“Recovery Fund” e territori: le regole di ingaggio per i Comuni al centro del primo Tavolo tecnico del Progetto “Next Generation EU–EuroPA Comune”

Semplificazione amministrativa per accorciare i tempi di intercettazione delle risorse da parte dei Comuni e aumentare la capacità di spesa del Paese, revisione del circuito finanziario che regola l’erogazione dei fondi e rafforzamento degli organici e delle competenze dei tecnici che operano nelle fila degli Enti territoriali.

Sono alcuni dei punti sui quali c’è stata una pressocché unanime convergenza da parte dei rappresentanti dei membri delle Istituzioni e del mondo accademico che si sono confrontati sul tema “Next generation Eu e finanza locale italiana: stato dell’arte e prossimi passi attesi” nell’ambito del primo Tavolo tecnico del Progetto informativo e divulgativo denominato “Next Generation EU – EuroPA Comune” organizzato da Centro Studi Enti Locali e Dipartimento di Economia e Management.

Il confronto virtuale, svoltosi nella mattina del 9 aprile 2021, ha visto la partecipazione di rappresentanti delle Istituzioni, come il Segretario generale Anci, Veronica Nicotra, la Sottosegretaria di Stato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Alessandra Sartore, e Giuseppe Falcomatà, Sindaco di Reggio Calabria e delegato Anci al Mezzogiorno e Politiche per la coesione territoriale.

Con riferimento alle risorse messe a disposizione dall’Unione Europea per il tramite del “Recovery Fund” e che saranno incardinate nel “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, Nicola Tonveronachi, Amministratore delegato di Centro Studi Enti Locali Spa, ha detto: “Riprendendo lo slogan forse più famoso fra quelli esposti all’inizio della pandemia per il Covid, ovvero ‘andrà tutto bene’, noi dobbiamo trasformarlo in un hashtag ancora più giusto e cioè ‘andrà tutto meglio’, nel senso che dobbiamo utilizzare in maniera forte le risorse riservate all’Italia e che il nostro Paese ha saputo conquistarsi, per sciogliere alcuni nodi: non possiamo fallire, perché non possiamo permettercelo per le prossime generazioni: fallire sarebbe davvero un crimine”.

Dello stesso avviso il Prof. Iacopo Cavallini – Dem Unipi, che ha evidenziato come non sia semplice parlare oggi di “Recovery” dato chel’emergenza sanitaria è, purtroppo, tutt’altro che superata ma “siamo chiamati a farlo con la responsabilità e la consapevolezza di non poter mancare l’appuntamento e nemmeno di sbagliare. L’Università di Pisa, il Dipartimento di Economia e Management e il mondo accademico sono pronti ad aiutare a far sì che questa grande, e forse ultima, opportunità non sia mancata, per fare diventare il nostro Paese solo un po’ più moderno e un po’ più normale. Ce lo chiedono le nuove generazioni e ce lo meritiamo anche noi”.

I numeri

Ricordiamo che sul tavolo, per il nostro Paese, ci sono: 191.5 miliardi di Euro, di cui:

  • Euro 68.9 miliardi di sussidi (3.9% del Pil 2019);
  • Euro 122.6 miliardi di prestiti (6.8% del Pil 2019).

Come evidenziato da Antonia Carparelli, Docente Lumsa e già Dirigente alla Commissione Europea, il sostegno finanziario elargito sulla base del “Next generation Eu”, ha una dimensione significativa dal punto di vista macroeconomico, essendo pari a quasi il 5%del Pil dell’Unione.

I fondi dovrebbero essere impegnati entro la fine del 2023, e gran parte degli esborsi verrebbe fatta entro il 2024, per potenziarne l’effetto anticiclico.

Le stime sul potenziale impatto di queste risorse, elaborate dalla Commissione Ue, parlano di uno stimolo fiscale dell’ordine dell’1% del Pil all’anno nel periodo 2021-2024.

La tabella di marcia

Ogni Stato membro deve presentare il proprio “Piano nazionale di ripresa e resilienza” entro il 30 aprile 2021.

La Commissione li valuterà nell’arco delle successive 8 settimane e, una volta acquisita l’approvazione della Commissione, il Consiglio europeo avrà 4 settimane di tempo per fornire la sua decisione finale.

Come ricordato nel corso del Tavolo tecnico le citate 8 settimane sono da intendersi come tempo massimo entro il quale la Commissione dovrà dare il suo via libera ma in realtà questo arco di tempo potrà anche ridursi laddove ci sia stata, come nel caso italiano, una opportuna e costante interlocuzione con Bruxelles nel corso della stesura del “Pnrr”.

I canali di accesso ai finanziamenti per i Comuni

Sembra ormai assodato, ed è stato confermato da più soggetti istituzionali che hanno preso parte all’evento, che saranno due le strade maestre attraverso i quali gli Enti Locali potranno accedere alle risorse del “Next generation Eu”:

  • Da un lato, per le Città metropolitane e gli Enti di dimensioni elevate, ci sarà la possibilità di candidarsi per i “progetti bandiera” (c.d. “flagship”);
  • Dall’altra l’emanazione di bandi ministeriali sul modello del bando per la rigenerazione urbana, attraverso i quali i finanziamenti raggiungeranno anche i Comuni di dimensione più modesta.

C’è però anche una terza via, indicata dalla Sottosegretaria al Mef Alessandra Sartore: “I Progetti che sono oggi all’interno del ‘Piano’ prevedono delle risorse assegnate direttamente a Città metropolitane ed Enti di dimensioni elevate ma anche altre che sono assegnate, per il tramite delle Amministrazioni centrali, anche a Comuni che possono avere Progetti di dimensioni più piccole. Ciò che non rientrerà nel Piano nazionale potrà essere finanziato con altre risorse”. Quei Progetti elaborati dagli Enti Locali che non rientrare per dimensione, tipologia, o per limiti dello stanziamento complessivo, nel Piano da 191 miliardi, avranno dunque “una linea appositamente dedicata, diversa da quella ordinaria o del ‘Fondo Sviluppo e Coesione’ o della Progettazione europea 2021-2027”.

Gli ostacoli da superare

Come evidenziato a più riprese nel corso del Tavolo tecnico, una delle grandi incognite sarà la capacità di gestione, da parte degli Enti, di un numero di un parco progetti così ampio: sia in termini di progettazione che di esecuzione e rendicontazione.

Il tema della rendicontazione è ancora nebuloso posto che, in applicazione della “Legge di bilancio 2021”, la materia dovrà disciplinata da un Decreto Mef che non è stato ancora emanato. Come anticipato però dal Sottosegretario Sartore però, trattandosi di fatto di finanziamenti europei, va da sé che le modalità di rendicontazione delle spese non potranno allontanarsi molto dalle regole già in uso per i progetti finanziati attraverso i Fondi strutturali e d’investimento europei.

Non è un mistero che la P.A. italiana su questo in passato non abbia esattamente brillato.

Dopo aver sottolineato la portata epocale della sfida e l’opportunità senza precedenti che questo Piano rappresenta – definendolo l’intervento sovranazionale più importante dopo il “Piano Marshall”-  l’economista Antonia Carparelliha sottolineato la necessità del Paese di affrancarsi dal passato: non soltanto dai molti decenni di crescita sottodimensionata e di perdita di terreno rispetto ai competitor europei e nazionali ma anche dai dati disastrosi sulla nostra capacità di spesa dei fondi strutturali.

Sul tema di recente si era espresso anche il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, nel corso dell’Audizione relativa all’esame del Documento XXVII n. 18 (“Proposta di ‘Piano nazionale di ripresa e resilienza’”), svoltasi a Palazzo Madama l’8 marzo 2021 nel quale parlò di storica, quasi “cronica”, incapacità di effettuare sistematicamente valutazioni ex ante dei Progetti e valutazioni ex post dei loro risultati; cosa che ci ha sempre impedito di sfruttare a pieno le possibilità offerte dall’utilizzo dei fondi comunitari. Cosa che ha portato, ad esempio, l’Italia a spendere soltanto 34 dei 73,73 miliardi a sua disposizione derivanti dai “Fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020”.

C’è tra le altre cose, ha detto ancora Antonia Carparelli, un “problema di fondo di connessione con la dimensione europea, di piena appropriazione di come funzionano le istituzioni e una necessità di ancorare gli obiettivi nazionali con le regole e le richieste europee”.

Parole d’ordine: assunzioni e aggregazione

Le difficoltà di cui sopra sono accentuate da tutta una serie di annose questioni che hanno avvelenato il pozzo della capacità della P.A. italiana di intercettare le opportunità offerte dall’Europa: in primo luogo la drastica riduzione del numero di dipendenti in forza agli Enti.

Come ricordato nel corso del Tavolo tecnico da Veronica Nicotra, Segretaria generale Anci, le Amministrazioni territoriali si portano dietro un enorme deficit di organico, frutto dei vincoli assunzionali imposti negli ultimi anni, definiti “assurdi”, che si sono tradotti in circa 115.000 unità di personale perse negli ultimi 10 anni, pari a più del 20% del totale, a fronte di oneri, competenze e adempimenti notevolmente cresciuti negli anni. “C’è stata – ha detto – una schizofrenia del Legislatore a cui va posto veramente uno stop”.

Altro grande tema è quello dell’età media molto alta: 50,7 anni. Nelle fila delle P.A. italiane la quota degli under 30 è praticamente inesistente (2,9%), mentre quasi il 17% dei dipendenti pubblici ha superato la soglia dei 60 anni.

Non meno importanti la mancata valorizzazione delle competenze (avanzamenti di carriera legati all’anzianità più che al merito e premi distribuiti a pioggia senza mettere in atto realmente, se non in pochi casi, reali valutazioni della performance) e la progressiva erosione degli investimenti nella formazione dei dipendenti. 

Il combinato disposto di tutti gli elementi di cui sopra, ci restituisce l’immagine di una P.A. che ha bisogno di nuove leve, sì, ma anche di essere profondamente riformata affinché non fallisca questo “appuntamento con la storia”.

Il Governo, come illustrato dal Ministro per la Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, attraverso le “Linee programmatiche” redatte in occasione dell’Audizione parlamentare tenutasi il 9 marzo 2021 presso Palazzo Madama in merito alla bozza di “Pnrr” (“Piano nazionale di ripresa e resilienza”), ha intenzione di muoversi su più fronti per rispondere a queste criticità. Ricordiamo, tra gli altri, la volontà di  semplificare (percorso in parte già avviato) i concorsi così da ridurre drasticamente il tempo che passa tra l’emersione di un bisogno e l’effettiva assunzione dei vincitori (ad oggi superiore a 4 anni) e il dichiarato intento di introdurre percorsi ad hoc destinati a selezionare i migliori laureati e i profili con le più alte qualifiche e a favorire, anche attraverso modelli di mobilità innovativi, l’accesso da parte di persone che lavorano nel privato più qualificato.

Tra le priorità nell’Agenda del Governo c’è dunque il potenziamento delle strutture amministrative attraverso la semplificazione dei concorsi che consentiranno di accorciare i percorsi per l’ingresso nelle P.A. ma anche, stando a quanto dichiarato dalla Sottosegretaria Sartore, la volontà di “integrare i Progetti con un ‘Fondo Progettazione’ assegnato ai Comuni a fondo perduto, che altrimenti difficilmente sarebbero in grado di avere un parco Progetti così grande”.

L’altra strada indicata dalla Sottosegretaria per superare queste difficoltà è quella delle aggregazioni e la strategia delle aree interne. “Per arrivare in determinati luoghi e per raggiungere determinati obiettivi determinanti come Istruzione o Sanità – ha detto – dobbiamo fare in modo che questi possano essere attuati attraverso una strategia. Penso a strategia Aree interne, Unioni di Comuni, Comunità montane. E’ importante che ci sia un filo conduttore che aggreghi gli Enti perché molti hanno pochissima popolazione che hanno risorse amministrative insufficienti per affrontare progetti così rilevanti”.

Ben venga dunque l’assoldamento di nuove e giovani risorse nelle P.A. affinché ci sia personale in numero e con preparazione sufficiente per affrontare la sfida rappresentata dal “Recovery” ma attenzione a  non riporre una eccessiva fiducia nel reclutamento rapido di nuove leve. “Un provvedimento come quello promosso dai Ministri Brunetta e Carfagna, che dovrebbe immettere nelle Amministrazioni 200mila persone in 4 mesi è positivo ma – ha messo in guardia il Prof. Carlo Conte, Componente dello Standard Setter Board, RgS – bisogna tener conto del fatto che si tratta di persone  che ‘vengono dalla strada’ e sono completamente sguarniti di qualsiasi cognizione della P.A. Una persona capace non si costruisce in 4 mesi. Sicuramente saranno una risorsa utile e importante ma dobbiamo tenere a mente che questo deve essere uno degli elementi del sistema di rinascita della P.A. e del sistema paese, ma non l’unico”.

No alle intermediazioni

Altro tema cruciale per non mancare l’appuntamento del 2026 sarà, secondo la Segretaria generale Anci, quello dei finanziamentidiretti e non intermediati ai Comuni e alle Città. La richiesta è quella di avere, nei limiti del possibile, procedure snelle, accelerate e semplificate, con riduzione al minimo di passaggi burocratici formali.“Abbiamo – ha detto Veronica Nicotra- un’esperienza sul campo che suggerisce come tutti i finanziamenti ripartiti direttamente, sulla base dei parametri di legge, ai Comuni, senza mediazioni soprattutto regionali, siano quelli che funzionano meglio. Su questo non ci sono dubbi, dati alla mano. Noi spesso perdiamo molti mesi in attesa di Decreti, firme dei Ministri, Decreti interministeriali o in attesa della Corte dei conti. Sono mesi che diventano veramente strategici, in questo caso, per il rispetto della scadenza del 2026. Non ci possiamo permettere di aspettare 6 mesi per la registrazione di un Decreto dalla Corte dei conti e poi chiedere al povero Comune di realizzare in sei mesi l’opera, perché purtroppo in questo Paese avviene anche questo. Proviamo a cambiare tutti insieme, con una assunzione di responsabilità collettiva”.

La questione meridionale

Il “Recovery Fund” potrebbe essere, secondo Sindaco di Reggio Calabria e delegato Anci al Mezzogiorno e Politiche per la Coesione territoriale, Giuseppe Falcomatà, anche un potenziale mezzo per colmare quell’annoso gap infrastrutturale, economico e in termini di servizi e opportunità che fa sì che questo Paese vada a due velocità. A patto però che le regole di ingaggio siano chiare, eque ed atte a superare questi squilibri storici che si perpetuano nel tempo. “Finché il Governo – ha detto il Primo cittadino di Reggio Calabria – non prenderà atto che si deve mettere da parte il criterio della spesa storica e definire, invece, i ‘livelli minimi delle prestazioni’ (‘lep’) noi, sempre e comunque, a prescindere dalle risorse che arriveranno, saremo in qualche modo di fronte a una discriminazione data dalla residenza, dal luogo di nascita. Finché lo Stato non definirà i livelli minimi delle prestazioni un bambino che nasce a Reggio Calabria non avrà le stesse possibilità, le stesse opportunità e gli stessi servizi di un bambino che nasce in una qualsiasi altra città del Centro-Nord”.

Uno degli elementi sui quali, secondo il Primo cittadino, occorrerà assolutamente intervenire è il tema deltetto massimo del 35% che, ad oggi, si prevede di destinare nel Mezzogiorno per quelle che sono le risorse inerenti ‘Pnrr’ e “Recovery Fund”. Una misura reputata assolutamente non condivisibile, soprattutto nella misura in cui all’interno di questo 35% sono ricomprese anche le risorse ordinarie della Coesione come il “Pon Metro 2021-27”, che andrebbero comunque ai territori del Sud. Per consentire a queste risorse di mantenere carattere aggiuntivo e non sostitutivo il tetto massimo deve essere, secondo Falcomatà, almeno del 60%.

Sul tema dell’Italia a due velocità si è espresso anche Andrea Mazzillo, Economista ed Esperto di finanza locale presso la Sezione Autonomie della Corte dei conti, che ha lanciato un allarme: “Per come funzionano i meccanismi di erogazione di questi fondi, i Comuni che avranno meno capacità di impegnare risorse e di destinarli ai territori, si ritroveranno paradossalmente penalizzati perché queste saranno magari trasferite ad Amministrazioni più efficienti”. 

di Veronica Potenza

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