Recovery Fund: avviato a Palazzo Chigi l’esame del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”

Il Consiglio dei Ministri, riunitosi lunedì 7 dicembre 2020 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Premier Giuseppe Conte, ha avviato l’esame del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (“Pnrr”) e delle disposizioni volte ad assicurarne l’attuazione.

Il Piano detta i criteri in base ai quali, nel nostro Paese, sarà data attuazione al programma “Next Generation Eu”, varato dall’Unione europea per integrare il “Quadro finanziario pluriennale” (“Qfp”) 2021-2027 alla luce delle conseguenze economiche e sociali della pandemia da “Covid-19”.

Il Programma ha l’obiettivo di definire quali riforme e investimenti saranno finanziati attraverso i 196 miliardi che dovrebbero essere destinati all’Italia, stando alle stime di allocazione tra Paesi membri dei 750 miliardi di Euro del Fondo che tengono conto delle nuove proiezioni di crescita dell’Autumn forecast della Commissione europea ma che non sono ancora state confermate ufficialmente.

Ricordiamo che 380 dei citati 750 miliardi sono a fondo perduto e saranno raccolti con emissioni di titoli europei (per il 30% “green bonds”); l’Italia sarà il principale beneficiario con 209 miliardi attesi, tra prestiti e sussidi.

Stando alla prima stesura del Documento, ancora da licenziare del CdM in via definitiva, il Piano è incardinato intorno a 4 Linee strategiche (Modernizzazione del Paese; Transizione ecologica; Inclusione sociale e territoriale e Parità di genere) e individua 6 Missioni fondamentali:

  1. Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura;
  2. Rivoluzione verde e transizione ecologica;
  3. Infrastrutture per la mobilità;
  4. Istruzione e ricerca;
  5. Parità di genere, coesione sociale e territoriale;
  6. Salute.

Dalla bozza, il cui esame riprenderà nella prossima riunione del Consiglio dei Ministri, emerge che 74,3 miliardi di Euro andranno a finanziare le misure del capitolo “Rivoluzione verde e transizione ecologica” (pari al 37,9% del totale delle risorse disponibili). Alla voce “Digitalizzazione e innovazione” saranno destinati 48,7 miliardi di Euro (24,9%) mentre 27,7 miliardi andranno al “Settore Infrastrutture” per una mobilità sostenibile (14,1%). Chiudono il cerchio i capitoli: “Istruzione e ricerca”, che conterà su finanziamenti per 19,2 miliardi (9,8%); “Parità di genere, coesione sociale e territoriale” (17,1 miliardi, pari all’8,7%) e “Sanità” (9 miliardi, vale a dire 4,6%).

Di seguito un quadro più dettagliato del riparto ipotizzato, tratto dalla bozza del “Pnrr”.

Globalmente quindi, i due grandi filoni che sembrano destinati a fare la parte del leone nell’allocazione delle risorse sono:

  1. lotta al cambiamento climatico e “rivoluzione verde, a cui saranno destinati 80 miliardi di Euro, pari al 40,8% del totale;  
  2. transizione al digitale, che dovrebbe essere promossa attraverso investimenti per 45 miliardi di Euro, pari al 23% del totale.

La situazione di partenza

Il periodo che stiamo vivendo – si legge nella premessa del Documento – sarà ricordato come uno dei peggiori della storia recente per l’economia mondiale e per quella europea in particolare. Il rapido susseguirsi di due crisi finanziarie e di una emergenza sanitaria di proporzioni globali ancora in corso, che ha già provocato nel mondo più di un milione di morti, hanno avuto pesanti conseguenze sull’occupazione, sul tessuto produttivo, sulla coesione economica e sociale di quasi tutti i Paesi”.

Con riferimento all’andamento del Prodotto interno lordo nell’anno corrente, la stima del Governo è leggermente più ottimista di quella della Commissione europea. Per l’Esecutivo, la previsione il 2020 è una contrazione del 9% a cui dovrebbe fare da contraltare un forte rimbalzo nel 2021 (+6%) mentre le più recenti previsioni della Commissione Ue parlano di -9,9% per l’Italia e -7,8% come media dell’Area Euro.

Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato, lo scorso ottobre 2020, che l’Economia mondiale si contrarrà del 4,4% quest’anno, registrando così il calo più drastico dal Secondo Dopoguerra, e il Commercio internazionale subirà una diminuzione del 10,4%.

Le riforme

Con riferimento al Settore pubblico italiano, viene enfatizzata la necessità di rafforzare la capacità amministrativa al fine di migliorare i servizi offerti e rilanciare gli investimenti pubblici, diminuiti drasticamente negli ultimi 11 anni. Rispetto al Pil, questi ultimi sono infatti passati dal 3,7% del 2009 al 2,1% del 2018, recuperando solo marginalmente, al 2,3%, nel 2019.

Il ‘Pnrr’ – si legge – affronta questa rigidità promuovendo un’ambiziosa agenda di riforme per la Pubblica Amministrazione, supportata dalla digitalizzazione dei processi e dei servizi, dal rafforzamento della capacità gestionale e dalla fornitura dell’assistenza tecnica necessaria alle amministrazioni centrali e locali, che sono fondamentali per promuovere un utilizzo rapido ed efficiente delle risorse pubbliche. Uno dei lasciti più preziosi del ‘Pnrr’ sarà l’aumento permanente dell’efficienza e della capacità della Pubblica Amministrazione di decidere e mettere a punto progetti innovativi e di accompagnarli dai primi investimenti fino alla realizzazione finale”.

Tra le altre riforme prospettate, particolare spazio è stato dato alla riforma della Giustizia e a quella fiscale. In merito a quest’ultima, viene evidenziata la necessità di mettere in atto una revisione generale della tassazione che consenta di avere maggiore equità, riducendo le disparità di trattamento tra i cittadini e la concorrenza sleale tra le imprese.

Nel mirino del Governo c’è in primo luogo l’Irpef, che mostrerebbe “evidenti problemi di inefficienza, iniquità verticale e orizzontale e mancanza di trasparenza”. Viene annunciata, in merito, la volontà di ridurre il prelievo previsto per i redditi medi (40.000-60.000 Euro) che scontano ad oggi livelli di tassazione eccessivi rispetto ai redditi ottenuti.

L’impatto macroeconomico del “Pnrr

In merito alla valutazione dell’impatto macroeconomico del “Piano”, cui è dedicata la IV ed ultima Sezione del Documento, viene stimato che, a fine periodo di investimento (2026), il Pil risulti più alto di 2,3 punti percentuali rispetto allo scenario di base.

La spinta attesa è pari allo 0,3% nel 2021, 0,5% nel 2022, 1,3% nel 2023, 1,7% nel 2024, 2% nel 2025 e 2,3% nel 2026.

Tali stime partono dall’assunto che il 60% dei fondi in questione vadano a finanziare investimenti pubblici, ossia, spese in conto capitale a carico delle P.A., e che il restante 40% venga destinato principalmente a incentivi alle imprese e riduzione dei contributi fiscali sul lavoro, e solo marginalmente a coprire spesa pubblica corrente e trasferimenti alle famiglie.

A queste ipotesi operative è necessario aggiungere un’ipotesi di fondo sull’efficienza degli investimenti pubblici, variabile chiave nel determinare gli effetti macroeconomici del ‘Piano’. Tali investimenti possono infatti contribuire ad una crescita sostenibile e duratura, ma il loro impatto sul Sistema economico è molto eterogeneo. Ai fini di questa valutazione si ipotizza che gli investimenti pubblici finanziati siano quelli con una maggiore efficienza, ossia, infrastrutture materiali o immateriali con una elevata ricaduta in termini di crescita del prodotto potenziale”.

di Veronica Potenza