Corte di Cassazione, Ordinanza n. 6703 del 13 marzo 2025
Un gruppo di Professionisti aveva sottoscritto con un Comune un contratto per la progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva di un nuovo stadio. Il valore iniziale dell’opera era stato fissato in circa 28 milioni di euro e i compensi professionali erano stati calcolati in base a questo importo. Con il tempo, il valore complessivo dei lavori era salito a oltre Euro 78 milioni, e i professionisti avevano continuato a lavorare, consegnando il progetto definitivo. A fronte di questo aumento, hanno chiesto il pagamento di somme maggiori rispetto a quelle originariamente pattuite, sostenendo che il contratto prevedeva l’adeguamento dei compensi in caso di variazione dell’importo delle opere.
Il Comune ha rifiutato, sostenendo che non era stato sottoscritto alcun nuovo contratto scritto e che mancava la necessaria copertura finanziaria, come richiesto dall’art. 191 del Dlgs. n. 267/2000.
Il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi hanno dato ragione al Comune, affermando che senza un nuovo accordo scritto e senza un impegno di spesa formalmente approvato, non era possibile riconoscere ai professionisti compensi ulteriori. Secondo i Giudici, i tecnici avevano consapevolmente deciso di svolgere prestazioni aggiuntive, pur sapendo che non c’erano i presupposti formali per un aggiornamento del contratto. Non potevano quindi rivalersi né sull’Ente né sui suoi funzionari. La Corte d’Appello ha anche escluso che vi fosse stato un arricchimento ingiustificato a favore del Comune, sostenendo che il progetto definitivo non era stato completato né utilizzato.
La Suprema Corte però ha annullato in parte questa Sentenza, affermando 2 principi fondamentali: primo, che la clausola del contratto richiamata dai Professionisti non prevedeva un automatico aumento dei compensi, per cui ogni modifica avrebbe comunque richiesto un nuovo accordo formale; secondo, che in materia di indebito arricchimento non è necessario che la Pubblica Amministrazione riconosca esplicitamente o implicitamente l’utilità della prestazione ricevuta. Secondo l’orientamento giurisprudenziale più recente infatti, l’arricchimento si valuta in modo oggettivo: è l’Amministrazione che deve dimostrare di non essersi effettivamente avvalsa della prestazione, oppure di averlo fatto in modo inconsapevole (arricchimento imposto).
Nel caso specifico, i Giudici di legittimità hanno rilevato che il Comune non ha provato né il rifiuto dell’utilità né l’assenza di consapevolezza rispetto alle attività svolte dai professionisti. Per questi motivi, la Suprema Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello non abbia motivato in modo sufficiente il rigetto della domanda per indebito arricchimento, annullando la Sentenza limitatamente a questo punto e alla questione della restituzione delle somme già versate dal Comune, rinviando alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.