Cambio gestionale P.A.: la “software house” uscente può rendere onerosa l’operazione di esportazione dei dati?

Il testo del quesito:

Da gennaio di quest’anno abbiamo cambiato il software gestionale del ns. archivio. La vecchia software house, dopo 3 mesi di latitanza e non risposte in merito alla migrazione dei dati, si è fatta viva questa settimana, rendendosi disponibile ma dicendo che l’esportazione sarà onerosa.

Ho letto una Sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 2035/16 che ha indicato come le software house debbano garantire non solo l’accessibilità dei dati alle P.A., ma che in caso di migrazione, tale operazione non può essere onerosa. Mi sa indicare se il Cad o altre leggi danno indicazioni in merito a questo ?

 

 

La risposta dei ns. esperti:

Il “Codice dell’Amministrazione digitale”, all’art. 68, comma 1, dispone che “le Pubbliche Amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi nel rispetto dei principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica, a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:

[…] b) livello di utilizzo di formati di dati e di interfacce di tipo aperto nonché di standard in grado di assicurare l’interoperabilità e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della Pubblica Amministrazione”.

In altre parole, in fase di individuazione della soluzione applicativa, deve essere valutato fra i requisiti quello di interfacciarsi con altri applicativi, ovvero di garantire l’interoperabilità. Questo tema è anche al centro del “Piano triennale per la Pubblica Amministrazione”, che ha incaricato Agid (“Agenzia per l’Italia digitale”) di definire un catalogo delle “Api” (“Application programming interface”) ed un Modello di interoperabilità in grado di fornire un punto di riferimento per le Pubbliche Amministrazioni che devono definire capitolati tecnici per l’acquisto di software. Nella stessa direzione va anche la scelta di migrare l’infrastruttura tecnologica dell’Ente alla tecnologia cloud.

Tuttavia, ad oggi per evitare l’effetto “vendor lock-in” resta l’attenta valutazione dell’acquisto del software, come affermato anche dall’Agid nel Parere alle Linee-guida Anac n. 8 del 2017, nel quale si afferma che, “al fine di prevenire il lock-in, occorre prevedere già nella fase precedente l’acquisizione delle forniture e dei servizi informatici un insieme di attività che definiscano le effettive esigenze dell’Amministrazione e individuino le conseguenti migliori soluzioni idonee a soddisfarle, evidenziando anche quali, tra le soluzioni percorribili, possano comportare rischi di lock-in”.

La Sentenza del Tribunale di Catanzaro n. 2035/16 richiamata nel quesito non parla, a parere di chi scrive, del diritto all’interoperabilità ma piuttosto del diritto ad avere a disposizione i dati di proprietà dell’Ente in un formato aperto e magari documentato per permettere all’Ente di sviluppare un interfaccia applicativa tra i dati messi a disposizione e i nuovi gestionali.

Occorre in altri termini tenere distinto il concetto di dato aperto dall’interoperabilità di sistemi, la quale implica sviluppo di software ad hoc o, in futuro, software adesi a puntuali standard tecnici.

di Cesare Ciabatti