Scioglimento Comune per infiltrazione mafiosa: incandidabilità Amministratori prescinde dal procedimento penale

Nella Sentenza n. 7316 del 13 aprile 2016, la Corte di Cassazione afferma che la misura interdittiva dell’incandidabilita degli Amministratori pubblici di Enti territoriali il cui Consiglio sia stato sciolto per l’esistenza di ingerenze della criminalità organizzata, opera dal momento in cui sia dichiarata con provvedimento definitivo e riguarda il primo turno, ad esso successivo, di ognuna delle tornate elettorali indicate dall’art. 143, comma 11, del Dlgs. n. 267/00, e, dunque, tanto le elezioni regionali, quanto quelle provinciali, comunali e circoscrizionali.

Inoltre, i Giudici di legittimità rilevano che il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità ex art. 143, comma 11, del Tuel è autonomo rispetto a quello penale, e diversi ne sono i presupposti, in quanto la misura interdittiva elettorale non richiede che la condotta dell’Amministratore dell’Ente Locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle interferenze e alle pressioni delle Associazioni criminali operanti sul territorio. Infine, la Suprema Corte statuisce che l’incandidabilità di cui all’art.143 citato, simboleggia una misura interdittiva volta a rimediare al rischio che quanti abbiano arrecato il grave dissesto possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite e, in tal modo, potenzialmente immortalare l’interferenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali, e si configura  come un rimedio di “extrema ratio”, volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni a cui la misura dissolutoria ha inteso ovviare, salvaguardando beni primari della collettività nazionale.