SOLO UN ITALIANO SU TRE USA SERVIZI PUBBLICI ONLINE, L’EFFETTO COVID PUÒ CAMBIARE LO SCENARIO?
DOSSIER A CURA DI CENTRO STUDI ENTI LOCALI
Seconda solo alla rivoluzione verde, la transizione al digitale è uno dei due assi portanti del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”. Dopo il via libera definitivo del Consiglio Ecofin al Piano, incassato il 13 luglio scorso, il Governo italiano è ormai prossimo a incamerare il prefinanziamento che vale circa 25 miliardi di euro.
Tra PNRR e Fondo complementare, alla missione “Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura”, saranno destinati quasi 50 miliardi da qui al 2026 (49,2).
Si è detto molto sull’importanza di centrare la sfida della transizione al digitale, senza la quale è impensabile poter costruire una ripresa reale e duratura. Un parallelismo molto efficace è stato utilizzato da Michele Melchionda, Responsabile della transizione al digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ex Commissario di governo per l’attuazione dell’agenda digitale nel corso del Tavolo tecnico “La trasformazione delle P.A. passa per la comunicazione digitale” organizzato nell’ambito del Progetto“Next Generation EU EuroPA – Comune”: “I responsabili per la transizione al digitale – ha osservato – si sono trovati in un momento veramente incredibile dal punto di vista dell’occasione: c’è la possibilità di lasciare veramente un segno importante nella revisione complessiva della Pubblica Amministrazione. Non è una opzione, un qualcosa che possiamo scegliere di fare o non fare. L’utilizzo del digitale nelle pubbliche amministrazioni ha lo stesso peso che ha avuto negli anni ‘60 la costruzione dell’Autostrada del Sole. Ha cambiato la vita, la struttura commerciale del Paese, il modo di pensare e fare impresa. Ha cambiato il volto del Paese”.
Il quadro di partenza
Ma qual è la nostra situazione di partenza? Le nostre pubbliche amministrazioni sono in grado di raggiungere gli standard fissati nel Piano? Qual è lo stato di attuazione dell’ormai quasi maggiorenne “Codice dell’amministrazione digitale?”, varato ben 16 anni fa, e che effetto ha avuto la pandemia in questo ambito?
Se rispetto ai servizi pubblici digitali, l’Italia ha buone prestazioni, in linea con la media UE, di fatto poi soltanto un cittadino su 3 (il 32%) si relaziona effettivamente con la Pubblica Amministrazione attraverso la rete e il 17% degli italiani, quasi uno su 5, non ha mai utilizzato internet in vita sua, contro il 9% della media europea.
Questi i principali fattori che fanno sì che, sebbene il Belpaese vanti infrastrutture e servizi Itc di livello medio-alto, resti fanalino di coda in Ue per digitalizzazione. Nel 2020 il nostro Paese si è piazzato al 25esimo posto su 28, nella classifica del “Digital Economy and Society Index” (DESI), perdendo 2 posizioni rispetto al già critico piazzamento del 2018.
Il report che correda il DESI, l’indice attraverso il quale la Commissione UE misura il grado di digitalizzazione dei paesi membri, mette in evidenza che la vera spina nel fianco del sistema italiano è il capitale umano. Se non riusciamo a raccogliere i frutti degli investimenti fatti sul piano infrastrutturale e delle numerose innovazioni introdotte nel corso degli anni (dalla banda larga alla connettività, dallo Spid a PagoPA), è perché abbiamo capacità digitali, sia di livello base che avanzate, molto basse. Anche il numero di specialisti e laureati nel settore Itc è al di sotto della media UE (2,8 contro il 3,9% degli occupati totali).
Nel 2019 l’Italia ha perso due posizioni e si colloca ora all’ultimo posto nell’UE per quanto riguarda la dimensione del capitale umano. Solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base (58% nell’UE) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (33% nell’UE). Sebbene sia aumentata raggiungendo il 2,8% dell’occupazione totale, la percentuale di specialisti Itc in Italia è ancora al di sotto della media UE (3,9%). La quota italiana di laureati nel settore Itc è rimasta stabile rispetto alla relazione DESI 2019 (sulla base dei dati del 2016). Solo l’1% dei laureati italiani è in possesso di una laurea in discipline Itc (il dato più basso nell’UE), mentre gli specialisti di sesso femminile rappresentano l’1% del numero totale di lavoratrici (cifra leggermente inferiore alla media UE dell’1,4%).
Queste carenze in termini di competenze digitali si riflettono nel modesto utilizzo dei servizi online, compresi i servizi pubblici digitali. Nello specifico, da questo punto di vista, l’Italia è al 19º posto nell’UE, la stessa posizione occupata nel 2019. Tale posizione colloca il Paese al di sotto della media europea, nonostante le buone prestazioni nell’ambito dell’offerta di servizi digitali e di dati aperti (Open Data). L’Italia supera l’UE per quanto riguarda il livello di completezza dei servizi online, i servizi pubblici digitali per le imprese e i dati aperti. La nostra bassa posizione occupata nella classifica generale è dovuta allo scarso livello di interazione online tra le autorità pubbliche e il pubblico in generale. Solo il 32% degli utenti italiani online usufruisce attivamente dei servizi di e-government (rispetto alla media UE del 67%). Questo dato è addirittura diminuito tra il 2018 e il 2019.
In generale, solo il 74% degli italiani usa abitualmente Internet e nella stragrande maggioranza il suo utilizzo è circoscritto all’ascoltare musica, giocare ai videogiochi e guardare video (79%), usare i social network (56%), leggere notizie (58%). Sul piano dell’utilizzo dei servizi messi a disposizione in rete dalla pubblica amministrazione il Paese è ampiamente al di sotto della media UE e solo un italiano su 3 se ne avvale.
Ma i problemi culturali non sussistono solo “lato utente”. I nostri dirigenti e dipendenti pubblici hanno un’età media molto alta e, nella maggior parte dei casi, non possiedono le competenze necessarie a modificare le modalità lavorative e i servizi erogati utilizzando il digitale. La spesa pro-capite annua in tecnologie digitali della P.A. italiana è di circa 90 euro, contro i 190 della Francia, gli oltre 200 della Germania e i 325 del Regno Unito.
Un rapporto stilato nel 2019 dall’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano ha messo, inoltre, in evidenza come – anche in questo caso – ci siano due Italie che viaggiano a velocità molto diverse. Da un lato i comuni, in genere medio-grandi, che sono in grado di affrontare il processo di innovazione e, quindi, di digitalizzare sempre di più i servizi, a volte scegliendo anche di abbandonare completamente il canale analogico. Dall’altro gli enti, in gran parte di piccole dimensioni e con maggior localizzazione al sud e nelle isole, che faticano a tenere il passo anche con gli adempimenti più semplici.
L’effetto Covid
La pandemia ha, per forza di cose, impresso una accelerata alla fruizione delle nuove tecnologie anche da parte dei soggetti più reticenti che era inimmaginabile fino a gennaio 2020. Smartworking, videochiamate, conference call, sportelli digitali sono ormai prepotentemente entrati nel quotidiano di molti italiani, compresi coloro che non ne avevano mai fatto uso prima dell’ingresso, a gamba tesa, del Covid nelle nostre vite.
Anche la Pubblica Amministrazione ha dovuto adeguarsi e adottare, ove possibile, il lavoro agile o da remoto. In realtà la possibilità di avvalersene esisteva già ed era stata rilanciata, ad esempio, nel 2017 dal Governo Renzi che vi dedicò delle linee guida ad hoc ma, di fatto, era una modalità quasi del tutto inapplicata. Da un monitoraggio sull’attuazione del lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche condotto dalla Funzione pubblica nel novembre 2020 è emerso, ad esempio, che a gennaio del 2020 (quindi pre-Covid) solo un dipendente comunale su 100 faceva smartworking. Nel caso delle Città metropolitane e delle Province, la percentuale scendeva addirittura allo 0,1%.
Quattro mesi dopo, in pieno lockdown, quelle percentuali sono salite al 47,5% nel caso dei Comuni e al 62,2% nel caso delle Città metropolitane e delle Province. Nelle Regioni si è passati invece dal 2% del gennaio al 66,7% dell’aprile 2020.Stando ai dati dell’Agenzia per l’Italia digitale, le identità Spid erogate sono passate da 5. 685.148 del gennaio 2020 a 22.422.561 di oggi.
Altrettanto vertiginoso l’aumento delle transazioni di PagoPa, che hanno avuto un tasso di crescita dell’84% rispetto all’anno scorso.
Ma come si sono trasformati i servizi per l’utenza? L’81,3% delle amministrazioni centrali ha erogato servizi in modalità telematica ma i Comuni non sono stati in grado di tenere il passo e si sono fermati a quota 51,6% (circa 1 su 2). I servizi telefonici sono stati garantiti dal 56,9% degli enti locali e dal 67,9% delle P.A. centrali. Nel 91% dei comuni e delle province si è consentito di accedere fisicamente negli uffici su prenotazione mentre solo un ente locale su 10 ha optato per la distribuzione di documenti attraverso un contenitore all’esterno dell’edificio. Quasi nulla la percentuale di enti che ha erogato servizi a domicilio (0,5%).
Adesso gli occhi sono puntati verso il rapporto DESI 2021 che, si presume, sarà fortemente influenzato dai grandi mutamenti innescati dal Covid.
Il Rapporto Censis-Tim sulla trasformazione digitale dell’Italia ha evidenziato come ci sia stato, nel nostro Paese, un aumento del traffico dati sulla rete fissa del 70%, con punte del 90% nella fascia oraria lavorativa. Negli altri Paesi in cui è stata resa nota la variazione, l’incremento si è attestato intorno al 40%-50% e comunque mai superiore al 60%
Il boom più eclatante è stato quello registrato per la videocomunicazione (+1028% da rete fissa e +505% da rete mobile), ma anche la messaggistica istantanea ha conosciuto una netta impennata (+233% da rete fissa e +106% da rete mobile). Durante il lockdown 3 italiani su 4 hanno utilizzato internet in modo regolare, effettuando videochiamate e comunicando online.
Il lockdown ha dunque forzatamente aumentato le competenze digitali della popolazione: in base ad una propria auto-valutazione circa l’80% degli italiani ritiene adesso di avere almeno competenze digitali di base e il 46%, pensa di avere competenze digitali avanzate. Ampi, va da sé, gli spazi di crescita: quasi 2 italiani su 3 sono interessati a migliorare le proprie digital skills.
Quanto alla relazione con la pubblica amministrazione, circa 8,7 milioni di italiani (17,5% del campione preso in esame nel citato Rapporto Censis-Tim) hanno dovuto utilizzare i servizi digitali per la prima volta. Tra questi poco più della metà (4,5 milioni) hanno utilizzato i servizi senza problemi ed altri 2,6 milioni hanno riscontrato difficoltà ma alla fine sono riusciti nel loro compito. Hanno invece alzato bandiera bianca 1,6 milioni di nuovi utenti, che hanno tentato di usare i servizi pubblici digitali ma non sono riusciti.
Su questa quota ci sarà molto da lavorare, come pure sui 3,5 milioni che hanno scelto di non rivolgersi alla P.A. durante l’emergenza sanitaria preferendo attendere di poterlo fare di persona.