Il monito dei due Garanti: è necessario tutelare la riservatezza dei detenuti nelle carceri

La polizia penitenziaria può sorvegliare ma non ascoltare le conversazioni dei detenuti

Il 9 aprile 2021 il Garante per la protezione dei dati personali e l’Autorità Garante dei diritti dei detenuti hanno rilasciato un Comunicato congiunto, col quale sono state espresse raccomandazioni e richiami sulla riservatezza nelle carceri italiane[1].

Sorvegliare e punire”. Questo è il titolo di uno dei libri più famosi sul modo in cui le carceri possono impattare sull’uomo e sulla sua psicologia, scritto da Michel Foucault, nel lontano 1975, ancora oggi studiato a Giurisprudenza. All’epoca in cui fu pubblicato, internet non esisteva e i computer erano grandi quanto grandi stanzoni. Oggi, invece, all’interno delle carceri i detenuti hanno la possibilità di entrare in contatto con i propri cari grazie alla tecnologia delle videochiamate.

L’arrivo di Skype. Con la Circolare del Ministero della Giustizia, n. 0031246 del 30 gennaio 2019, è stata introdotta la possibilità per i detenuti di chiamare i propri familiari tramite Skype (Business)[2]. Il procedimento è molto semplice: l’operatore di polizia giudiziaria (cd. “Relatore”) predispone e sorveglia la chiamata per il detenuto (cd. “Partecipante”), inserendo poi tutti i dati personali a quest’ultimo riferiti (dal nome e cognome allo stato e grado del procedimento penale a carico), nonché quelli di uno o più familiari intervenuti, in un apposito registro. Chiaramente, per esigenze di sicurezza pubblica (e privata), l’operatore è tenuto a vigilare sul corretto svolgimento della chiamata e impedire, per esempio, che l’interlocutore del detenuto cambi in corsa. A tal proposito, all’inizio e alla fine della conversazione, il poliziotto è tenuto a verificare l’identità personale dei partecipanti alla medesima.

Ascoltare è vietato, ma vigilare è dovuto. Già la Legge n. 354/1975 (coeva al libro di Foucault) aveva predisposto che gli operatori di polizia penitenziaria debbono esercitare un controllo a distanza del colloquio (predisposto in un apposito locale che permetta di tenere d’occhio il detenuto), ma con l’espresso divieto di ascoltare la conversazione tra la persona in custodia e i suoi familiari (art. 18). Era chiaramente un tentativo di bilanciare il diritto alla riservatezza dei detenuti con l’interesse alla sicurezza pubblica. Infatti, succede spesso che alcuni boss malavitosi forniscano precisi ordini e indicazioni ai propri “sottoposti” per condurre le attività illecite al di fuori del carcere[3]. Ma è anche successo, come di recente, che in tempi di pandemia, in presenza di maggiori necessità di fare uso delle videochiamate, gli operatori della polizia penitenziaria abbiano origliato (troppo) le conversazioni dei detenuti (violando la loro privacy, ma anche la loro dignità).

Il monito dei due Garanti. Le raccomandazioni e prescrizioni delle due Autorità sono le seguenti: devono essere osservate (migliori) misure tecniche e organizzative per garantire la protezione dei dati personali (cfr. art. 32 Gdpr); il controllo a distanza dell’operatore deve essere fatto esclusivamente per il riconoscimento delle persone coinvolte nella conversazione, senza ascoltare alcunché; effettuate queste verifiche (all’inizio e alla fine), per tutta la durata del colloquio telematico l’operatore deve lasciare da solo il detenuto, abbandonando la stanza.

Un sacco di dati personali, ma bastano delle cuffie? I detenuti possono rappresentare una fonte molto ricca di informazioni e dati personali, di ogni genere (dai dati comuni, come nome e cognome, a quelli “sensibili”, come analisi relative alla salute o comportamenti video-ripresi). Per questo, e per la sua particolare condizione, la detenzione comporta anche un maggiore affidamento della persona in custodia nei confronti degli operatori penitenziari, in termini di garanzie di legalità, dignità del trattamento, ma anche tutela della privacy. Ottemperare ai moniti dei due Garanti non sembra impossibile, forse sono sufficienti delle cuffie auricolari, oppure un controllo da remoto della polizia solo visivo, senza audio[4]. Gli ingenti investimenti, già opportuni in generale per migliorare la qualità di vita dei detenuti, con riferimento alla tutela dei loro dati personali, solo per il momento potrebbero essere sostituiti da misure di buon senso (come l’impiego di auricolari al posto delle casse altoparlanti). Naturalmente, tamponata l’emergenza, sarebbe opportuno procedere ad un’integrale revisione dei processi di trattamento dei dati personali nelle carceri, e non solo.

Sorvegliare e punire, non origliare! I moniti dei due Garanti vanno nella direzione di cercare (e ricordare) il punto di equilibrio tra diritto alla riservatezza dei detenuti e interessi pubblici di sicurezza e contrasto alla criminalità; ma la sua attuazione richiede il buon senso e la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti, dalle persone in custodia, alla polizia, alle direzioni dei penitenziari, fino ad arrivare al legislatore ordinario (che ancora tace).


[1] Garante per la protezione dei dati personali, Comunicato stampa congiunto del 9 aprile 2021, qui reperibile: https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9573734.

[2] Circolare del Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Direzione generale detenuti e trattamento, del 30 Gennaio 2019, n. 0031246, qui reperibile: http://www.ristretti.it/commenti/2019/febbraio/pdf2/circolare_skype.pdf.

[3] Tra le più recenti vicende, si vedano gli articoli online: https://www.prealpina.it/pages/mafia-ordini-boss-da-carcere-arresti-224257.html; https://www.ilmediano.com/boss-di-un-clan-imparti-dal-carcere-ordini-di-estorsioni-ai-danni-di-un-imprenditore-di-brusciano-scattano-gli-arresti/

[4] Così suggerisce il DPO Francesco Maldera qui: https://www.cybersecurity360.it/news/video-call-in-carcere-poca-privacy-per-i-detenuti-lallarme/.