possono essere indicati figli disabili;
– spese mediche e di assistenza per portatori di handicap o per determinate patologie;
– erogazioni liberali in denaro a favore dei movimenti e partiti politici;
– erogazioni liberali in denaro a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle iniziative umanitarie, religiose, o laiche, gestite da Fondazioni, Associazioni, Comitati ed Enti individuati con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri nei Paesi non appartenenti all’Ocse;
– contributi associativi versati dai soci alle Società di mutuo soccorso che operano esclusivamente nei settori di cui all’art. 1 della Legge 15 aprile 1886, n. 3818, al fine di assicurare ai soci medesimi un sussidio nei casi di malattia, di impotenza al lavoro o di vecchiaia, oppure, in caso di decesso, un aiuto alle loro famiglie;
– spese sostenute per i servizi di interpretariato dai soggetti riconosciuti sordomuti ai sensi della Legge n. 381/70;
– erogazioni liberali in denaro a favore delle istituzioni religiose;
– scelta per la destinazione del cosiddetto “8 per mille”;
– scelta per la destinazione del “5 per mille”.
E’ poi proporzionato indicare il compenso complessivo percepito dai titolari di incarichi amministrativi di vertice, dirigenziali e di collaborazione o consulenza, tenendo conto di tutte le componenti, anche variabili, della retribuzione, ma di certo risulta sproporzionato riprodurre sul web la versione integrale di documenti contabili o i cedolini di pagamento.
Relativamente poi agli obblighi di pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici, è proporzionato indicare e pubblicare tutti i dati previsti dal comma 1 dell’art. 27 del Dlgs. n. 33/13, ma non certo l’elenco dei soggetti beneficiari di importo complessivo inferiore a 1.000 Euro nell’anno solare a favore del medesimo beneficiario, o di importo superiore a 1.000 Euro qualora da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute o alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati.
Con un’importantissima precisazione, il Garante risolve anche un’annosa questione, quella cioè del coordinamento tra le disposizioni che impongono la pubblicazione degli atti di concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e attribuzione di vantaggi economici suddetti e quelle che regolano la predisposizione dell’Albo dei beneficiari di provvidenze di natura economica (Dpr. n. 118/00).
A tal proposito, si precisa che “l’adempimento degli obblighi di pubblicazione contenuti negli artt. 26 e 27 del Dlgs. n. 33/13 assorbe gli obblighi previsti per gli stessi soggetti dal Dpr. n. 118/00”.
Particolare attenzione viene poi prestata alla durata degli obblighi di pubblicazione, per tutelare il c.d. “diritto all’oblio” degli interessati.
Anche a tal proposito, il Garante opera una distinzione a seconda che si tratti di pubblicazione per finalità riconducibili a quelle indicate dalle disposizioni del Dlgs. n. 33/13, cioè per finalità di Trasparenza (con esclusione di Albo pretorio, pubblicazioni matrimoniali, ecc.), o per altre finalità.
Tenuta ben presente tale distinzione, l’art. 8 del Dlgs. n. 33/13 prevede come normale un periodo di pubblicazione di dati, informazioni e documenti di 5 anni.
Sono tuttavia espressamente previste deroghe alla predetta durata temporale quinquennale:
a) nel caso in cui gli atti producono ancora i loro effetti alla scadenza dei 5 anni, con la conseguenza che gli stessi devono rimanere pubblicati fino alla cessazione della produzione degli effetti;
b) per alcuni dati e informazioni riguardanti i “titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale regionale e locale” (art. 14, comma 2) e i “titolari di incarichi dirigenziali e di collaborazione o consulenza” che devono rimanere pubblicati on line per i 3 anni successivi dalla cessazione del mandato o dell’incarico (art. 15, comma 4);
c) nel caso in cui siano previsti “diversi termini” dalla normativa in materia di trattamento dei dati personali. In merito, il Garante ribadisce che, in tal caso, i dati personali devono essere “conservati per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati”. Pertanto – ricorda il Garante – laddove atti, documenti e informazioni, oggetto di pubblicazione obbligatoria per finalità di trasparenza, contengano dati personali, questi ultimi devono essere oscurati, anche prima del termine di 5 anni, quando sono stati raggiunti gli scopi per i quali essi sono stati resi pubblici e gli atti stessi hanno prodotto i loro effetti.
Parallelamente, avendo invece specifico riguardo alle pubblicazioni on line per altre finalità, come quelle all’Albo pretorio, è necessario fare riferimento al periodo temporale previsto dalle singole discipline, decorso il quale non è più lecito continuare a diffondere i dati personali. In caso contrario, si determinerebbe, per il periodo eccedente la durata prevista dalla normativa di riferimento, una diffusione dei dati personali illecita perché non supportata da idonei presupposti normativi (art. 19, comma 3, del Codice). Ciò, salvo che gli stessi atti e documenti non debbano essere pubblicati in ottemperanza agli obblighi in materia di Trasparenza di cui al Dlgs. n. 33/13.
Quindi, la permanenza nel web di dati personali contenuti nelle Deliberazioni degli Enti Locali oltre il termine di 15 giorni, previsto dall’art. 124 del citato Dlgs. n. 267/00, può integrare una violazione del suddetto art. 19, comma 3, del Codice, laddove non esista un diverso parametro legislativo o regolamentare che preveda la relativa diffusione.
Nell’ipotesi in cui invece la normativa di riferimento non indichi la durata temporale dell’affissione all’Albo, l’Amministrazione deve comunque individuare un congruo periodo di tempo – non superiore al periodo ritenuto, caso per caso, necessario al raggiungimento dello scopo per il quale l’atto è stato adottato e i dati stessi sono stati resi pubblici – entro il quale i dati personali devono rimanere disponibili.
Ecco allora ancora una volta ribadita l’importanza dell’adozione di specifici Regolamenti locali che specifichino tutti i precitati dettagli.
Ciò tanto più alla luce del fatto che lo stesso Garante sottolinei l’importante assunto secondo cui “alle pubblicazioni nell’Albo pretorio online non si applica l’arco temporale dei 5 anni previsto per la pubblicità di dati e informazioni sui siti web istituzionali per finalità di Trasparenza di cui all’art. 8 del Dlgs. n. 33/13”.
Infine, il Garante pone particolare attenzione sulla c.d. “indicizzazione” nei motori di ricerca generalisti (come Google): a tal proposito, l’obbligo di indicizzare i dati nei motori di ricerca generalisti durante il periodo di pubblicazione obbligatoria è limitato ai soli dati tassativamente individuati dalle norme in materia di Trasparenza.
Vanno dunque esclusi gli altri dati che si ha l’obbligo di pubblicare per altre finalità di pubblicità.
Non possono essere pertanto indicizzati (e quindi reperibili tramite i motori di ricerca) i dati sensibili e giudiziari.
A tal riguardo, si richiama l’utilizzo di particolari accorgimenti, come il “Robot exclusion protocol”.

di Avv. Alberto Bicocchi    

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