La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 8077 del 3 aprile 2018, si è pronunciata in merito alla differenziazione di regime tariffario Tarsu tra strutture alberghiere e civili abitazioni. La Suprema Corte, ribadendo il consolidato orientamento in materia (Cassazione, Sentenze nn. 16175/16 e 11966/16), ha affermato che “è legittima la Delibera comunale di approvazione del Regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime. La maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce infatti un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei Regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal Dlgs. n. 22/97, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’Ente impositore”. Ciò in quanto la differenza tariffaria, indicata dall’art. 69, comma 2, del Dlgs. n. 507/93, tra gli elementi di riscontro della legittimità della Delibera, non deve essere valutata in ordine alla mera differenziazione tra le categorie economiche, bensì in base alla relazione tra le tariffe ed i costi del Servizio distinti in base alla loro classificazione economica. Inoltre, i Giudici di legittimità hanno precisato che, in tema di Tarsu, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della Delibera comunale di determinazione della tariffa di cui all’art. 65 del Dlgs. n. 507/93, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile “ex post”, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili.
Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 8077 del 3 aprile 2018