La riforma del fisco si incaglia su patrimoniale e flat tax

La riforma complessiva del fisco si incaglia sui provvedimenti bandiera: patrimoniale, con annessa tassa di successione; e flat tax per le partite Iva. Mentre c’è ampia condivisione sull’abbassamento delle tasse sul terzo scaglione dell’Irpef con una revisione del meccanismo delle aliquote che gravano sui redditi del ceto medio dipendente. Dopo quattro mesi di audizioni sulla riforma dell’Irpef e del sistema tributario, le due anime della maggioranza non hanno trovato ancora un punto d’incontro sui punti più politicizzati. Nella bozza del documento conclusivo, che il Parlamento dovrà produrre entro il 30 giugno ai punti regime forfettario e riordino della tassazione patrimoniale a parità di gettito spicca sottolineata la dicitura “Nodo politico da sciogliere”. Nient’altro. Si vedrà se in sei giorni le interlocuzioni che si succedono porteranno a un accordo o “il nodo” sarà rimosso dal percorso della riforma, perché questa ha i tempi contingentati imposti dal Pnrr. Sotto i due titoli ci sono il regime di flat tax per le partite Iva, le cedolari per le locazioni, l’Imu, la tassa di successione e un’eventuale patrimoniale senza omettere un intervento sul catasto. Tutti temi sensibili sui quali è probabile che nessuna delle due parti vorrà cedere anche se tutti si dichiarano impegnati a “cercare un punto di incontro”. 

In mancanza in un’intesa politica però, secondo Alberto Gusmeroli, vicepresidente della Commissione Finanze della Lega, il Governo potrebbe non procedere. “Draghi è stato chiaro, mi sembra. Il Governo andrà avanti a condizione che ci sia l’accordo politico e comunque sulle parti della riforma sulle quali l’accordo politico c’è”. Le parti sulle quali l’accordo c’è non mancano e anzi sono parte non da poco e in linea con le richieste del Recovery. Punto principale una revisione delle aliquote dell’Irpef che porti a una riduzione della tassazione sui redditi Irpef da lavoro, in particolare sul terzo, e più tartassato, scaglione (28.000-55.000 euro). Al momento, non c’è ancora una linea comune su come si interverrà tecnicamente sulle aliquote (sistema tedesco con aliquota continua oppure intervenendo su scaglioni, aliquote e detrazioni), in ogni caso il beneficio del bonus Renzi verrà assorbito dall’aliquota. Accordo raggiunto anche sul superamento dell’Irap che grava sulle imprese e che dovrebbe essere riassorbita nei tributi attualmente già esistenti il tutto nell’ottica di una maggiore semplificazione. Le Commissioni sono anche concordi nel rivedere la disciplina delle aliquote Iva “con una semplificazione e una possibile riduzione dell’aliquota ordinaria” oggi al 22% attraverso una specifica “delega al Governo” che quindi potrebbe valutare la possibilità di reintrodurre un’aliquota più alta per i beni di lusso. 

Al Senato c’è tensione sul ddl Zan. La Lega agita lo spauracchio del voto segreto

Dopo che il premier Mario Draghi mercoledì in Senato ha di fatto sbloccato l’impasse in cui si trovava il ddl Zan, il voto a scrutinio segreto è agitato dalla Lega come spauracchio verso il Pd. Ma i Dem si dicono sicuri di non temerlo, così come le altre insidie regolamentari, puntando semmai ad un allargamento della base parlamentare della legge sull’omofobia, formando su essa una maggioranza Ursula, come avviene in Europa. Gli scenari parlamentari sono dunque due, a seconda se al tavolo di maggioranza di mercoledì prossimo si avvierà o meno una qualche forma di dialogo. Nel caso di un muro contro muro Dem, M5s e Leu, ritengono di avere i numeri in Aula. Le parole di Draghi, infatti, spingerebbero Iv a ricompattarsi in favore del testo che, d’altra parte, il partito di Renzi ha già votato alla Camera e sul quale nelle scorse settimane aveva invitato ad aprire un dialogo con il centrodestra. In questo scenario di scontro il 13 luglio il ddl Zan arriverebbe in Aula contando anche sui voti di quei senatori usciti da M5S dopo la caduta di Conte, come si evince dalle dichiarazioni di Virginia La Mura

Il ddl Zan avrebbe quindi il sostegno della vecchia maggioranza giallo-rossa che l’ha approvato alla Camera. Il comma 4 dell’articolo 113 del regolamento del Senato, indica una serie di temi su cui è possibile chiedere il voto segreto, tra i quali rientrano alcuni articoli del ddl Zan. Anche alla Camera vi furono dei voti a scrutinio segreto, senza però colpi di scena. Nel caso di apertura di dialogo, scenario a cui i giallo-rossi lavorano, Pd, M5S e Leu lascerebbero l’iniziativa di presentare emendamenti “migliorativi” del testo a Iv e anche alla parte dialogante di Forza Italia, auspicando che l’intero gruppo di Fi transiti almeno ad una posizione di libertà di voto in ottica Ppe. In caso contrario l’unico scenario possibile è quello di andare in Aula e cercare di limitare i danni di uno scontro fra i partiti e l’impatto che potrebbe avere sul Governo guidato da Mario Draghi. 

Grillo apre a Conte ma avverte: lo Statuto si fa con me

Beppe Grillo torna in campo e si riprende le redini del M5S: il braccio di ferro con Giuseppe Conte finisce con una apertura sulla carta al nuovo Movimento che potrà esserci solo e se il futuro leader 5 Stelle prenderà atto del ruolo irrinunciabile che il fondatore intende mantenere sul Movimento. È una sorta di ultimatum quello che il garante lancia al prossimo leader, una prova di forza che si consuma davanti ai parlamentari del Movimento, basiti per la durezza delle parole usate da Grillo per rimarcare la suo primato. Tanto da far aleggiare ancora tra i deputati e senatori M5S lo spettro della rottura tra i due leader. È, in parte, un gioco delle parti, uno show a cui il comico ha nel corso degli anni abituato i suoi interlocutori. Ma al di là dei toni ironici e scherzosi, il messaggio che Grillo ha impartito è chiaro: è Conte che ha bisogno di me e non viceversa. Il Movimento “siamo noi, Conte non andava in piazza. Lui deve studiare. Lui è uno studioso, un uomo di cultura, io sono il visionario”. E soprattutto: “sono il garante, non sono un coglione”. Insomma: pur ironizzando sulle 32 pagine del nuovo Statuto ipotizzato da Conte, e che Grillo chiama “bozza”, un accordo si può trovare: entro 4 o 5 giorni può essere pronto, visto che sui “tre quarti del documento” l’intesa già c’è. Nel neo statuto messo a punto da Giuseppe “c’era anche scritto che io devo essere informato, sentito, ma che è sto avvocatese? Le cose si decidono insieme”. Anche perché’, rimarca Grillo “io gli posso essere molto utile, lo deve capire. Io e lui siamo diversi ma ci compensiamo e questo sarà la forza del M5S”. 

Certo c’è da rivedere la parte sulla comunicazione. “Rocco Casalino è bravissimo sulle tv, ma deve rapportarsi anche con me, non solo con il capo politico” mette in chiaro Grillo. Poi l’apertura choc al terzo mandato: “io sono contrario ma parliamone” annuncia Grillo. C’è chi legge in questa virata il segnale più preoccupante del discorso di Grillo: sta dicendo, commenta un parlamentare, che nel caso in cui ci fosse una scissione, i parlamentari al secondo mandato non avrebbero come unico punto di riferimento Conte. E poi ci sono le lodi a Luigi Di Maio, l’ex capo politico. “Sei uno dei ministri degli Esteri più bravi della storia”. Grillo prepara dunque la sua exit strategy nel caso in cui Giuseppe Conte decidesse di fare un passo indietro. Ma non è la volontà di Grillo. Tant’è che di fronte ai senatori, il tono delle parole del fondatore virano completamente. Qualcuno gli ha fatto notare che forse ha esagerato e lui corregge la rotta. “Vogliono solo metterci contro” esordisce. “Io non voglio indebolire Conte, ma rafforzarlo”. Perché “questo è il momento di Conte”, ma i valori, come la democrazia diretta, e i principi del Movimento vanno salvaguardati. Ora la parola passa ora al futuro leader M5S che ora dovrà trovare una quadra e chiudere il braccio di ferro trovando una intesa definitiva sullo Statuto. Impresa non affatto facile. 

È caos nel centrodestra sulle candidature alle amministrative

Si complica la partita del centrodestra sui candidati da schierare alle prossime elezioni comunali. Dopo il passo indietro di Oscar di Montigny, il quasi prescelto per la corsa contro Beppe Sala, scoppia anche il caso Napoli. E sul capoluogo lombardo, sembra che Matteo Salvini, pur ostentando sicurezza, viaggi nel buio. “Sono onorato della stima e della fiducia che tanti milanesi hanno in me, la ripagherò offrendo in tempi rapidi non solo un sindaco ma una squadra vincente per la città”, commenta. Tempi rapidi è la rassicurazione, anche se da ambienti lombardi trapela che il nodo non sarà sciolto entro questa settimana e anche l’evento di Forza Italia di oggi al palazzo delle Stelline, che vedrà la partecipazione del leader Silvio Berlusconi, si celebrerà senza un nome certo per la sfida alla conquista della poltrona di sindaco di Milano. E c’è chi avrebbe tentato di prendere per la giacchetta lo stesso leader leghista, spingendolo a scendere lui stesso in campo per sfida. Fra tutti lo stesso Sala che all’ipotesi replica: “Sarebbe un grande confronto politico di idee della città: potrebbe essere una soluzione”. Salvini declina e ringrazia e dopo aver partecipato alla manifestazione nazionale dell’Unione delle Camere Penali a Roma vola a Milano perché l’ordine di scuderia resta quello di chiudere in fretta il dossier. Saranno ore frenetiche, con numerosi incontri riservati. All’ombra della Madonnina, tuttavia, tutto è stato rimesso in discussione. In campo sono tornati i civici Annarosa RaccaFabio MinoliRiccardo Ruggiero e Maurizio Dallocchio, con Maurizio Lupi rientrato prepotentemente nella rosa. Il sondaggio di Noto ha infatti sparigliato le carte in tavola, con l’ex ministro e leader di Noi con l’Italia al primo turno sopra di un punto a Sala. 

Una matassa difficile da sbrogliare, con Forza Italia che spinge per la soluzione politica per risolvere anche il rebus di Bologna dove la partita si gioca tra Andrea Cangini o Ilaria Giorgetti come controproposta azzurra e Fabio Battistini e Roberto Mugavero, sponsorizzati dalla Lega. E a complicare il quadro il caos scoppiato a Napoli. Le resistenze di Catello Maresca ad inserire i simboli di partito nella sua lista hanno fatto sfilare Fratelli d’Italia che potrebbe annunciare a breve la candidatura di Sergio Rastrelli. A ruota si è lanciata anche Forza Italia che sarebbe pronta a correre da sola e a sostenere l’uomo di Giorgia Meloni. In realtà la mossa azzurra avrebbe tutt’altro obiettivo.  Una lista unica, o in extremis anche due diverse, che unisca Forza Italia e Lega e che, senza simboli dei partiti, sostenga Maresca. E ci sarebbe già il nome: Prima l’Italia. Una soluzione per il centrodestra che toglierebbe dall’imbarazzo i due partiti sostenitori dell’ex pm, dopo le voci che vorrebbero Fratelli d’Italia fuori dalla partita di Napoli. A spingere per una lista con il Carroccio tutta nuova con tanto di simbolo asettico, è proprio Fi Napoli. In questo modo gli azzurri non si conterebbero, evitando il rischio di brutte sorprese in termini di sondaggi. Per quanto riguarda Fdi, invece, è l’unico partito del centrodestra che ha un peso significativo sul territorio, anche rispetto a Lega e Fi, e avrebbe tutto l’interesse ad andare da solo. I sondaggi parlano chiaro, il partito di Giorgia Meloni con Maresca avrebbe il 12%, quindi sarebbe uno spreco correre senza simbolo a Napoli. Inoltre con Meloni capolista nel capoluogo campano si catalizzerebbero diversi voti facilitando Maresca. 


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